martedì 28 maggio 2019

PREPARANDOSI ALLA VEGLIA DI PREGHIERA PER LE VITTIME DELL'OMOFOBIA





Le Lettere di Alex – Cattolici LGBT 2019: in frontiera alla veglia annuale di preghiera per il superamento dell’omofobia

Omofobia, xenofobia e violenza di genere: problematiche unificate sotto la medesima sensibilità che deriva dai medesimi dolori, quelli dell’esclusione. Lo spirito del mondo e lo Spirito di Dio ispirano atteggiamenti diametralmente opposti nei confronti del “diverso”, nei confronti cioè dei frutti multicolori del creato, che in Cristo trova la sua massima realizzazione emergendo dal peccato. Il dramma è che spesso si traveste lo spirito del mondo con le mentite spoglie di uno spirito di dio (minuscole volute) al servizio della nostra ignoranza, delle nostre fobie, dei nostri interessi, della nostra violenza o indifferenza. La frontiera, luogo della marginalità, punto d’incontro col “diverso”, è però il luogo privilegiato da Gesù in tutto il Vangelo. È luogo di Gesù, nella sua somiglianza e vicinanza agli ultimi e nella sua cura verso tutte le espressioni dell’amore. Cura che lentamente si sta manifestando nella sua Chiesa.

Non temere perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni, sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo (Isaia 43, 1-4).

Le veglie annuali per il superamento dell’omofobia, transfobia e delle intolleranze attraversano, a metà maggio, numerose città italiane e al momento paesi come Malta, Ungheria, Spagna e Cile. I dolcissimi versetti di Isaia 43, 1-4 sono quelli che Dio ha rivolto quest’anno ai suoi figli LGBT. Suor Anna Maria Vitagliani segue un gruppo di preghiera di persone appartenenti all’associazione di credenti LGBT “Ponti Sospesi”. Alla veglia di Napoli, celebrata domenica 19 Maggio 2019 al Tempio Valdese di Via Dei Cimbri, la suora milanese ha parlato di Spiritualità delle frontiere: «Frontiera è una parola che, soprattutto oggi in questi tempi, si associa spesso a muri e a luogo non pacifico. L’accezione di ‘frontiera’ intesa dalla Spiritualità delle frontiere ha origine dalla Bibbia: qui, fin dall’inizio, la frontiera è il luogo in cui il primo uomo si incontra con la donna, con l’altro e quindi la frontiera è il luogo dell’uomo di fronte all’altro uomo, uomo che per definizione è “altro da me”.

È quindi luogo d’incontro dell’alterità, qualunque essa sia. E può essere luogo d’incontro nella fiducia, nella pace, nell’ascolto reciproco, oppure anche, e spesso purtroppo è così, luogo di scontro caratterizzato dalla paurapaura dell’altro, di ciò che è diverso da me, che genera sofferenze, fatiche e conflitti. Questa frontiera può essere geografica, luogo di incontro tra popoli diversi. E ci sono anche le frontiere esistenziali, quelle che – in fondo – ognuno di noi porta dentro e che oggi si può dire siano quei luoghi abitati da persone che ancora si sentono e vivono in una situazione di frontiera o periferia esistenziale; persone che abbiamo ascoltato in questa veglia con le loro testimonianze». Per suor Anna Maria «è una fortuna ascoltare e accompagnare persone che oggi – e speriamo che questo non sia per sempre – abitano queste frontiere esistenziali, come le persone LGBT, i migranti e le persone separate in situazione di nuova unione».

L’équipe di Spiritualità delle frontiere è nata alcuni anni fa, composta oltre che da suor Anna Maria, da padre Pino Piva, gesuita, e don Christian Medos. Essa è partita dall’intuizione legata all’accezione di ‘frontiera’ e dalla considerazione che «la prima persona che ha abitato una frontiera esistenziale, una frontiera geografica, è stato lo stesso Gesù. Perché Gesù è vissuto a Nazareth di Galilea. Nella Palestina del tempo la Galilea era periferia e Nazareth era la periferia della periferia. Nel Vangelo stesso, Natanaèle si domanda: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?” Si! È venuto Gesù di Nazareth, proprio dalla frontiera, dalla periferia. E quando Gesù risorge, lo abbiamo letto nei Vangeli di Pasqua proprio poche settimane fa, un angelo si manifesta alle donne – altra “periferia” – e dice: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Quindi ogni frontiera, ogni periferia è già abitata dal Signore Risorto, e dal suo Spirito che precede chiunque vada verso quella frontiera. Questo è molto importante perché vuol dire che andare in una frontiera geografica o esistenziale significa prima di tutto mettersi in ascolto di chi la abita e dello Spirito del Signore che, in quella frontiera e nel cuore di quella persona, già sta lavorando. E quindi io non debbo portare Dio o una parola che sia già la risposta a tutte le domande possibili, ma mettermi prima di tutto in ascolto delle persone e dello Spirito che in quelle persone, in modo privilegiato direi, già lavora. Gesù è stato un uomo di frontiera, e negli Atti degli Apostoli vediamo lo Spirito Santo che spinge gli apostoli ad andare verso le frontiere e, quando gli apostoli ci arrivano, scoprono che lo Spirito già sta lavorando. Lo devono solo riconoscere e assecondare».

