martedì 29 novembre 2022

LA CHIESA E IL SENSO DELLA POVERTA’ EVANGELICA

 



 

Paolo Cugini

 

Gesù è venuto nel mondo! Dio si è fatto uomo, si è fatto carne; ha preso dimora in mezzo a noi, in noi; Dio è il Dio-con-noi, nel senso che vive con l’uomo nella sua storia. Dio vive con l’uomo per condurlo verso la Patria del cielo, la Gerusalemme celeste. “Dio ha creato l’uomo per l’eternità” (San Paolo). La constatazione, la presa di coscienza che Dio si è fatto carne per vivere a fianco dell’uomo crea un grande smarrimento. La chiesa è la “carne” del Dio incarnato, morto e risorto.

La “carne” se ha l’aspetto positivo di essere visibile, presenta però tutti i limiti che tale rivestimento comporta. La carne si corrode, è soggetta al tempo, alle intemperie, ha bisogno di essere rivestita nutrita. Ha il continuo bisogno di riflettere sulla propria condizione per verificare il suo stato di salute A volte si irrigidisce per paura di essere distrutta. Altre volte, comprende di dovere adeguare la propria riflessione ai tempi.

Ci si scandalizza della Chiesa. Si rimane scandalizzati di una Chiesa che tradisce l’essenza del suo annuncio. Si rimane traditi da una Chiesa che sceglie la propria conservazione mettendosi al fianco, nel cammino della storia, di chi detiene il potere. La scelta della Chiesa nel tempo è la scelta di essere evidente, visibile e come esserlo se non al fianco o al centro dello stesso potere? La Chiesa come struttura storica, la si coglie molto bene e questo fa parte del centro: i documenti storici, le fonti ecc. ne parlano. La Chiesa sta nella storia mettendosi in prima persona al fianco dell’uomo e della donna. Essa vuole che si veda il proprio impegno per l’umanità. Si è scelto il potere per andare verso il povero per aiutarla a stare meglio.

L’arrabbiatura più forte è sorta da coloro che dalla Chiesa sono andati verso i poveri e hanno scoperto che essi, i poveri, non volevano i soldi, ma desideravano semplicemente essere considerati uomini, donne, essere considerati degni di quell’umanità che i popoli ricchi tengono racchiusi per nei propri scrigni. La scoperta della realtà del povero ha creato una crisi all’interno della Chiesa, la quale si pone il problema di come stare nel mondo dei ricchi.

Lo sforzo che la Chiesa fa di andare verso i poveri rischia di andare a vuoto perché può rendere vano lo sforzo del ricco che, per tranquillizzare la propria coscienza, dà delle briciole al povero, e vengono recepite come tali. In questo sforzo, possono trasparire le forme implicite di un mantenimento di un proprio stato: nessun borghese, nessun ricco desidera diventare povero (è un cambiamento che può essere prodotto dalla conversione del cuore, che solo Dio può mettere in atto): questo desiderio può rimanere implicito anche nelle parole della Chiesa ufficiale e particolare.

Quando si parla di povertà si corre il rischio di sottolineare prevalentemente l’aspetto sociale, si rischia di fermarsi allo stato epidermico della rivendicazione dei diritti che è importante ma non è l’essenziale dell’annuncio evangelico.

Quando Gesù parla di povertà indica uno stato di vita, una condizione esistenziale a partecipare dalla quale è possibile un cammino di conversione, poiché è l’unico luogo che permette di ascoltare la parola di Dio. La povertà non è solo una condizione iniziale, ma deve rimanere permanente perché è la condizione dello spogliato, dell’uomo, della donna che non ha più nulla di proprio e la sua vita diviene totale dono, affidamento completo nelle mani di Dio la propria vita.

Vita domata, vita spogliata per essere santi, per essere come Lui. Non si può essere come Lui se si rimane legati ai propri bisogni, alle proprie esigenze, al proprio benessere. La spogliazione se non è radicale non porta a nulla, se non intacca le più intime radici dell’essere umano non è efficace. Chi è che è così distaccato dal proprio essere da accettare una vita che ha come meta la distruzione di sé, l’inappagamento dei propri desideri, la soppressione delle proprie pulsioni vitali? (Dai diari, 1992).

 

 

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