sabato 8 luglio 2017

IL CONTESTO: CONDIZIONE POST-CRISTIANA, RIEVANGELIZZAZIONE, NUOVE FORME DEL BISOGNO RELIGIOSO





VERONA, 6 LUGLIO 2017
Relatore: Carmelo Dotolo
Sintesi: Paolo Cugini

Qual è lo spirito dei nostri tempi? Rischio di forzature interpretative.
Il contesto appartiene a quella azione dello Spirito che ci fa leggere il contesto come partner del processo di comprensione dell’evangelizzazione. Il contesto non è opzionale, non è aggiuntivo. Il contesto non è l’etichetta che attraverso un termine nuovo ci permette di fare un frullato migliore. Il contesto deve entrare NEL PROCESSO DI RICOMPRENSIONE DELL’Identità CRISTIANA. Scegliere un’analisi del contesto significa operare una selezione interpretativa. Il contesto è oggetto ambivalenza d’interpretazione.
Occorre cogliere alcuni elementi che possono diventare decisivi perché il contesto ci aiuta a cambiare paradigma interpretativo.

La riforma implica un cambiamento del paradigma. Se non ho la chiarezza e non condivido il paradigma lo sforzo diventa impossibile. Come si fa una riforma? Il LG troviamo una serie di modelli ecclesiologici che sono contraddittorie e spesso conflittuali. Ogni modello può giustificare qualsiasi lettura contestuale.
La condizione post cristiana la interpreto come paradigma dei nostri giorni, l’architettura del nostro tempo entro la quale dobbiamo rileggere la possibilità di suggerire percorsi itinerari e percorsi di evangelizzazione. La prima preoccupazione è quello di comprendere la concezione post cristiana non è indifferente ai processi di evangelizzazione al nostro modo di credere, di pregare. Le nuove forme del desiderio religioso sono una sorta di banco di prova rispetto a come una lettura del paradigma funziona su eventuali modelli di evangelizzazione. Non è semplicemente una lettura di sociologia.

Esigenza di un cambiamento preme all’interno della nostra società e cultura. Se riteniamo che la cosa vanno cambiate senza cambiarle è probabile che facciamo scelte che vanno in un’ottica che non è il Vangelo.
Quando si va verso un cambiamento che la storia, le culture provoca, nella storia del cristianesimo si pone sempre una domanda: che cos'è il cristianesimo? Qual è l’essenza del cristianesimo? Dopo Costantino s’inizia quella che alcuni chiamano la fine del cristianesimo delle origini. C’è la crisi di un’identità Cristian. Attorno all'anno mille c’è la crisi della forma del cristianesimo. Modernità scopri che c’è un’alterità. Questa domanda mostra come una forma di cristianità sembra avere una sorta di conclusione nel momento in cui il movimento culturale pone questioni nuove al cristianesimo. La forma non funzione più perché non corrisponde più all'orizzonte, alle attese dell’uomo. La domanda è: qual è il cristianesimo?
Nel ‘900 nasce la provocazione maggiore. Harnack disse che l’essenza è il Vangelo di Gesù Cristo. Nella logica della storia sembrava essere un’eresia a partire dalle forme giuridiche, istituzionali. A partire da questo momento si capisce che si doveva ritornare alle origini, allo stile di Gesù di Nazareth, quasi ad indicare che la storia delle forme che hanno dato un volto al Vangelo hanno dimenticato la freschezza delle origini.

Vaticano II: finalmente è finita l’epoca costantiniana del cristianesimo in cui la religione cristiana non è più il collante sociale della nostra identità, dei valori. Per la prima volta il Vaticano II ha sigillato l’idea che il cristianesimo deve giocare le proprie credenziali nella logica della proposta qualitativa della sua identità. La presenza del cristianesimo dentro la realtà culturale in Italia è un dato di fatto. C’è un’idea che ritiene il cristianesimo una presenza ovvia, scontata che determina il nostro modo di fare. Perché andare a preoccuparci di evangelizzare? Che cosa dobbiamo evangelizzare?

C’è un sottofondo patrimoniale culturale che si ritiene cristiano. Questo sistema è andato in crisi. Il cristianesimo è diventato sempre di più un’esperienza da museo. È un’esperienza che ci appartiene: nascita, matrimonio, morte. In alcuni tessuti regionali c’è un’iniziazione cristiana. Se questo non fosse un problema, perché evangelizzare? E c’interroghiamo vuole dire che c’è qualcosa che non funziona?
Nessuno più oggi discute animatamente o si contrappone al cristianesimo. È la logica dell’indifferenza, accettazione della differenza quando questa non calpesta il mio orto. Nei confronti del cristianesimo c’è una sorta d’indifferenza. È il cristianesimo della lepre, quella che rincorre il mondo, per questo c’è bisogno degli eventi per riaffermare il nostro modo di essere.

