mercoledì 9 marzo 2022

CONTAMINAZIONE È IL FUTURO DELLA SOCIETA’

 



Paolo Cugini

 

Nel nuovo contesto culturale definito come post-moderno o post-secolarizzato, oppure anche postcristiano e post-teista, che da decenni sta prendendo piede in Occidente a ritmi vertiginosi, le strutture rigide sono destinate ad essere soppiantate. Una struttura culturale è rigida quando considera immutabili i principi su cui è retta e li difende contro ogni possibile contaminazione. Le strutture culturali rigide si sono costituite nel tempo in cui la vita presente era pensata come sussistente da principi metafisici, posti in un mondo e in un tempo oltre la realtà temporale e, proprio per questo, capaci di durare per sempre. È stata la struttura metafisica della realtà ad offrire i significati esistenziali per intere generazioni. C’è tutta un’arte, una filosofia, una politica e una religione che ha descritto queto stile di vita fondato sui valori metafisici eterni. La velocità dei cambiamenti in atto, elemento caratteristico dell’attale quadro culturale, richiede allo stesso tempo, la capacità di mettersi in discussione e di mettere sul tavolo le proprie idee e, in secondo luogo, la disponibilità ad entrare in dialogo, al confronto rapido. Le strutture di pensiero sistematico e dogmatico, così significative nel periodo medievale e moderno, non funzionano più, proprio perché non permettono la modificabilità necessaria richiesta dalle strutture di pensiero postmoderno. Ci vuole ben altro.

       L’attuale contesto, dunque non permette a nessuno di dormire sul sofà dell’abitudine, del “si è sempre fatto così”.  I punti di riferimento esistenziali vengono ricercati per la qualità della vita che possono offrire e, dunque, sul piano quantitativo piuttosto che qualitativo. Vale ciò che è buono ed efficiente nell’immediato, più che puntare sui significati eterni, quelli che durano – o sembrano durare – per sempre. È, dunque, proprio questo aspetto del “per sempre”, che è entrato in crisi e viene sostituito con il bene immediato. Occorre essere desti, attenti, veloci nel capire cambiamenti in atto, le novità del momento. Dura nel tempo ciò che si adatta al cambiamento, che sa cogliere le sintonie con i propri paradigmi culturali e non chi pensa di essere dotato di strutture metafisiche eterne e immutabili. Diviene proponibile quella realtà contaminabile, perché disposta a crescere mettendo a disposizione le proprie competenze, i propri punti di forza. Rimangono sul mercato della vita quelle realtà che hanno compreso che la possibilità di crescere e di migliorare non sta nel difendere a denti stretti il proprio patrimonio cultuale di valori, ma nel metterlo a disposizione e nel lasciarsi contaminare dagli altri mondi circostanti.

Questa primissima presa di coscienza ci porta a comprendere che non solo siamo immersi in un contesto di rete – lo sapevamo già -, ma che ogni organismo ha la possibilità di vivere o di sopravvivere imparando ad accogliere al suo interno elementi dei mondi che incontra. Non c’è possibilità di sopravvivenza per quella cultura che intende salvare la propria presunta purezza. Può sopravvivere, senza dubbio, ma come cimelio del passato, residuo storico da museo, senza alcuna possibilità di avere alcuna incidenza nel presente. Anche perché una caratteristica specifica della postmodernità è la vita nel presente come unica dimensione in cui c’è possibilità di esistenza. Se la caratteristica del pensiero medievale da una parte, e di quello moderno dall’altra con significati diversi, consisteva nel sacrificare il presente per una prospettiva positiva nel futuro, diametralmente opposta è la percezione del tempo nella postmodernità. Nessuno è più disposto a sacrificare qualcosa in vista di un futuro che non è più considerato come positiva prospettiva esistenziale. C’è solo questo mondo e questa vita a nostra disposizione e, di conseguenza, vale solo lo sforzo che migliori qualitativamente e anche quantitativamente il presente: il resto è tempo perso.

Per entrare in modo significativo in questo nuovo paradigma culturale sono necessari alcuni requisiti fondamentali, che potremmo definire principi epistemologici. Il primo, consiste nella disponibilità a riconoscere come valido e positivo alcuni elementi del mondo che incontriamo. Ciò comporta la presa di coscienza che il nostro mondo non detiene il coprite della verità e, allo stesso tempo, che c’è del buono e del vero anche nei mondi che incontriamo. Dal punto di vista cristiano questo requisito si traduce nella presa di coscienza che lo Spirito Santo agisce ovunque, non solo nella Chiesa cattolica. Ce lo ha ricordato il Concilio Vaticano II quando affermava che le smentì del Verbo sono sparse in tutte le religioni e tutte coloro che conducono i propri fedeli verso un’esperienza di amore dicono qualcosa del messaggio centrale del Vangelo. Giustino nel II secolo è stato il primo ad utilizzare l’immagine delle sementi del Verbo riferita non tanto alle religioni, ma alle culture, alle filosofie, a tutti color che prima e dopo di Cristo operano in favore del bene, della giustizia e dell’amore, indipendentemente dal fatto di appartenere alla Chiesa o di conoscere il Vangelo. C’è tanto amore, c’è tanta giustizia, c’è tanto bene nel mondo in tanti contesti che non sono controllati dalla Chiesa: grazie a Dio. C’è lo Spirito santo che agisce in ogni luogo, che è sempre all’opera per costruire un mondo di amore e di giustizia.

Il secondo requisito, che è una sorta di corollario del primo, anche se più complesso e problematico, consiste nella possibilità di fare spazio alla bontà, alla positività del mondo incontrato al punto di assimilarlo e permettere un cambiamento prodotto da un elemento esterno. Si tratta, in altre parole, del processo di contaminazione che esige la disponibilità a questa operazione. Assimilare un materiale che viene dall’esterno significa non solo riconoscerne la bontà, ma anche percepirne la possibilità di novità e di miglioramento per chi l’accoglie. Contaminazione, in questa prospettiva, significa disponibilità al cambiamento, al lasciarsi modificare e, allo stesso tempo, consapevolezza che si è entrati in un processo capace di modificare anche la struttura dalla quale si è ricevuto il contributo. Il processo di contaminazione, in altre parole, non è mai univoco, ad un’unica direzione: si cambia cambiando. Si lascia contaminare quella struttura che ha compreso che è l’unica possibilità per rimanere positivamente sul piano della storia presente.

Il processo di contaminazione per coloro che ne accettano la sfida, rivela un altro dato importante: c’è un’identità che non è data dalla difesa delle proprie roccaforti valoriali, ma che si definisce progressivamente con il tempo ed è in continua mutazione. Per comprendere questo aspetto dobbiamo prendere le distanze dal concetto d’identità elaborato nell’epoca moderna, che la identifica con modelli prestabiliti che devono essere raggiunti e salvaguardati. L’idea di contaminazione invita la struttura culturale a rimanere aperta, perché il suo significato profondo non sta tanto nei valori ereditati, ma nella disponibilità a lasciarli modificare da ciò che incontra. C’è una possibilità di vita buona che viene a noi incontro nella misura che siamo disponibili ad accoglierla e a lasciarci modificare da essa e, allo stesso tempo, a modificare noi stessi i mondi che incontriamo. Il concetto di contaminazione rivela l’idea di un mondo in continuo cambiamento, in continua trasformazione. L’identità forte, in questa prospettiva contaminata, non sta più nella difesa estrema di valori non negoziabili, ma nella loro messa a disposizione. È forte quella struttura che si lascia contaminare e che, in questo modo, è lei stessa fattore contaminante. 

 

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