La comunità dei fedeli dinanzi alla
Scrittura
Paolo
Cugini
Ci
sono voluti parecchi secoli per giungere a leggere la Bibbia in modo tale da
poterne comprendere il senso. Ci sono voluti secoli per fare in modo che la
Bibbia diventasse Parola di Dio per gli uomini e le donne, che potesse dire
qualcosa per loro, per il loro vissuto, per aiutarli a vivere in modo autentico
la loro umanità, a partire dalla loro realtà. Ci sono voluti millenni per uscire
dall’idolatria della lettera per entrare, finalmente, nel mondo dello Spirito. Era
impossibile, infatti, che parole scritte alcuni millenni fa, potessero dire
qualcosa di sensato per l’uomo e la donna di oggi. Era impossibile che un testo
così vecchio potesse essere attuale, vivo. Nessuna parola è, infatti, pura.
Anche i discorsi riportati nella Bibbia sono intrisi di cultura, di tradizioni
locali, di modi di dire legati ad una particolare regione, di visioni del mondo
inerenti ad un particolare periodo storico. Ce lo hanno insegnato Heidegger e
soprattutto Gadamer, come vedremo, che qualsiasi linguaggio non è mai puro, ma
è portatore di tradizione che vanno comprese, interpretate. Com’era possibile
pensare che la lettera così intrisa di terra e di storia potesse rimanere
attuale per tutti i secoli e per tutte le culture di ogni tempo e latitudine? Eppure
è avvenuto così. Nonostante san Paolo avesse allertato che la lettera uccide e
che è lo spirito a dar vita, per molti secoli si è imprigionata la Parola viva
nella lettera morta. Senza dubbio esiste un senso letterale che va ascoltato e
rispettato. Già i Padri della chiesa, però, sollecitavano i fedeli a cercare il
senso spirituale. Per aiutare in questa ricerca avevano messo a punto il metodo
tipologico, ponendo in parallelo i testi del Nuovo Testamento con il Primo
Testamento. In questo modo, si metteva in risalto il carattere di compimento
della presenza di Gesù nella storia, oltre a porre in rilievo la continuità
della storia della salvezza. Il metodo tipologico permetteva, poi, di
comprendere come nella prospettiva della salvezza, la venuta di Gesù Cristo
fosse il punto culminante del processo storico-salvifico. Anche il metodo
allegorico, messo a punto da Filone Alessandrino qualche decennio prima della
venuta di Gesù, aveva offerto qualche spunto importante per uscire dalle paludi
della lettera. Ci sono voluti parecchi secoli per arrivare con Schleiermacher a
prendere sul serio la questione dell’interpretazione del testo sacro. In mezzo
c’è stata la diatriba di Lutero con la Chiesa che ha ritardato i tempi. Perché
tanta resistenza a comprendere che la lettera ha bisogno di essere approfondita
per liberare il contenuto che porta? Un testo come la Bibbia che viene da molto
lontano ed è portatrice di tante tradizioni, di tante mani, che emana il
fragore proveniente da tante culture, da tante storie, non può essere preso con
superficialità, non può essere letto solamente sul piano letterale. Come si può
pensare che basta leggere un testo così per capirne subito il senso? Com’è
possibile identificare la Parola di Dio con la lettera? Quante persone sono
state distrutte, nel senso letterale del termine, perché si è identificato il
significato con la pura lettera. Galileo è l’esempio più eclatante. Ma non c’è
bisogno di scomodare Galileo. Basta osservare quello che avviene anche oggi in
tante comunità cristiane, non solo cattoliche. Nell’introduzione della Bibbia
delle comunità neo-pentecostali c’è scritto a chiare lettere che, pur riconoscendone
il valore, loro rifiutano l’apporto del metodo storico-critico applicato alla
Bibbia. È meglio vivere con la testa sotto la sabbia che guardare in faccia la
realtà. Se nonostante tutti gli sforzi sia della scienza che della filosofia
ermeneutica per comprendere meglio il senso del testo, c’è chi li rifiuta e si
nasconde dietro alla lettera, significa che, a questo punto, Dio e la religione
non c’entrano più. Entriamo a questo punto nell’ambito delicato della
psicanalisi, che non è quello che ci riguarda.