Post cristianesimo è quella condizione in cui il cristianesimo è sullo sfondo, utile ai buoni sentimenti, che non producono modifiche strutturali. È il cristianesimo delle feste, dove si sta assieme. E’ il cristianesimo che non deve disturbare lo spazio pubblico e che quindi non deve avere una forza profetica. È una sorta di elegante reindividualizzazione privatistica dell’esperienza cristiana. E’ il cristianesimo che ha rinunciato d’incidere. Quando parliamo di cristianesimo allora a che cosa ci riferiamo?

La forma che il cristianesimo deve assumere oggi non può più essere quello di una volta. Deve diventare un cristianesimo alter-nativo. Diverso volto dell’essere cristiano.
La condizione post cristiana non vuole dire che dobbiamo svendere la nostra identità, ma che dobbiamo reinventarla, ritradurre la nostra identità. Dobbiamo chiederci qual è oggi la forma dell’identità cristiana al punto che produce un’interpretazione liberante.

Il paradigma che vuole corrispondere ad una condizione post cristiana sta nel recuperare la centralità di Gesù di Nazareth. È un conosciuto ignoto. Gesù è conosciuto, ma ignoto rispetto alla nostra identità. Le sue parole, il suo stile, i suoi segni sembrano essere nel dimenticatoio.

Stiamo vivendo una nuova forma di positivismo. Tutto ciò che funziona è nella logica dei benefici. Si sta verificando una forma di neo ateismo naturalistico per cui funziona solo ciò che dà risposta immediata. Ciò che conta, conta immediatamente perché mi dà benefici. È la logica della religione via internet.
Anche il bisogno religioso che è una delle forme più importanti sta entrando nella logica della funzionalità.
Recuperare l’identità del cristianesimo. Gesù opera tre spostamenti.
-          Spostamento antropologico: tenerezza, attenzione
-          Spostamento interpretativo dell’esperienza religiosa. Provoca uno spostamento in ordine al desiderio di spiritualità.

-          Spostamento sull’immaginario di Dio. La provocazione di Gesù modifica l’immaginario teologico. Rompe quella che è una familiarità psicologica con l’idea. La porta oltre. Non è stato semplice questo spostamento. Dio è l’itinerario, l’orizzonte, il senso. Gesù traduce l’orizzonte del senso. È un’interpretazione che sposta una logica, per cui Dio va al di là delle logiche.
Gesù realizza questi spostamenti attraverso una dimensione profetica e messianica che decostruisce e ricostruisce. L’epoca post cristiana è favorevole per recuperare quel volto del cristianesimo ed evangelico che va a intercettare questi spostamenti che Gesù ha operato.
Nuove forme del bisogno religioso. Gesù fa emergere il potenziale dell’umano e lo lascia emergere nella logica del triplice cambiamento. Affinché questo si possa realizzare è necessario cogliere il contesto. Il lavoro dell’evangelizzazione deve cogliere i segni dei tempi. Oggi lo stare assieme è un segno.
Alcuni aspetti importanti per rileggere un cristianesimo che sappia essere protagonista:

-          Bisogno di autenticità. Desiderio di autenticità nelle relazioni, nella propria vita, nelle scelte discriminanti. Bisogno di liberarsi da abitudini vuote.

-          Recupero del mondo egli affetti e delle emozioni. Il mondo degli affetti si supera il criterio utilitaristico. È un mondo che non può sopportare razionalità a tavolino. Gioca sull’importanza del desiderio. Il desiderio a differenza del bisogno è qualcosa che non puoi appagare e ti permette sempre di andare oltre, e di non fermarti dinazi a nulla. Il desiderio è sempre rivolto all’altro, mentre il bisogno rivolto a me. Il bisogno vivnee sodisfatto, il desiderio nutrito nella crelazione con l’altro. Il bisogno è possessivo, il desiderio spinge ad andare oltre. Il recupero del mondo degli affetti, delle emozioni, del desiderio, è un aspetto importante nei processi di organizzazione dei percorsi pastorali.

-          Le relazioni. L’esercizio della relazione è fondamentale. La relazione mi pone nelle condizioni dell’incontro con l’altro non solo come utile e funzionale, ma come compagno di viaggio di un cammino di ricerca di senso, di libertà e di salvezza. È il paradigma del samaritano.
Cosa significa per una nuova forma di esperienza religiosa? Se il paradigma è Gesù e incontra alcuni segni dei tempi a tutti i livelli, quale può essere una forma di cristianesimo che risponda a questa idea?