“Spiritualità delle frontiere” significa questo per l’équipe di suor Anna Maria, che si occupa soprattutto di accompagnamento spirituale di persone che quella frontiera la abitano e di formazione degli operatori pastorali che, in ascolto, giungono in quella frontiera, preceduti dallo Spirito. La vocazione di suor Anna Maria, con le persone LGBT, consiste infatti nel «mettersi in ascolto di queste persone, delle loro realtà, dei loro vissuti, della loro esperienza del Signore e accompagnarli a crescere e rifiorire pienamente in umanità e nella fede in quel Dio che già abita ciascuno e di cui ognuno ha già esperienza, a partire dalla propria condizione». A giugno di tre anni fa, su TV2000, suor Anna Maria insieme a padre Pino Piva e ad Antonio De Chiara (presidente di “Ponti Sospesi”) ha potuto raccontare un importante tragitto del suo percorso in frontiera, ricevendo “ufficialmente” dalla “TV dei vescovi” un profondo ascolto, proprio quell’ascolto di questo Spirito che predilige la frontiera e che in essa mostra la ricchezza delle diversità e la grandezza e la varietà imperscrutabile dei misteri della vita e dell’uomo. Misteri a cui lo spirito del mondo spesso si avvicina con paura e addirittura disprezzo, ma che lo Spirito Santo sta lentamente mettendo in luce, accompagnando col Suo amore il cammino della civiltà.


mercoledì 22 maggio 2019

EVANGELIZZARE IN AMAZZONIA: LA QUESTIONE ECOLOGICA





Paolo Cugini


Non è possibile riflettere sui cammini di evangelizzazione nel grande territorio amazzonico senza tener in conto il tema dell’ecologia. Lo stesso documento preparatorio al Sinodo Panamazzonico che si terrà nel mese di ottobre 2019, fedele all’impostazione della Chiesa Latinoamericana, apre la propria riflessione presentando una panoramica della realtà ecologica dell’Amazzonia, per aiutare gli operatori pastorali ad elaborare cammini di evangelizzazione tenendo conto la realtà. Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50 % della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Ciononostante, questi dati non delineano una regione omogenea. «Costatiamo come l’Amazzonia abbia al suo interno molti tipi di Amazzonie. In tale contesto è l’acqua, attraverso le sue vallate, i fiumi e i laghi, a configurarsi come l’elemento articolante e unificante, considerando come asse principale il Rio delle Amazzoni, il fiume che è madre e padre di tutti» (Documento Preparatorio- DP, 1).
 Nella foresta amazzonica non troviamo solamente una grande varietà di specie di animali e di piante, ma la stessa foresta è differenziata. Esiste, infatti, una foresta situata in aree basse, che soffre inondazioni periodiche, conforme alle piene dei fiumi. I terreni di queste zone sono particolarmente fertili a causa dei sedimenti lasciati dai fiumi. Le specie che incontriamo in questa zona della foresta amazzonica sono: andiroba, jatobá, seringueira e samaúma. Esiste anche la foresta così detta igapò, localizzata in aree ancora più basse e, a causa di ciò, soffre maggiori inondazioni e spesso si trova allagata. Per sopravvivere in queste condizioni le piante nei secoli hanno elaborato diverse strategie ben conosciute dai popoli indigeni. Esempio di queste specie sono: vitórias-régias, buritis, orchidea e bromelia. Esiste, infine, la foresta di terra ferma: non soffre inondazione a causa della sua posizione alta rispetto al resto del territorio. La vegetazione che s’incontra in queste zone della foresta è definita di grande peso, come ad esempio i castagneti. La biodiversità della foresta amazzonica è esuberante e i suoi numeri sono impressionanti. Più di 1300 specie di uccelli; più di 3000 specie di pesci; più di 30000 specie di piante; 1800 specie di farfalle; 427 specie di anfibi; 378 specie di rettili; più di 3000 specie di api; 311 specie di mammiferi. Occorre poi sottolineare che molte di queste specie esistono solo in Amazzonia[1]. Per questo motivo la conservazione dell’Amazzonia è di grande importanza. I maggiori problemi ambientali che attingono la foresta amazzonica sono: il disboscamento, la creazione di zone esclusive per far pascolare il bestiame, la monocultura, la guerra per ottenere le terre, la caccia e la pesca illegale. Non è possibile un cammino di evangelizzazione in Amazzonia senza tener conto di questa realtà, della complessità delle problematiche che questo territorio presenta. Il pericolo sarebbe un’evangelizzazione ceca, incapace di affrontare i problemi reali, offrendo soluzioni pastorali inadeguate.


Il documento preparatorio fa ampio riferimento alla Laudato Sì (LS) di papa Francesco per indicare alcune chiavi di lettura per la soluzione delle problematiche indicate. «Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto» (EG 181), ricordandoci che «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS 16) e che pertanto «il principio del discernimento» dell’evangelizzazione è collegato a un processo integrale di sviluppo umano (cf. Evangelii Gaudium - EG 181). Questo processo si caratterizza, come segnala LS (cfr. n. 137-142), per un paradigma relazionale denominato ecologia integrale, che articola fra loro i vincoli fondamentali che rendono possibile un vero sviluppo. Se questo paradigma vale in generale per i problemi ecologici, ancora di più per la complessità dei problemi del territorio amazzonico e, per questo, merita un approfondimento. L’ecologia integrale è un nuovo modo d’intendere la relazione profonda esistente tra tutte le creature del nostro pianeta. Quando si osserva la devastazione che l’intervento irresponsabile dell’uomo sta causando nel territorio amazzonico, non si può che concludere che c’è qualcosa di sbagliato nel modello economico adottato. Il papa afferma e dimostra nella Laudato Sì che tutto è interconnesso (LS, 138s).