Se
osserviamo in modo sincronico il percorso della storia notiamo che quando più
il dibattito nella Chiesa si concentra sul problema del ruolo del papato, tanto
più il dibattito sulla Parola di Dio perde d’interesse. Questa distonia la si
percepisce leggendo i documenti ufficiali della Chiesa nei quali, ad un certo
punto, perdono sempre più peso le citazioni della Scrittura a favore delle
citazioni delle encicliche dei papi. La scarsa attenzione alla Scrittura è
senza dubbio uno dei motivi fondamentali che ha fatto slittare in avanti il
problema della sua interpretazione. L’attenzione all’ascolto della Parola
veniva sostituito con la formulazione dei dogmi e della dottrina. Essere
cattolico ha voluto dire, ad un certo punto del percorso storico, conoscere la
dottrina. Non ci si è resi conto che, in questo modo, si cadeva in una sorta di
gnosticismo volgare, a basso costo. In questo clima teologico e spirituale il
devozionismo moderno ha trovato spazio nel cuore del cattolicesimo. Se non era
più la Parola di Dio a guidare la comunità cristiana, ma un insieme di precetti
che venivano memorizzati assieme alla partecipazione di alcuni riti, allora la
dimensione individuale della vita spirituale slegata dal piano sociale, veniva
facilitata. In un certo senso potremmo dire che ad un certo punto del cammino
della Chiesa non interessava più e non serviva interpretare la Sacra Scrittura.
La vita spirituale era già piena di devozioni e di precetti che assolvevano il
compito di alimentare la fede dei fedeli. Oltre a ciò, la Scrittura dall’epoca
dei Padri non era più il riferimento principale che alimentava la vita della
comunità. Persino nella liturgia la Parola di Dio non aveva un ruolo centrale,
ma secondario, anche perché nella liturgia, a partire dal secolo VII, avviene
un processo di progressiva ritualizzazione. Non è più importante la Parola di
Dio che provoca la conversione dei cuori, ma il poter vedere il corpo di Cristo
sacramentalizzato. Alla fede non ci si arriva attraverso una presa di coscienza
che coinvolge tutto l’essere personale e dove, perlomeno in Occidente, la
ragione ha un peso fondamentale, ma per via sentimentale. Le grandi predicazioni
degli ordini mendicanti, preoccupate a stimolare i sensi di colpa degli
ascoltatori, più che un’autentica conversione del cuore, che muove ad una
scelta consapevole e ad un impegno comunitario, toccavano soprattutto il
sentimento, più che della ragione. Il cristianesimo, oltre a divenire la
religione dell’impero, diviene un fattore sociale e politico. Il distacco tra
scienza e fede, tra religione e ragione, avvenuto nell’epoca moderna, ha
trovato il terreno favorevole nel cambiamento che lo stesso cristianesimo ha
subito a partire da Costantino nel IV secolo. Allo stesso, tempo, però, è
giusto sottolineare che anche nell’epoca moderna fede e scienza non si sono
totalmente ignorati. Diversi, scienziati, infatti, non hanno mai nascosto sia
la propria fede che il proprio interesse per il mondo religioso. Su tutti vale
la pena citare Isac Newton che, tra i suoi numerosi scritti scientifici,
annovera anche dei commentari biblici.