-          Lavorare a delle identità progettuali, nelle quali divenire se stessi si giochi nella relazione con gli altri, con l’ambiente, con Dio. Dobbiamo aiutare le persone a crearsi una visione del mondo che sia aperta a progetti che siano capaci di creare quei tre elementi, quei tre cambiamenti che si diceva sopra. Identità consapevoli dell’originalità della proposta.

-          Lavorare ad un’esperienza credente empatica, capace di vivere l’incontro come risorsa di una differente convivialità. La stessa organizzazione pastorale deve portare a questo. Occorre pensare forme ministeriali che aiutino queste esperienze di convivialità


-          Esperienza di liberazione e riconciliazione. Recuperare qualcosa che stiamo smarrendo e cioè quella forza che ci fa essere fermi, accoglienti, e capaci di operare una decostruzione. Religione che sia contro culturale, capace di creare una cultura nella quale gli obiettivi del regno siano prioritari. Cristianesimo che lotti contro la disumanizzazione, il dissesto ecologico. Di fronte ai fenomeni attuali, chi è che sta criticando il sistema? Il cristianesimo che scomoda viene messo in un angolo. Occorre intervenire nella critica del sistema. Lavorare ad un cristianesimo che non disturba, è un cammino non evangelico. Gesù ha pagato perché ha destrutturato, altrimenti non si spiegherebbe la croce. Dobbiamo recuperare la profezia critica (Metz). 

giovedì 6 luglio 2017

EVANGELIZZARE: COMPITO E COMPITI DELLA CHIESA



CUM VERONA 6 LUGLIO 2017


Relatore: don Luciano Meddi (Università Urbaniana)
Sintesi: Paolo Cugini

Alcuni nodi sono a livello d’interpretazione delle parole fondative. SI deve ritornare a discutere sulla realtà che è alla base dell’evangelizzare.
Evangelizzazione:
·         un termine in discussione
·         questione teologica
Un termine in discussione. Nella chiesa post conciliare abbiamo utilizzato diverse espressioni significa che non c’è un consenso su questo termine. Evangelizzazione:
·         predicare, evangelizzare
·         annunciare
·         proporre
·         comunicare
·         trasmettere
·         nuova evangelizzazione
Il sinodo del 2012 è per la trasmissione della fede nonostante i teologi sostengono che si tratti invece di testimonianza.
Alcune polarizzazioni:
-          Rinnovamento del messaggio: Parola di Dio
-          Rinnovo delle azioni

La nuova evangelizzazione si dice che non è nuova per il contenuto, ma per le strutture, i modi. Forse questa analisi dice della morte dell’evangelizzazione. Il grande problema è il rinnovamento del messaggio. Ci siamo dimenticati di altre due indagini importanti:
-          Chi è il soggetto dell’evangelizzazione? Non è la Chiesa, che ha un compito.
-          Il dinamismo. Come funziona l’evangelizzazione? Non in senso pratico, ma il dinamismo teologico.
Disambiguare la tradizione? C’è tutto il peso dell’interpretazione mandato missionario.
Chi sono i soggetti: Dio e l’uomo. L’evangelizzazione è il percorso che va dall’uno all’altro e quindi è un processo.
Qual è la dinamica? Illuminazione (cultura) ed esperienza salvifica. Dinamica di comprensione e illuminazione. L’evangelizzazione è una proposta culturale. Il contenuto è la storia personale e del mondo.

Il processo è ermeneutico. C’è evangelizzazione quando le persone interpretano se stessi e la storia in modo salvifico.
Il Contenuto è il Vangelo.
Riportare l’Evangelizzazione al Vangelo (EG).
Chi evangelizza è la trinità e non la Chiesa. Propone buone soluzioni. Questa attività di Dio sta dentro alla libertà della persona. È la logica del: se vuoi. La chiesa ha un ruolo di mediazione.
Il problema è capire quale idea di Trinità ho.

Come Evangelizza il Padre? Ponendo se stesso come fondamento, come termine della storia del cosmo. L’uomo se vuole ha un punto di riferimento per la sua realizzazione. Le tracce di questa evangelizzazione le trovo nel cosmo e nei processi di liberazione umana.

Come evangelizza lo Spirito? In quanto energia presente nel cosmo e nella storia. Ci sono delle tracce:
-          Le forme di coscienza in evoluzione
-          Le conversioni interiori
-          Le guarigioni interiori
-          I processi di unificazione e donazione
Come evangelizza Gesù?
Attraverso la sua testimonianza e la sua collaborazione al Padre
Tracce:
-          Nel Vangelo vissuto
-          Le sue azioni
-          Segno di liberazioni inaugurati
Gesù si è lasciato evangelizzare dallo Spirito: mosso dallo Spirito…
Evangelizzazione come azione trinitaria.