L’ecologia integrale indica come cammino di comprensione della realtà che tutto è interconnesso e, di conseguenza, non si può pensare all’Amazzonia come una realtà geografica separata dal contesto. Il sistema di piogge della foresta interferisce in altre ragioni del mondo. Tutto è in legame con tutto. La pastora Nancy Cardoso Pereira[2], in un incontro organizzato dal CUM di Verona il 25 settembre 2018, all’interno di una serie d’interventi in preparazione al Sinodo di ottobre[3], ricordava come il sistema idrico dell’Amazzonia dipende dalle Ande, e dalla savana brasiliana, che è la culla delle acque. C’è un sottosuolo di acqua, l’acquifero Guaranì, molto grande. «Tutto dialoga con tutto: le Ande dialogano con le foreste brasiliane. L’Amazzonia riceve, metabolizza e dà. Sempre di più sta avvenendo lo scioglimento dei ghiacciai delle Ande: è una crisi. L’Amazzonia è come un grande frigorifero che raffredda le arie calde»[4].


A proposito di questa interconnessione che esiste tra gli elementi della realtà, punto cruciale dell’ecologia integrale e sul quale la REPAM[5] sta lavorando in questi mesi di preparazione del Sinodo Panamazzonico, il Documento Preparatorio ricorda che il primo grado di articolazione per un autentico progresso è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale. «Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente» (DP, 9). Ciò significa che non è possibile un percorso sociale di valorizzazione del territorio amazzonico senza tener conto del patrimonio culturale acquisito nei secoli dai popoli indigeni, veri custodi della foresta amazzonica. Di conseguenza, il processo di evangelizzazione della Chiesa in Amazzonia non può prescindere dalla promozione e dalla cura del territorio (natura) e dei suoi popoli (culture). Per questo, ha bisogno di stabilire ponti che possano articolare i saperi ancestrali con le conoscenze contemporanee (cf. LS 143-146), «particolarmente quelle che riguardano l’utilizzo sostenibile del territorio e uno sviluppo coerente con i sistemi di valori e con le culture dei popoli che abitano questi luoghi, da riconoscere come loro autentici custodi, e in definitiva come loro proprietari» (DP, 9).

Ecologia, economia e politica, sono legati nella prospettiva di una ecologia integrale indicata da papa Francesco e questo legame ci aiuta a comprendere meglio le sfide di un’evangelizzazione inculturata in Amazzonia. Sin dal periodo dell’invasione iberica, la regione amazzonica è stata in balia di politiche coloniali. 

Tra i secoli XVI-XIX il colonialismo estrattivo ha avuto grandi incidenze sui popoli autoctoni e sui beni naturali attraverso un’ingiusta espropriazione. Nei secoli successivi, con l’avvento degli Stati moderni, le pratiche e le mentalità coloniali continuano attraverso lo sfruttamento delle popolazioni, delle culture e dei territori di questa immensa regione. L’Amazzonia, ha ricordato Mons Evaristo Spengler in un recente seminario di studi sul tema in questione, ha già resistito ai grandi progetti delle monoculture e della corruzione[6]. Per quanto riguarda il Brasile, Mons Spengler ha ricordato che nel 1926 Henry Ford comprò tre milioni di ettari di terra lungo il fiume Tapajos, contrattò più di tre mila operai, distrusse la foresta, pianto settanta milioni di piantine di alberi di caucciù per estrarre il caucciù. Un fungo invisibile, con una grande capacità di moltiplicarsi, portò il progetto al fallimento. La monocultura, nonostante si trattasse di una pianta amazzonica, fu rigettata dalla foresta. In questo stesso articolo Mons Evaristo ci ricorda che oggi sono attivi in Amazzonia, due modelli di sviluppo. Uno è predatorio, di estrazione della legna, dei minerali, del petrolio e dell’energia, che ha come conseguenza il disboscamento (20% della foresta amazzonica è già stata disboscata), la concentrazione dei redditi, il lavoro schiavo, l’avvelenamento del suolo e delle acque, i conflitti di occupazione con l’espulsione dei popoli della foresta, la mancanza di rispetto delle leggi, la morte dei leaders ambientalisti e degli agenti di pastorale. L’altro modello è socio-ambientale, ecologico nella direzione dei popoli della foresta. Questo secondo modello ha come conseguenza la distribuzione del reddito, la preservazione della foresta e della biodiversità, la socializzazione della terra e dei fondi, la preservazione dei popoli tradizionali, l’incentivo al mercato locale. Questo modello dev’essere rafforzato attraverso anche il lavoro pastorale.


I missionari che evangelizzano in questo contesto accompagnando le comunità ecclesiali, non possono ignorare la complessità di questi problemi. Il rischio sarebbe un’evangelizzazione disincarnata, fuori dal contesto, che produce una religione alienata, che non aiuta i fedeli ad incontrarsi con il Dio che si manifesta nella realtà concreta del suolo amazzonico. Il documento preparatorio del Sinodo Pan Amazzonico prendendo come riferimento la proposta di Papa Francesco che, nell’enciclica Laudato Sì parlava di conversione integrale, ci ricorda che: «quando avremo coscienza di come il nostro stile di vita e il nostro modo di produrre, di commerciare, di consumare affettano la vita del nostro ambiente e della nostra società, solo allora potremo iniziare una trasformazione con orizzonte integrale» (DP, 53). Queste parole indicano che la fede ha sempre più bisogno di una nuova spiritualità, che si allontani giorno dopo giorno da ogni forma di antropocentrismo e d’individualismo, per raggiungere una spiritualità incarnata che aiuta ogni persona a riconoscere la propria responsabilità nei confronti della creazione. Un cammino di comunità in cui le persone sono aiutate ad assumere questo livello di coscientizzazione potrà produrre eucarestie più autentiche e consapevoli del cammino di trasformazione al quale la Chiesa è chiamata da Cristo. L’ecologia integrale, dunque, ci invita a una conversione integrale. «Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze» e le omissioni con cui «offendiamo la creazione di Dio», e chiede di «pentirsi di cuore» (LS 218).

