Paolo Cugini
C’è
una teologia che non cerca il palcoscenico, che non si affanna a ottenere
riconoscimenti né si aggrappa al rigore dei grandi sistemi dottrinali. È la
teologia marginale, quella che nasce nell’ombra, tra i sentieri polverosi della
storia, dove la vita si misura con il peso dei giorni e il rumore sordo dei
fallimenti quotidiani. Una teologia che respira l’odore acre della dimenticanza
e si adagia dove il mondo volta lo sguardo, convinto che nulla di importante
possa germogliare in quei luoghi trascurati.
Ma
c’è molto da imparare sotto i ponti, tra le mani tremanti di chi non ha trovato
rifugio, tra i corpi stanchi che cercano riparo nel vento della notte. Ci sono
insegnamenti nascosti nella fame che morde ogni alba, in quei volti che
affrontano la giornata senza la certezza di un pasto. In questi luoghi, la
presenza del Mistero si rivela possente, quasi a voler smentire la presunzione
delle grandi cattedre. Qui, tra le ombre delle favelas latinoamericane, il
Mistero si fa carne nel quotidiano, si insinua tra la lotta per la vita e i
soprusi dei trafficanti di droga che decidono il destino di intere generazioni.
Il
teologo dei margini, colui che si ferma ad ascoltare il silenzio di queste
strade, scopre un volto del Mistero che sfugge agli occhi di chi si rinchiude
nei palazzi dei grandi centri teologici. C’è qualcosa di prodigioso nella vita
dei poveri, una sapienza che non nasce dai libri ma dal contatto diretto con la
sofferenza, la solidarietà e la resistenza quotidiana. È qui che si sperimenta
la presenza del Mistero in modo viscerale, come un lampo che squarcia il buio
della notte e illumina il senso profondo dell’esistere.
Se
davvero, come narra il Vangelo, Gesù si è voluto identificare con gli ultimi, è
segno che il percorso autentico verso la conoscenza del Mistero passa proprio
attraverso questa solidarietà con chi vive ai margini. Vestiti strappati e
sporchi, scarpe consumate, catapecchie al posto delle case, cibo che manca,
lavoro che non c’è, giovani privati di ogni opportunità, anziani abbandonati:
che cosa significa vivere il Mistero in queste condizioni? Dove si nasconde la
luce tra le crepe della miseria?
Forse,
sono proprio coloro che vivono nella marginalità a intuire il Mistero, perché
esso si manifesta nella fragilità, nella precarietà, nella speranza che resiste
contro ogni speranza. Eppure, leggendo queste parole, i miserabili della storia
sorriderebbero amaramente e rilancerebbero la domanda: come possono coloro che
abitano nei palazzi sontuosi, con i portafogli gonfi, percepire il Mistero? La
risposta, la sanno già: impossibile. Perché il Mistero non si lascia catturare
dall’abbondanza né si manifesta nell’autosufficienza, ma abita nella carne
ferita del mondo, là dove la vita lotta per non soccombere.
Così, la teologia marginale, pur restando ai confini, custodisce un tesoro di verità troppo spesso ignorato. Essa ci ricorda che la vera conoscenza non si conquista dall’alto, ma si accoglie chinandosi, abbassandosi, condividendo il pane amaro dell’esistenza. In fondo, il Mistero abita dove il cuore si fa prossimo, dove l’uomo si fa fratello, la donna sorella, dove la povertà diventa grembo di luce e la marginalità si trasforma in luogo di rivelazione.
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