La
necessità di porsi in modo critico dinanzi alla Parola di Dio avviene in
Occidente sia come conseguenza dell’importanza che le chiese protestanti attribuivano
alla Bibbia, sia a causa del cambiamento del contesto sociale e culturale. Da
una parte l’illuminismo, dall’altra il crescere dell’approccio scientifico alla
realtà dovuto alle scoperte e alle invenzioni dell’epoca moderna hanno aperto
lo spazio per una contaminazione positiva anche nel tessuto religioso ed
ecclesiale. Sempre di più la ragione si separa dalla fede, relegandola nella
sfera del magico. D’altronde la Chiesa, dopo l’epoca d’ora dei Padri, immersa
nella difesa del potere temporale e degli intrighi politici, aveva abbandonato
l’interesse per le disquisizioni sofisticate, relegandole al dibattito
universitario tra francescani e domenicani. Il problema ermeneutico nasce
dall’impulso delle scienze moderne che iniziano ad approcciare un testo antico
in modo nuovo. Si percepisce che un testo non è solo l’espressione del pensiero
di un autore, ma lo stesso porta con sé residui culturali del suo tempo,
opinioni, modi di essere e di dire. Per cogliere l’oggettività del testo o per
giungervi vicino, occorre uno sforzo scientifico di rilievo. È con la Nouvelle Histoire che sviluppa il suo
progetto scientifico attorno alla rivista Les
Annales fondata nel 1924, che viene messa in mostra tutta l’efficacia
dell’armamentario scientifico per analizzare un periodo storico a partire dai
suoi documenti. Psicanalisi, antropologia, etologia, geografia, archeologia:
tutto ciò che può aiutare ad intervenire per comprendere meglio un periodo
storico, un documento, è il benvenuto. C’è una prima osservazione che mi sembra
necessaria: d’ora innanzi risulta chiaro che nessuno testo può essere osservato
da una sola prospettiva. Il testo è portatore di una pluralità di contenuti che
esigono una pluralità di strumenti per essere compreso. Se ciò è vero in linea
generale, tanto più per i testi antichi come, per l’appunto, i testi della
Bibbia. Finalmente si esce dall’infantilismo idolatrico del primato della
lettera. Pluralità di espressione che del resto troviamo espressa già dal testo
biblico, che è tutto fuorché un testo univoco e uniforme.
La
Chiesa ufficiale si è difesa all’estremo dinanzi all’approccio scientifico dei
testi Sacri. Il problema dal suo punto di vista non consisteva tanto nel comprendere
meglio un testo, ma di perdere l’unicità d’interpretazione sullo stesso.
Ammettere il metodo storico-critico, avrebbe voluto dire permettere a qualcun
altro di mettere il naso in qualcosa che da sempre era stata priorità esclusiva
del magistero ecclesiale. Il problema non era la comprensione, ma l’autorità
sul testo. La polemica modernista, che ha avuto nell’enciclica Pascendi di Pio X nel 1907 l’apice
estremo, è stato il terreno culturale sul quale si combattuto una guerra persa
in partenza. La Divino afflante Spiritu
di Pio XII del 1943, infatti, riapriva le porte agli studi biblici, mostrando
che era ormai impossibile resistere all’evidenza ermeneutica della necessità di
un approccio nuovo ai testi Sacri. Non era, infatti, solamente la pressione che
veniva dal mondo scientifico in generale, ma anche dalle nuove correnti
teologiche, come la Nouvelle Théologie,
che spingevano la Chiesa ad aprirsi al nuovo. Viene da chiedersi: come mai
queste resistenze? Sarebbero tante le risposte che si potrebbero dare e che in
parte abbiamo abbozzato poco sopra. Ciò che è importante è che la
contaminazione scientifica avvenuta nell’epoca moderna e che non permette alla
religione d’isolarsi e di chiudersi in se stessa, apre le porte ad un’altra più
profonda contaminazione, quella ermeneutica. In fin dei conti il rapporto tra
un testo ed un lettore non chiama in causa solamente tradizioni culturali,
aspetti antropologici e geografici, ma anche e soprattutto il linguaggio. Se
Dio Parla all’uomo utilizzando il suo piano di comunicazione e di comprensione,
significa che è proprio questo livello che è necessario approfondire.
In Lettera sull’umanismo (1946) Heidegger
sosteneva che il linguaggio è la casa dell’essere. Il linguaggio è ciò che
l’uomo dispone per conoscere il mondo. La nostra esperienza del mondo è
condizionata dal fatto che abbiamo un linguaggio che ereditiamo. Il disporre di
un linguaggio significa che l’uomo è dialogico. L’ermeneutica è una parola
inconsueta. Ermeneutica deriva dal dio Ermes (Mercurio) è il dio che porta i
messaggi agli dei. Ermeneutica, in
questa prospettiva, è l’arte dell’interpretazione dei messaggi che non sono
evidenti. È un insieme di regole dirette a interpretare dei testi. Nel ‘900 si
parla di ermeneutica come di una filosofia. È una filosofia che pensa che il
fenomeno dell’interpretazione non riguarda solo il rapporto con testi
difficili, ma è un fenomeno che riguarda tutta l’esistenza. Quando guardiamo il
mondo lo interpretiamo, disponiamo degli schemi che ereditiamo con la lingua
materna. “Non c’è esperienza del mondo – sostiene
Gianni Vattimo - se non attraverso un
linguaggio che abbiamo ereditato, la conoscenza è allora interpretazione
piuttosto che riconoscimento di qualcosa di oggettivo. Questo non è un difetto.