Il Documento Preparatorio, ponendosi sulla linea della conversione integrale come conseguenza immediata dell’ecologia integrale proposta da papa Francesco nella Laudato sì, invita a riflettere sul livello di coscientizzazione dei cristiani sugli stili di vita adottati sia personalmente che comunitariamente. C’è un modo di produrre, commerciare, consumare che influenza la vita dell’ambiente e della società. Il percorso di preparazione al Sinodo sull’Amazzonia dovrebbe aiutare le comunità cristiane a porre in atto delle scelte rispettose dell’ambiente, che stimolino la società civile e politica alla presa di coscienza della necessità e dell’urgenza di un tale cammino di conversione ambientale.






[1] I numeri sulla biodiversità amazzonica si trovano in: http://floresta-amazonica.info/biodiversidade-da-amazonia.html
[2] Pastora metodista, è laureata in sacra Scrittura. È stata consulente del Centro biblico Verbo, di San Paolo (Brasile), ed è attualmente coordinatrice nazionale della Commissione pastorale della terra. Vive a Rio de Janeiro con il figlio e la figlia. Partecipa al collettivo editoriale della Revista Latino Americana de Interpretação Bíblica ed è vicepresidente dell’Associazione brasiliana di ricerca biblica.
[3] La Fondazione CUM, Centro Unitario Missionario, è un organismo della Conferenza Episcopale Italiana che si cura della formazione dei missionari italiani attraverso varie iniziative rivolte sia ai preti fidei donum, religiosi e religiose, ed anche ai laici. Cura in modo particolare i sacerdoti fidei donum italiani all'estero impegnati in scambi e cooperazione tra le chiese e i fidei donum stranieri in Italia inseriti in servizi pastorali. 
La Fondazione CUM nasce ufficialmente il 18 dicembre 1997 (cfr.: http://www.fondazionecum.missioitalia.it/contenuti.php?id=1#.XOUA3MzVLIU).

[4] La sintesi dell’intervento di Nancy Cardoso Pereira si trova in: https://regiron.blogspot.com/2018/09/verso-il-sinodo-amazzonia-nuovi-cammini.html.
[5] La REPAM, fondata nel settembre 2014 a Brasilia (Brasile), è la Rete Ecclesiale Pan Amazzonica che si propone di ascoltare, accompagnare, appoggiare, formare, stimolare e unire le forze per rispondere alle grandi sfide socio-ambientali. È un organismo che cerca di coinvolgere i popoli indigeni per la difesa della casa comune. Gli enti fondatori sono i seguenti: Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB). Segreteria della Caritas dell’America Latina e Caraibi (SELACC), Conferenza Latino-americana e Caraibi dei Religiosi e Religiose (CLAR). Il sito che raccoglie le proposte e i progetti della REPAM è il seguente: http://repam.org.br.
[6] Parole di Mons Evaristo Spengler, vescovo della Prelazia di Marajò (Brasile) nel Seminario organizzato dalla Segreteria Generale del Sinodo per l’Amazzonia nel mese di febbraio 2019 dal titolo: Rumo ao Sínodo Especial para a Amazônia: dimensão regional e universal. Il testo del suo intervento si trovano in:   http://www.ihu.unisinos.br/587026-a-amazonia-nao-precisa-ser-conquistada-precisa-ser-respeitada-afirma-dom-evaristo-spengler.


domenica 19 maggio 2019

PENSARE IL PRESENTE - CONFERENZA DI GIANNI VATTIMO



CIVITANOVA MARCHE

27 luglio 2012

Sintesi: Paolo Cugini

Perché uno parla di realtà? Perché c’è bisogno di sapere. C’è un bisogno di realismo che a me sembra un bisogno nevrotico, un bisogno di rassicurazione.
Il ritorno all’ordine è un momento che viviamo adesso nella cultura.

Che cosa chiamiamo realtà? Nietzsche ed Heidegger i quali ci hanno insegnato a vedere la storia della nostra cultura come un cammino di distruzione dell’oggettività. Anche la verità scientifica attuale dice di una forma del venir meno di certezze.
Addio alla verità: quando si parla della verità oggettiva occorre tener conto che la verità sempre dentro ad un contesto culturale e quindi la verità è sempre interpretazione, Kant diceva che la ragione umana è uguale in tutti.

Il progressivo dissolversi dell’oggettività è il senso stesso della civilizzazione. La nostra presa sulla realtà è quella che è. Se c’è una strada di emancipazione per l’umanità è quello di ridurre progressivamente la perentorietà di ciò che si dà e che sembra insuperabile.

Dalla realtà verso una realtà sempre più spiritualizzata. La civilizzazione è la trasformazione dell’immediato in mediato simbolizzato, qualcosa che si è messo in ordine.
Progressiva dissoluzione dell’oggettività che è una progressiva liberazione dell’iniziativa umana. Habermas sostiene che la razionalità corrisponde a qualcosa che si può presentare senza vergogna ad altri interlocutori.