Il contenuto dell’evangelizzazione: Dio è nella storia degli uomini. La buona notizia è che Dio è presente nella storia.
Parlando dell’evangelizzare della Trinità a livello di significato si utilizza il significato al termine rivelazione. Il Vaticano II non ha dato un testo fondativo sull’evangelizzazione, in realtà il fondamento dell’evangelizzazione si trova in Dei Verbum. L’evangelizzazione nel suo mostrarsi diventa rivelazione e la rivelazione è un’evangelizzazione. Attraverso l’approfondimento della rivelazione possiamo comprendere ancora di più. Rivelazione non è un sostantivo ma un verbo: l’agire di Dio. È un dinamismo. Dei Verbum ci ha fornito alcune indicazioni: manifestazione, comunicazione di energia. L’evangelizzazione letta come rivelazione: applichiamo gli stessi criteri che applichiamo alla rivelazione. Entra nei processi umani e poi diventa contenuto, ma anzitutto è un processo.

La rivelazione è comunicazione ma soprattutto interpretazione. È la comunità che rilegge e interpreta. L’evangelizzazione è un’interpretazione: è la capacità di leggere la realtà in un determinato modo.
L’evangelizzazione è un’ermeneutica.
L’evangelizzazione diventa scrittura attraverso l’intervento di una comunità. Questo in Gesù è presente.
Paolo: ora possediamo il modo di pensare.

L’uomo uditore della Parola. Il processo di evangelizzazione come rivelazione dio senso è già scritto nel cuore dell’uomo.
-          Il soffio
-          La struttura conoscitiva
-          La struttura spirituale
-          Le religioni da millenni stanno cercando di comprendere Dio
-          La fede

L’uomo come essere bisognoso di Dio. Abbiamo bisogno del Vangelo. Il Concilio (GS, AG) riconosce che nella struttura umana c’è una serie di aspirazioni. È lo Spirito che ci mette dentro alcuni desideri. C’è rivelazione perché ne ho bisogno e me ne accorgo perché dentro di me ci sono delle inquietudini. La crescita umana si distingue da quella animale perché c’è bisogno di orientamento.

L’evangelizzazione funziona se lo metto dentro il progetto della persona. L’evangelizzazione funziona all’inizio come intuizione: vivere così mi fa bene.
Poi c’è l’abilitazione. Mi abilito a. Se capisco che i soldi possono rovinarmi mi abilito a.
Poi tutto ciò diventa scoperta come continua presenza di Dio nella vita della persona. Qui c’è la penetrazione del dibattito culturale.

Dio è fondamento, orizzonte, senso della vita. Ho intuito che lì c’è il mio bene.
Pericolo: cercare lo slogan che cattura di più.

Processo dell’evangelizzazione non è separabile dal processo d’interpretazione. Negli ultimi trent’anni è stato bloccato questo processo.
L’evangelizzazione è servizio all’auto comunicazione di Dio. È un dato precedente alla chiesa
L’evangelizzazione è realtà spirituale. È dinamica. È orientamento, è il dono di capire la realtà. È promessa e impegno. 

lunedì 3 luglio 2017

QUALE CONTRIBUTO DEI MISSIONARI RIENTRATI?




INCONTRO CON I COMBONIANI
PESARO 27 GIUGNO 2017
Paolo Cugini
Domande preliminari:
a.      Quali spazi e quale pastorale per i missionari rientrati?
b.      Che contributo possono offrire nel contesto della pastorale italiana?

Alcune indicazioni pastorali
Il primo importante contributo è l’attenzione alla singola comunità. C’è in atto in Italia un nuovo disegno della mappa pastorale. La maggior parte delle diocesi stanno ristrutturando la presenza pastorale attraverso le Unità pastorali, accorpando diverse parrocchie di un territorio. Spesso questo accorpamento porta con sé la crisi delle comunità locali. Il motivo di questa crisi è dovuto alla modalità del parroco dell’UP di gestire questa nuova configurazione pastorale. Occorrono alcuni passaggi che siano segno di un cambiamento di mentalità.

a.      Passaggio dalla centralità del prete alla centralità della comunità
b.      Dalla centralità dell’Eucarestia alla centralità del Battesimo

Mi sono chiesto: quali sono gli aspetti della pastorale e delle scelte pastorali realizzate in Brasile che mi stanno aiutando nel lavoro pastorale a Reggio Emilia? La scelta pastorale della diocesi è quella delle unità pastorali (60). Presento alcuni nodi che stanno orientando le nostre scelte pastorali.