Qualunque rapporto con il mondo è interpretazione: questo non è un limite ma è
un patrimonio”. Questo vale anche per il testo biblico. Gli autori, mentre
scrivono un testo ispirato, trasmettono anche, attraverso il linguaggio, ciò
che hanno ereditato dalla cultura in cui vivono, dalle idee che si sono fatte
sul mondo, dalle motivazioni che lo hanno spinto a scrivere. C’è, allora
un’intenzionalità nel linguaggio, che è interpretazione e che, dunque, va
approfondita e colta. Cogliere questo aspetto è comprendere il senso profondo
del mistero dell’incarnazione, il paradosso dell’eterno che entra nel tempo. In
fin dei conti il testo sacro è la manifestazione di questo mistero. Credere
nella Parola di Dio significa credere nell’incarnazione del Verbo e della possibilità
d’incontrare Dio nella carne umana, nella lettera scritta. Per questo motivo,
il comprendere esige uno sforzo, una fatica che dice di un desiderio
d’incontrare Dio. L’ermeneutica ha fornito uno strumento importante per aiutare
chiunque a comprendere il testo. Possiamo tranquillamente sostenere che
l’ermeneutica ha cambiato il cammino della Chiesa, l’ha per così dire liberata
dalla sua gabbia dorata, l’ha costretta al confronto con il mondo. Abitare il
linguaggio biblico con un’attenzione ermeneutica, dovrebbe produrre da parte
dei suoi lettori e delle comunità che hanno come riferimento la Bibbia, un
atteggiamento dialogico e tollerante. Se la Parola di Dio ha bisogno per essere
meglio compresa di una diversità di strumenti ermeneutici ed euristici, lo
stesso dovrebbe fare la comunità che si raccoglie attorno al testo, vale a dire
non chiudersi, ma mantenersi aperta ai vari significati di cui il testo è
portatore.
La contaminazione ermeneutica ha permesso alla comunità cristiana di
togliere il velo sul significato autentico della verità che la Bibbia intende
comunicare. Lungi, infatti, dall’essere una verità di tipo assiomatico e
matematico, che esige un’assimilazione fredda e asettica dei contenuti, la
rivelazione della verità di Dio in Gesù Cristo avviene sul piano della storia
ed è su questo piano che va incontrata. Se questo è vero, allora
l’interpretazione del testo si fa aiutare sia dal metodo storico-critico che
dall’ermeneutica per comprenderne a fondo il significato. È, però, la comunità
riunita che può cogliere il senso profondo della Parola rivelata. La Parola di
Dio è, infatti, una parola contestualizzata che parla ad una comunità specifica
che vive in uno specifico contesto. È la comunità che diviene il luogo
privilegiato per comprendere la Parola. La comunità usufruisce degli strumenti
che il metodo storico-critico ha elaborato per sviscerare il testo e poi si
pone in ascolto per comprendere il cammino che la Parola indica. La comunità
dei fedeli diviene quindi, lo spazio privilegiato per l’interpretazione della
Scrittura. La contaminazione ermeneutica, oltre ad aiutare nella comprensione
del testo, ha contribuito a riportare la Parola di Dio nel suo luogo spirituale
originario, vale a dire la comunità dei fedeli riuniti. In questo modo, i danni
causati dal devozionismo moderno che aveva provocato la chiusura della
dimensione religiosa nella sfera individuale, vengono attenuati e indirizzati
verso la dimensione comunitaria della religione. Scrivo attenuati perché il
devozionismo con la tendenza alla chiusura nella sfera individuale è ancora,
non solo molto viva e presente nel panorama religioso attuale, ma anche
incentivata. Uscire dalla palude individualista per riscoprire la dimensione
comunitaria del cristianesimo è uno dei contributi più significativi
dell’approccio ermeneutico alla Sacra Scrittura.