Anche nella verità scientifica è tutto una questione di argomento ad hominem. Non c’è niente più del consenso intersoggettivo nella così detta oggettività. Non c’è una scienza oggettiva, ma degli orientamenti scientifici più o meno accettati.

Popper: il sapere scientifico è l’esclusione di ipotesi che si possono negare.

L’idea che ci sia un verità scientifica oggettiva è una posizione autoritaria. La scienza non è assolutamente oggettiva. Thomas Kuhn sosteneva che il sistema tolemaico si è perso perché i tolemaici sono morti senza discepoli e c’erano rimasti solo i copernicani. L’andamento delle rivoluzioni scientifiche è legato alla storicità . C’è un legame intrinseco tra teorie scientifiche e andamento politico.
Ci sono delle influenze politiche che ci fanno preferire una teoria scientifica al posto di un’altra.
Il discorso della realtà che si assottiglia è legato al tema dell’interpretazione. La nostra esperienza del mondo è legata alle interpretazioni che abbiamo assimilato.

Il rilievo politico di questo discorso è ovvio. Le leggi economiche, naturali sono solo interpretazioni soggettive. C’è sempre qualcuno che smentisce una teoria ritenuta oggettiva.

La verità nel ‘900 può essere riassunta dicendo che al posto della verità s’installa la carità nel senso dell’intersoggettività.
Abbiamo trovato la verità quando ci siamo messi d’accordo.

EUROPA O CRISTIANITÀ- Intervento di Massimo Cacciari all’università di Pavia





26 febbraio 2019

Sintesi di Paolo Cugini

Il cristianesimo in Europa è un fattore di contraddizione, inquieta questa civiltà, è un fattore di crisi, di contraddizione all’interno della civiltà. Presenza paradossale del cristianesimo nella civiltà europea.
Le due città di Agostino. In questa città vi è una città che è in rapporto con l’altra, ma pure in conflitto; un rapporto critico. Si devono continuamente confrontare. Non è possibile la pace tra le due città che sono in terra ambedue, che sono in dovere di confrontarsi.

Evangelizzare: sottoporre in continua critica l’altro, amando.  La missione della Chiesa non può svolgersi in modo pacifico. Così come il filosofo che inquieta continuamente il suo interlocutore. La città di Dio nei confronti della città dell’uomo ha la missione di lasciarla inquieta.

C’è la ragione e la fede, tra le due dimensioni c’è una distinzione. L’uomo di fede ritiene che quelle verità siano superiori alle parole umane, ma non le mette una contro l’altra.

La fede è grazia. È evidente che l’intelletto cerca la verità della fede. Si cerca di capire ciò che la rivelazione dice. È inevitabile nel cristianesimo mettere a tacere l’intelletto. Accade che cerco di vedere quale rapporto ci può essere tra la verità di ragione e la verità di fede. Ci dev’essere un discorso riguardante Dio come base comune. S’incontrano in un dominatore comune, una teologia naturale. La verità rivelata mi dice chi è, però sono insieme a colui che ragiona su questa base. Vi è un’analogia tra le due verità, almeno fino al punto dell’estasi mistica. Gli stolti sono esclusi da questo percorso. La cristianità essenzialmente si è fondata su questa idea.

Altro paradigma è quello dell’aut-aut. La verità di fede non ha nulla a che fare con la razionalità scientifica. Gli scolastici hanno fatto un trucco. C’è un’assoluta divisione tra le due verità, non ci può essere nessuna comunanza. Il Dio che io so, non ha nulla a che vedere con il Dio in cui tu credi. L’uomo di fede non possiede alcuna verità, che sono solo le proposizioni filosofiche e scientifiche. Le credenze non sono verità, ma superstizioni. Anche questo è Europa. È la tradizione del razionalismo, che diventa travolgente nell’illuminismo radicale. Il discorso razionalista stabilisce una gerarchia di valore. Spinoza è un esempio di questo discorso. LA verità di fede non ha nulla a che fare con lo statuto della verità. Questa posizione nasce già nel ‘600 dalla catastrofe delle guerre di religione.

A questa posizione risponde la filosofia idealistica: Fichte, Schelling, ecc. Non si può imporre come unica dea la verità scientifica. Questa posizione è un errore per l’idealismo perché il contenuto essenziale della religione cristiana è il medesimo: il Logos. È questo il tema fondamentale, il Logos che si immanentizza. In Dio vi è l’umano: è questa la grande filosofia. Dio è relazione: Agostino. La religione rappresenta con immagini ciò che è il concetto. L’idea giusta dell’Assoluto è il Dio che si fa immanenza. La religione crede la rappresentazione sensibile di ciò che la filosofia pensa scientificamente. Il cristianesimo è Europa perché è la religione razionale (Hegel).

Reazione all’Hegelismo. La storia di Abramo non può essere razionale. L’uomo di fede non ha nulla a che vedere con l’uomo etico. Quella sintesi degli idealisti in cui la tradizione cristiana era sussunta nel logos filosofico. La religione cristiana è mistero. Rivelazione: rimettere il velo. Non vedremo più senza velo solo nel giorno del Signore.

Kierkegaard e Barth: la battaglia contro la conciliazione dialettica dell’idealismo. Singolarità della chiamata e della risposta.

Diventa essenziale una critica radicale del cristianesimo. 1830-1848: è periodo molto critico. Hegel ha spiegato che tutti i concetti religiosi vanno interpretati in chiave d’immanenza. È rimasto nel tentativo di conciliare filosofia, cristianesimo e scienza. Dall’altro una critica all’idealismo, perché occorre ribellarsi da ogni autorità religiosa. Il confronto con il cristianesimo è fondamentale. La critica del cristianesimo è il fondamento di una prassi rivoluzionari. Augusto del Noce: non si può trovare una conciliazione tra le varie tendenze.