1.      Rapporto comunità e Unità pastorale: da come s’imposta il rapporto nasce l’indicazione del tipo di Ministerialità e di modo di vivere il ministero. Valorizzare la comunità, fare in modo che la comunità possa vivere di forze proprie. Questo comporta la possibilità di celebrare il giorno del Signore e di avere laici che svolgano ministerialità all’interno delle comunità. Per questo occorrono anche pastori con sensibilità pastorali, che non facciano precedere le idee dalla realtà, ma che si pongano in ascolto della situazione concrete e attivino modalità di accompagnamento e discernimento per giungere ad orientamenti comuni. Difficoltà di aiutare le persone a sentire la comunità come propria e quindi sentire il desiderio di prendere posizione, prendere l’iniziativa. Nel primo consiglio pastorale dell’Unità Pastorale le persone presenti hanno scelto di mantenere vivi i consigli pastorali locali per mantenere vive le comunità. Accanto al consiglio pastorale mensile delle comunità, c’è un consiglio pastorale trimestrale al quale partecipano i consigli pastorali delle cinque parrocchie. La risposta al problema del rapporto parrocchia Unità Pastorale indica anche la modalità di come s’intenda vivere il proprio ministero nelle comunità. Se la priorità è la vita della comunità per aiutarle a vivere uno stile missionario, allora in un qualche modo occorre stare nella comunità. Ho, così, organizzato la settimana trascorrendo una giornata in ogni comunità, pranzando ogni giorno in una casa diversa. L’obiettivo è quello di conoscere lentamente le famiglie delle parrocchie, per fare in modo che l’eucarestia celebrata alla domenica sappia un po' della gente della comunità.  Problema generale: come aiutare le comunità a passare da un’idea statica del presbitero ad una presenza dinamica (uscire dal lamento: non c’è mai).

2.      Sinodalità: creare spazi a diversi livelli in cui sono le comunità a riflettere sui cammini da compiere per prendere le decisioni. Consigli pastorali, coordinamenti (della catechesi, della pastorale giovanile, famigliare, ecc.). Secoli in cui il parroco ha sempre deciso tutto da solo porta con sé la fatica di pensare insieme e di scegliere insieme. Aiutare le comunità a prendere l’iniziativa, a creare dei momenti assembleari senza la necessità che il parroco sia presente. Aiutare i fedeli ad assumersi le loro responsabilità anche nella comunità ecclesiale così come fanno negli ambiti della vita quotidiana, è una delle grandi sfide della pastorale dei prossimi anni. Per attivare una sinodalità a tutti i livelli nella comunità è necessario un tipo di formazione che permetta ai presbiteri di decentrare sempre di più il loro potere pastorale, per vivere con maggiore serenità il loro ministero. Accompagnare questo cambiamento in atto, che prevede la trasformazione dei due attori in gioco, non sarà facile. La tentazione più immediata, che è già visibile in alcune diocesi italiane, è quella di ritornare al passato, importando preti dal sud del mondo, più come tappabuchi, che come progetto pastorale pensato e attuato. Sinodalità significa apprendere a pensare assieme alle persone, stare attenti ai processi che s’intende porre in atto e, così, uscire dai personalismi pastorali incentrati sui carismi del sacerdote, o sui suoi limiti.

3.      Ministerialità: per permettere alla comunità di vivere in assenza di presbitero diviene fondamentale la formazione dei laici. C’è un primo livello della formazione che consiste nel porre un laico nella situazione di esercitare un servizio con una responsabilità effettiva. È brutto quando il laico si sente dire dal prete di turno che gli organismi ecclesiali sono solo consultivi. Il primo livello di formazione per aiutare i laici ad esercitare un ministero consiste nel metterlo nelle condizioni di assumersi delle responsabilità effettive. Altro aspetto della formazione è il cammino biblico. Abbiamo iniziato un’esperienza di preparazione insieme delle letture della domenica. Sono attivi sul territorio diversi centri d’ascolto della Parola a dimensione famigliare. Abbiamo attivato momenti specifici della formazione, tenendo conto di quello che la diocesi offre e di quello che c’è sul territorio. In questo cammino è molto importante la presenza dei diaconi. Attualmente sono tre nell'unità pastorale. Abbiamo realizzato un percorso di sensibilizzazione al diaconato in tutte le cinque parrocchie che ha condotto all'indicazione di altri tre candidati che hanno già iniziato il cammino formativo. La ministerialità va di pari passo con la sinodalità. Quanto più i laici saranno responsabilizzati, tanto più entreranno negli organismi sinodali in modo attivo e costruttivo.