Tutto questo è Europa, radici europee. Tutti i paradigmi che nascono dal testo epocale che è la città di Dio di sant’Agostino, dicono di una complessità, che obbliga ad assumere parte nel confronto. Mi fa paura che si tenga ad annullare la potenzialità di questo confronto, cercando compromessi rappacificanti. L’unità si trova continuando il confronto. La forza dell’Europa è nata da queste contraddizioni, conflitti, dalla febbre del concetto e dall’inquietudine della fede che vuole capire ciò in cui crede. Le radici sono lotte, parti che si confrontano.
Oggi l’Europa è entrata in una fase di reazione. Il mondo è stato fatto dallo spirito europeo. Questa Europa ha fatto un mondo. È necessario il confronto. Se l’Europa si chiude e si difende, l’Europa è finita.
Negli anni ’30 vi erano grandi voci che parlavano dell’Europa come conflitto e prendevano posizione. Guardini: era netto. L’Europa risorgerà solo sulla base della cristianità. Non ci potrà essere una casa comune senza i valori sorti dalla cristianità. Guardini: o cristianità o non Europa.
Husserl: Crisi delle scienze europee. O tutto il sistema politico è teso alla promozione dell’interesse scientifico, o l’Europa non sarà. Posizione netta.

Tra le due posizioni è necessario il confronto.

Posizione liberale. Non è fondato sul principio della fratellanza. Tutto è contratto e patto, però la proprietà obbliga, perché si colloca nell’ambito di una rete di relazioni sociali e evo tener conto degli effetti che ha la mia ricchezza.

Nessuna delle tre posizioni è uguale all’altra. È necessario il confronto, per capire la propria identità sempre meglio. Se cerchiamo di ridurre ad uno la radice, per difendersi e basta, l’Europa è perduta. Un’Europa che si difende cercando un minimo denominatore, contraddice la sua essenza. Un’Europa che si chiude è una contraddizione. Ritengo che sia utopistico pensare ad una cristianità senza Europa. Se l’Europa pensa di risanarsi eliminando la sua inquietudine, temo che travolgerà la stessa cristianità nella sua caduta. Un’Europa che non abbia quella cristianità che porta la spada, che esige il confronto e magari anche il confronto duro e aspro come voleva Guardini, come farà a continuare ad esistere? Se viene meno l’Urbs che fine farà l’Orbis? L’Europeo non può fare a meno della cristianità.


sabato 11 maggio 2019

IL SINODO PAN-AMAZZONICO E L’ATTENZIONE AI POPOLI INDIGENI







Paolo Cugini


C’è un tema che il sinodo Panamazzonico, che si svolgerà a Roma nel mese di ottobre, porta alla ribalta non solo della Chiesa, ma anche dell’opinione pubblica ed è la situazione dei popoli indigeni. Il processo di evangelizzazione nella grande regione panamazzonica presenta un aspetto di grande originalità rispetto ad altre regioni nel mondo, per la sua vasta gamma di popoli indigeni con le loro specifiche lingue, culture religioni. Come ricorda il Documento preparatorio: “Nei nove Paesi che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile - CIMI) e altre, fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o popoli liberi”[2].

Varietà di popoli significa, da un punto di vista antropologico, una grande ricchezza culturale, che si manifesta nella grande varietà di idiomi.  Secondo le stime, c’erano 1500 idiomi in Brasile prima dell’arrivo dei colonizzatori. Oggi è rimasto il 10% delle lingue. Il luogo in cui si sono mantenute la maggior parte di lingue è l’Amazzonia, anche perché è una regione che non fu molto colonizzata a causa della difficoltà di vivere. Oggi si calcola che ci siano nella regione panamazzonica 200 lingue parlate. Molti popoli indigeni, che vivono fuori dalle terre indigene, vale a dire che vivono nelle grandi città, non parlano la lingua originale, ma conoscono appena il portoghese. Il 37% degli indigeni parlano in casa la propria lingua. Nel 1758 il Brasile proibì l’uso della lingua Tupì, che era la lingua generale brasiliana. La stessa popolazione non riconosce il valore delle lingue dei popoli indigeni, chiamandole dialetti. C’è, quindi, una grande discriminazione nei confronti dei popoli indigeni nello stesso Brasile. Solo 5 delle 180 lingue indigene parlate in Brasile ha più di 10000 parlanti (Tikuna 34 mila; Guaranì 26 mila). Ci sono, dunque, molte lingue vicino all’estinzione, lingue con meno di 10 persone parlanti l’idioma[3].

Per questo motivo, i popoli indigeni nel sinodo panamazzonico devono essere interlocutori indispensabili, perché vivendo da millenni in questa regione, conoscono il territorio amazzonico più di qualsiasi altro popolo. Come ricorda il Cardinale Claudio Humes: “la loro visione del mondo e la loro vita religiosa si è modellata a partire dalla loro esistenza millenaria nella foresta amazzonica, insieme a quella immensità di acque in fiumi incredibilmente grandi, convivendo con una biodiversità affascinante. Loro sono i saggi guardiani di questo ecosistema privilegiato[4].