4.      Missionarietà: siamo alla prima fase, vale a dire, la valorizzazione di quello che già avviene sul territorio che stimola la presenza missionaria della parrocchia: ministri del battesimo e del matrimonio, catechesi nelle case. Abbiamo avviato anche una fase di studio per comprendere in che modo è possibile essere presenti sul territorio a partire dalla situazione attuale in cui il parroco non è in condizione di realizzare le famose benedizioni pasquali. Problema: come passare dalla presenza del parroco sul territorio alla presenza della comunità. Riuscire a contaminare positivamente tutta la pastorale sullo stile missionario. Pensare ad una pastorale in uscita come modalità normale di evangelizzazione. Difficoltà di pensare a chi è fuori dal tempio. Siamo così abituati ad evangelizzare chi entra nelle nostre strutture, che non riusciamo a pensare alle persone che non entrano. Il discorso non vale solo per gli adulti, ma anche per i giovani. Come pensare una pastorale giovanile animata dallo spirito missionario? Giovani che evangelizzano giovani. Ci stiamo pensando, ma ancora non è partito nulla di concreto.

5.      Comunità accoglienti. Accompagnamento spirituale dei gruppi di africani presenti sul territorio: famiglie della Burkina Faso, donne nigeriane, studenti del Camerun, Togo e Congo. Oratorio con il cortile aperto al territorio. Attualmente il 90% dei bambini e ragazzi che frequentano durante la settimana l’oratorio provengono da tante nazioni (circa una ventina). È iniziato un progetto che si è poi trasformato in associazione nella quale opera un gruppo di persone con una proposta di sport educativo, rivolta ai bambini che frequentano il cortile degli oratori. L’Unità Pastorale ha deciso di investire su un educatore professionale indicato dalla Pastorale Giovanile Diocesana, che coordina i progetti sui cinque oratori. Chiesa che accoglie i cristiani omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali. Chiesa che allarga la tenda per accogliere divorziati, separati. Sono esperienze in atto.



sabato 1 luglio 2017

PRETI SCOMODI




Paolo Cugini

Molto bella e pieno di significato ecclesiale e spirituale è stata la visita che papa Francesco ha realizzato nello stesso giorno a Bozzolo e a Barbiana, per rendere omaggio a due grandi preti: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Due preti scomodi per il loro stile di vita così aderente al Vangelo da mettere in difficoltà chi il Vangelo lo prende un po' alla leggera. In comune don Mazzolari e don Milani hanno molte cose ma, allo stesso tempo, ci sono anche differenze. La visita del Papa nello stesso giorno nei paesi di questi due preti, mentre ne sottolineava le sintonie, ha avuto anche il sapore di una riabilitazione. Purtroppo, infatti, come succede spesso nella Chiesa, quando qualcuno vive il Vangelo in modo radicale, dalla gerarchia che dovrebbe riconoscerne il valore, viene invece preso di mira. Sia don Milani che don Mazzolari sono stati trattati male dai loro rispettivi vescovi oltre ad essere finiti sotto gli artigli dal Sant’Uffizio che ha censurato alcuni dei loro libri.
Che cosa ha detto Papa Francesco a Barbiana e a Bozzolo?

In primo luogo, c’è stato un forte richiamo al valore della libertà di coscienza. Parlando del ruolo educativo di don Milani e del compito di ogni educatore, Francesco ha sottolineato che: “Quella degli educatori è una missione d’amore. La cosa essenziale da insegnare è la crescita di una coscienza libera capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in essa guidata dall’amore e dall’amore di compromettersi con gli altri e servire il bene comune […] Noi adulti chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico come ricerca del vero del bello e del bene pronti a pagare il prezzo che ciò comporta e questo senza compromessi”. 
La Chiesa cattolica ha educato per molti secoli i fedeli ad obbedire ciecamente al Papa, ai vescovi e ai loro sacerdoti. Accanto a questi accorati appelli per molti secoli la Chiesa nei suoi documenti ufficiali si è espressa negativamente contro la libertà di coscienza. Non c’è bisogno di andare troppo indietro nel tempo per verificare queste affermazioni. La Mirari Vos del 1832 e il Sillabo della fine Ottocento contenevano anatemi sia contro la libertà di coscienza che contro la libertà di stampa. Appello accorato all’obbedienza ai superiori e sfiducia nella libertà di coscienza hanno prodotto come logica conseguenza l’infantilismo nei fedeli, e l’arroganza autoritaria e prepotente dei superiori, atteggiamenti molto diversi da quelli proposti da Gesù nel cammino di discepolato. Nella Dignitatis Humanae il Concilio Vaticano II ha provato a dare una sterzata rivalutando il valore della libertà di coscienza come cammino fondamentale per maturare una coscienza critica nelle persone. Sia Don Milani che don Mazzolari sono state senza dubbio delle persone libere, che hanno aiutato i fedeli a maturare un proprio giudizio critico nei confronti della realtà. Lo ha fatto don Lorenzo nella scuola di Barbiana. Lo si comprende bene sfogliando le pagine di Lettera ad una professoressa, scritto con il metodo di scrittura collettiva. Don Lorenzo era abituato a sollecitare i suoi alunni ad analizzare insieme i contenuti di ciò che leggevano sui giornali, per giungere ad esprimere un pensiero personale capace di accettare il confronto positivo con gli altri. Si giunge a pensare insieme in modo libero e critico solamente se ci si è educati alla maturazione di una coscienza libera, capace di cogliere la presenza del trascendente nella storia e dentro di sé. Sia don Lorenzo che don Primo ci hanno insegnato che l’obbedienza è autentica quando passa al vaglio della libertà di coscienza, di una coscienza educata nella relazione d’amore con qualcuno. 
La storia ci ha purtroppo insegnato che, quando la coscienza non viene accompagnata nella formazione del riconoscimento del bene, ma viene sollecitata solo all’obbedienza passiva, diviene facile preda dei più turpi comandi.  Affidare in modo radicale la propria capacità di decidere ad un’entità esterna, significa abdicare alla propria dignità di persona. Un vero educatore, come lo sono stati don Lorenzo e don Primo, accompagna le persone a maturare un pensiero critico personale. Come ha ricordato Papa Francesco a Bozzolo, i preti non sono dei meri ripetitori di affermazioni oggettive, ma trasmettitori di contenuti che sono chiamati a vivere e interpretare con la loro vita. Queste indicazioni hanno un risvolto ecclesiale immediato. Infatti, non c’è possibilità di sinodalità senza un’educazione alla libertà di coscienza. Chi è abituato a delegare il sacrosanto diritto di formulare un proprio parere, difficilmente si sentirà coinvolto a mettere in comune un proprio pensiero nella costruzione di un percorso. Le difficoltà che incontriamo nelle comunità parrocchiali nel coinvolgimento dei laici non solo nella gestione dei servizi della comunità, ma soprattutto nello sforzo dell’elaborazione di un pensiero che sappia leggere i segni dei tempi e operare le scelte necessarie per la comunità, è dovuta anche alla carente educazione di coscienze libere. Si è insistito all’esaurimento sulla necessità di obbedire ai superiori non curanti dello scotto che si sarebbe pagato più avanti.

Un secondo punto significativo che Papa Francesco ha evidenziato nella vita di don Milani e don Mazzolari è il loro modo di essere sacerdoti. A Barbiana Francesco ha affermato che: “La dimensione sacerdotale di don Lorenzo è alla radice di tutta la sua vita. Tutto nasce dal suo essere prete, la sua fede. Una fede totalizzante che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero diventa donazione totale”. Lo stesso concetto, anche se con sfumature diverse Papa Francesco l’ha ripetuto a Bozzolo. “I parroci sono la forza della chiesa in Italia. Quando sono i volti di un clero non clericale danno vita ad un vero e proprio magistero dei parroci. Mazzolari è stato definito il parroco d’Italia”. 
In diverse circostanze Francesco ha messo in guardia la Chiesa dal pericolo del clericalismo. Con questo termine il Papa indica un modo sbagliato d’intendere il proprio ruolo di pastori e di guide del popolo, non come servitori, ma come persone arroganti che si sentono superiori e così si allontanano dalla gente. Al contrario, don Lorenzo e don Primo sono esempi di pastori che si sono immersi nei problemi delle persone loro affidate, divenendo parte di loro. Erano preti, come suole spesso dire Francesco, che avevano l’odore delle pecore. Come Gesù che aveva condotto i suoi discepoli in mezzo alla folla, immersi nei problemi della gente, così hanno fatto don Primo e don Lorenzo a contatto con i problemi dei loro parrocchiani. Entrambi i sacerdoti erano persone molto attente ai problemi del tempo. Conosciamo le prese di posizioni di don Primo nei confronti del fascismo. Sappiamo anche delle lotte che don Lorenzo, assieme ai suoi ragazzi di Barbiana, ha portato avanti sui temi dell’obiezione di coscienza e della scuola. Preti immersi nei problemi del loro tempo e, quindi, non distanti. Don Lorenzo e don Primo hanno insegnato che il ministro di Dio non è colui che vive il suo ministero esclusivamente nell’ambito del sacro, di quel sacro che si manifesta esclusivamente nell’ambito liturgico, come se la liturgia potesse essere qualcosa di distante della vita. Se Francesco reiteratamente allerta la Chiesa sulle forme del neo pelagianesimo di ritorno sempre in agguato, che tende a separare la vita dal sacro, inculcando nelle menti dei fedeli un Dio totalmente distante dal mondo, contraddicendo il principio dell’Incarnazione manifestato dal Figlio Gesù Cristo, è perché il pericolo è reale. Del resto, un Dio distante, totalmente distaccato dalla realtà che esige per l’appunto sacerdoti del sacro che siano il più possibile distanti dalla realtà per essere puri dinanzi al sacro, fa comodo. Più Dio è qualcosa di distante, più l’uomo e la donna sono liberi di fare e vivere come vogliono. Gesù Cristo, venendo al mondo ha rappresentato la critica più radicale a questo modo d’intendere la religione come distanza tra Dio e gli uomini, che esige un personale specializzato per entrare in contatto con Lui.  
L’incarnazione del Verbo ha rotto questo schema idolatrico, mostrando il vero volto di Dio, non pensiero astratto alieno dagli uomini e dalle donne, ma totalmente immerso nella realtà per poterla trasformare dal di dentro.  Sia don Primo che don Lorenzo hanno vissuto il loro rapporto con il Signore incarnati nel pezzetto di mondo nel quale vivevano, offrendo a Dio l’umanità che loro stessi incontravano. Questa incarnazione ha permesso loro di fuggire la tentazione del clericalismo, dell’atteggiamento di superiorità che spesso vediamo in quella porzione di clero che gioca il proprio ministero dentro a quattro pareti o nell’esclusivo ambito liturgico. “Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti”. Solamente camminando insieme, immersi nella realtà presente, a contatto con i problemi veri incontrati a contatto con la gente vera, si potrà evitare il rischio di caricare la gente di pesi assurdi. Francesco ha visto in don Primo e in don Lorenzo sacerdoti capaci di accompagnare la propria gente nelle loro ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alle problematiche attuali.