Evangelizzare nel territorio panamazzonico significa anche riconoscere che tutta questa ricchezza culturale e religiosa dei popoli indigeni è oggi più che mai minacciata. Lo ha ricordato papa Francesco durante il viaggio in Cile del gennaio 2018 nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia[5]. I popoli indigeni sono stati perseguitati, cacciati, schiavizzati e sterminati sin dall’epoca dell’arrivo dei colonizzatori europei. I popoli che incontriamo oggi nel territorio amazzonico rappresentano una piccola minoranza che cerca di sopravvivere. Il processo di persecuzione, infatti, non si è mai arrestato. I popoli indigeni sono aggrediti, espulsi dalle loro terre, sfruttati e molti continuano ad essere uccisi. A causa di questa persecuzione alcuni popoli si sono isolati all’interno della foresta, isolandosi persino dalle loro stesse etnie. Sono i così detti popoli denominati “Popoli Indigeni in Isolamento Volontario” (PIAV). Oltre a ciò, il processo di evangelizzazione nel territorio amazzonico deve tener conto delle minacce che i popoli indigeni stanno subendo nel territorio brasiliano dall’attuale Governo. Solo per citare alcune scelte realizzate dagli ultimi due presidenti del Brasile:
a.       l’ex presidente Temer con il parere n. 001/2017: parere che obbliga l’amministrazione pubblica federale ad applicare, a tutte le terre indigene del paese, condizionanti che il Supremo Tribunale Federale stabilì nel 2009 quando ha riconosciuto la costituzionalità della demarcazione della Terra Indigena Raposa Serra do Sol, in Roraima. Ciò significa non riconoscere il carattere tradizionale dell’occupazione indigena quando la comunità non stava nella terra data dalla promulgazione della Costituzione. Oltra a ciò, afferma che non si possono correggere i limiti delle terre demarcate e anche la possibilità di decidere senza ascoltare la comunità nel caso di alcuni progetti e di problemi d’infrastruttura.

b.      L’attuale presidente Bolsonaro con la  MP 870/2019 ha cambiato l’organogramma delle responsabilità in riferimento delle terre indigene. D’ora innanzi la responsabilità che era della FUNAI, è di responsabilità del ministero dell’agricoltura. La FUNAI diventa integrata nel ministero della Famiglia e diritti umani e non più della Giustizia. Il problema sono i ministri di questi ministeri che si trovano agli antipodi delle problematiche dei popoli indigeni, per non dire contro. Bolsonaro ha già dichiarato che non demarcherà un solo cm di terra indigena e cercherà di rivedere le demarcazioni delle terre. C’è quindi una strumentalizzazione degli organi politici responsabili per l’udienza dei popoli indigeni. Altro dato significativo e drammatico, in questa direzione, è il fatto di aver collocato un Generale come presidente della FUNAI (è l’organismo ufficiale del Governo che si occupa della delimitazione delle terre indigene). Si tratta di una strategia messa in atto dall’attuale governo brasiliano che minaccia e destabilizza economicamente i popoli indigeni con la destrutturazione degli organi responsabili per la protezione di questi popoli attraverso il taglio dei versamenti e l’estinzione degli incarichi e delle unità amministrative[6].





Tener conto della situazione socio politica nel processo di evangelizzazione del territorio panamazzonico significa riflettere sui processi d’inculturazione da mettere in atto. Ne aveva già parlato papa Francesco nell’Evangeli Gaudium quando affermava che: “E’ indiscutibile che un’unica cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo” (EG, 118). Non è possibile pretendere che tutti i popoli dei vari continenti imitino le modalità di fede adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia. “La fede non può essere confinata dentro i limiti della comprensione e espressione di una cultura” (EG, 118). Inculturazione richiama lo sforza di ascolto e valorizzazione delle culture locali, che conduce alla capacità di lasciarsi contaminare, di permettere nuovi cammini di trasmissione della fede, di liturgie che riescano ad esprimere i contenuti evangelici attraverso il materiale emerso nel processo d’inculturazione. Questo processo promuove la diversità nell’unità, assume volti diversificati secondo la cultura nella quale s’incultura[7]. Il documento preparatorio al sinodo panamazzonico parla esplicitamente di un cammino di Chiesa dal volto amazzonico e indigeno, richiamando le parole di papa Francesco nel già citato discorso ai popoli dell’Amazzonia: “Abbiamo bisogno che i popoli indigeni plasmino culturalmente le chiese locali dell’Amazzonia […] Aiutate i vostri vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie a farsi una cosa sola con voi e così, dialogando con tutti, potete plasmare una Chiesa dal volto amazzonico e una chiesa dal volto indigeno. Con questo spirito ho convocato un sinodo per l’Amazzonia[8].