Un ultimo aspetto che possiamo evidenziare nei discorsi che Papa Francesco ha realizzato a Bozzolo e a Barbiana è la povertà. Sia per don Mazzolari che per don Milani è evidente lo stile essenziale e povero di questi due sacerdoti. Di Mazzolari Francesco ha detto che ha vissuto da prete povero e non da povero prete. Lo stesso si può dire di don Milani che ha dedicato tutto il suo ministero ad un piccolo gruppetto di bambini e ragazzi poveri. Don Lorenzo e don Primo sono quindi il segno di quella Chiesa povera e dei poveri così vagheggiata nel Concilio Vaticano II e che Papa Francesco tenta di riprende nel suo pontificato. “Possiamo diventare chiesa povera e dei poveri – ha detto Francesco a Bozzolo-. I poveri sono una presenza scomodante. […]. I poveri vanno amati come poveri, come sono, senza far calcoli”. Ridare ai poveri la parola perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Nella scuola di Barbiana don Lorenzo ha insegnato tutta la vita e tutti i giorni dell’anno ai bambini poveri della sua piccola parrocchia. È la Parola che apre la cittadinanza alla società. Il possesso della parola come strumento di libertà: è questo che sapeva fare don Primo, non solo per le sue famose doti di predicatore e di scrittore, ma anche per il modo con cui utilizzava questi strumenti per aiutare i lontani. Don Primo e don Lorenzo sono stati, a loro modo e anche nella loro esperienza di presbiteri, dei modelli di quella chiesa povera e dei poveri che sta così profondamente segnando il pontificato di Papa Francesco. Povertà come segno di una vita evangelica, che annuncia il Vangelo non solo con la Parola, ma anche e soprattutto attraverso la testimonianza. La povertà evangelica vissuta da don Lorenzo e da don Primo sono un tutt’uno con il loro ministero, segno di una sequela autentica al Signore che è venuto in mezzo a noi povero tra i poveri. A Bozzolo Papa Francesco ha ricordato che don Primo: “nel suo testamento scriveva: intorno al mio altare non ci fu mai denaro. Il poco che è passato nelle mie mani è andato dove doveva andare. Dio con niente fa tutto. La credibilità dell’annuncio passa attraverso la semplicità e la povertà della chiesa. Don Primo ricorda che la carità è questione di sguardo”. Mettere al centro i poveri per fare in modo che siano loro stessi i protagonisti della loro rinascita. Sia per don Lorenzo che per don Primo la cultura è stato uno strumento privilegiato per questo cammino che ha permesso loro anche di uscire dalla sterile palude di una carità che non serve a nulla, ma che mantiene in vita il sistema che produce povertà. Offrire ai poveri gli strumenti per un loro riscatto esistenziale e sociale è stato lo sforzo costante di questi due preti.