Credo che sia quest’aspetto che rende significativo anche per la Chiesa in Occidente il sinodo Panamazzonico. Come ha riconosciuto il cardinal Claudio Hummes commentando il testo citato, occorre riconoscere che sino ad ora si è fatto poco nel cammino di un’evangelizzazione inculturata[9]. Anche il teologo brasiliano Paolo Suess, in un’intervista rilasciata alla rivista Unisinos[10], afferma la stessa cosa, pur riconoscendo differenti gradi di approssimazione tra la Chiesa Cattolica e i popoli indigeni. Il problema, sostiene Paolo Suess, si riscontra già nei processi di formazione dei futuri leaders della Chiesa, vale a dire preti e vescovi. Oltre, infatti, all’esigenza del celibato che poco s’inquadra nella cultura indigena, “la stessa formazione accademica è culturalmente inadeguata ed economicamente inaccessibile per i popoli indigeni”. Non esistono strutture formative nella Chiesa Cattolica che tengano conto della ricchezza culturale dei popoli indigeni: tutto viene ridotto agli insegnamenti che provengono dalla teologia elaborata in Occidente. Non sappiamo che cosa un sinodo possa proporre a questo livello specifico. Sta di fatto che la Chiesa, per uscire dalle belle parole, deve poter offrire spunti capaci d’innestare processi in grado di mettere in condizione la Chiesa dell’Amazzonia di assumere un volto proprio e specifico: una Chiesa dal volto indigeno. Secondo Paolo Suess il primo passo da compiere in questa direzione consiste nel mettere in grado le popolazioni locali di avere presbiteri indigeni. La grande varietà di lingue dei popoli indigeni non permette al missionario di parlare la lingua del popolo al quale rivolge l’annuncio del Vangelo, Questo comporta “l’incapacità di comprendere il loro passato, il loro cibo e comprendere il loro pensiero”. C’è uno stile di Chiesa in Amazzonia che deve sempre di più assumere le forme della cultura indigena, del loro modo di pensare e intendere Dio. A questo proposito, in un’intervista del giornalista  Luis Miguel Modino a Miguel Castro Piloto, componente del popolo Baniwa, nel municipio San Gabriele ddella Cachoeira, alla frontiera con la Colombia vicino ai fiumi Içana e Ayari, Miguel Castro sosteneva che per i popoli indigeni Dio è la natura e il popolo indigeno ringrazia la natura, perché è da lì che viene l’alimentazione, ma anche la malattia e la salute. “E’ Dio la vera vita per questo i popoli indigeni valorizzano la natura e la proteggono. La nostra religione dice che tu sei castigato se non vivi ben, anche l’indigeno è castigato se non rispetterà la natura. Per capire questi aspetti importanti della nostra religione i preti devono vivere in mezzo a noi[11].



Già Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio (1990) sosteneva la necessità di un’evangelizzazione sempre più inculturata perché è questo processo a produrre “l’intima trasformazione dei valori culturali autentici, per la loro integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture” (RM, 52). Nello sviluppo dell’evangelizzazione delle culture, queste passano per un processo pasquale; vengono infatti, purificate dai loro errori e mali. In questo modo, sostiene il cardinal Hummes, le culture muoiono, ma i loro valori, in termini di verità e bene, sono aperti a nuovi orizzonti di espressione più alta e, così, risuscitano per una piattaforma nuova e trascendente con espressioni nuove e più ricche. In questo modo le culture non sono distrutte, ma trasformate ed elevate. Le sementi della verità e del bene, che tutte le culture posseggono, dimostrano che Dio è sempre stato presente e si manifesta. Sono tracce di Dio che gli evangelizzatori scoprono. “Questa presenza di Dio nelle culture dei popoli mostra che egli è sempre stato presente nella loro vita e loro storia, li ha protetti e, in qualche modo, si è a loro rivelato[12]. 
Il Sinodo per l’Amazzonia, che avrà luogo a Roma nel mese di ottobre, offre dunque anche per la Chiesa Occidentale molti spunti di riflessione. L’attenzione ad un’evangelizzazione inculturata con i popoli indigeni, interpella anche il modo di fare pastorale in un contesto che vede la presenza sempre maggiore di popoli diversi. Forse, dal sinodo usciranno idee che potranno ispirare il nostro cammino di Chiesa, per una pastorale non a senso unico, ma maggiormente attenta alle diversità presenti sul territorio.







[1] Partecipante del Corso sulla realtà amazzonica, svoltosi a Manaus nel mese di febbraio 2019.
[2] Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Documento preparatorio, in: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/06/08/0422/00914.html.
[3] Dati raccolti nel Corso sulla realtà amazzonica, tenutosi nel mese di febbraio 2019 a Manaus.
[4] C. HUMES, O sínodo para a Amazônia, Paulus, São Paulo 2018, p. 29.
[5] Viaggio Apostolico in Cile. Incontro con i popoli dell’Amazzonia. Discorso del Santo Padre,19/01/2018, in: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180119_peru-puertomaldonado-popoliamazzonia.html
[6] Dati forniti al Corso sulla realtà amazzonica tenuto nel mese di febbraio 2019 a Manaus.
[7] Su questo tema cfr.: C. HUMES, O sínodo para a Amazônia, cit., p. 46.
[8] Viaggio Apostolico in Cile. Incontro con i popoli dell’Amazzonia. Discorso del Santo Padre,19/01/2018, in: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180119_peru-puertomaldonado-popoliamazzonia.html
[9] C. HUMES, O sínodo para a Amazônia, cit., p. 47.
[10] Por uma Igreja com rosto amazônico e com rosto indígena. O sínodo panamazônico e a busca de um novo paradigma de Evangelização. Entrevista especial com Paulo Suess, in Revista IHU, 11/05/2018 on line, http://www.ihu.unisinos.br/159-noticias/entrevistas/578822-por-uma-igreja-com-rosto-amazonico-e-com-rosto-indigena-o-sinodo-pan-amazonico-e-a-busca-de-um-novo-paradigma-de-evangelizacao-entrevista-especial-com-paulo-suess.
[11] Padres tem que conhecer melhor as culturas indígenas. Intervista de Miguel Modino com o professor indígena Miguel Piloto, in Revista IHU on line, 19/02/2019,  http://www.ihu.unisinos.br/78-noticias/586780-padres-tem-que-conhecer-melhor-as-culturas-indigenas-entrevista-com-o-professor-indigena-miguel-piloto.
[12] C. HUMES, O sínodo para a Amazônia, cit., p. 47.