martedì 31 ottobre 2023
giovedì 26 ottobre 2023
mercoledì 25 ottobre 2023
LA CONFESSIONE: PERCHE' NON FUNZIONA?
Paolo Cugini
Fratelli,
il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai
suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di
ingiustizia (Rm 6,12-18). Leggendo questo brano
di Paolo mi chiedo: che cosa pensa che sia il peccato l’apostolo Paolo? È una
forza interiore che sottomette il corpo. È una forza legata al desiderio che
domina il corpo e lo induce a fare ciò che non vorrebbe. Per certi aspetti, sembra identificarsi con l’istinto, ma è qualcosa d’altro. L’istinto stimola il
desiderio che, a sua volta, stimola la passione e la conduce fuori controllo. In questi, casi
una confessione non serve, se non a placare per qualche momento la violenza
dell’istinto. Serve, invece, prendere coscienza di sé, entrare in se stessi e
scoprire l’origine del disordine spirituale, per poterne somministrare la cura.
C’è, a mio avviso, un abuso della confessione, perché non si aiutano le persone
a prendere coscienza di sé. Senza dubbio, la grazia agisce, ma la struttura
umana esige la ricerca delle cause, l’abitudine a guardarsi dentro, a scoprire
l’origine di ciò che ha provocato il disordine.
Non sempre si riesce a risalire alle cause e, a volte, anche scoprendo le cause del disordine, non sempre si riesce ad intervenire. La proposta della Chiesa di una confessione frequente e costante non tiene conto della reale dimensione interiore della persona umana, nel senso che non l’aiuta a rendersi conto del proprio cammino. Inoltre, messa così, la confessione viene svalorizzata, perché sembra un’implicita ammissione della sua incapacità di realizzare quello che proclama, vale a dire, il perdono del peccato che, attraverso la grazia santificante, dà la forza per rimanere saldi e non cadere più.
Paolo continua affermando: Così, liberati dal peccato,
siete stati resi schiavi della giustizia. Paolo è convinto che la
liberazione dal peccato da parte dalla legge della grazia sia permanente. Questo,
a mio avviso, è il cuore del problema, che la prassi della Chiesa, nel sollecitare la confessione frequente da parte dei fedeli, mette in discussione.
Se, infatti, avesse ragione Paolo, che la legge della grazia cura per sempre l’anima
dalla schiavitù del peccato, perché allora sarebbe necessaria la confessione
frequente?
C’è qualcosa che non quadra in questa proposta. Chi infatti l’accetta, e sono i cattolici ferventi, rimane intrappolato per tutta la vita nella logica del perdono e della caduta, senza potersi prendere il tempo per capire i motivi della caduta così frequente. È come se mettessimo una pomata su una ferita aperta senza prima pulirla e curarla: non funziona. Occorre ritornare alla prassi della Chiesa primitiva, che battezzava solamente persone adulte, che liberamente chiedevano di partecipare alla vita della comunità ed erano disposte a compiere un percorso di tre anni di verifica della propria vita, prendere delle decisioni provocate dalla proposta del Vangelo, che esigevano cambiamenti radicali.
L’abbandono in massa nei confronti del sacramento della
penitenza, che si sta verificando da alcuni decenni nella Chiesa cattolica è il
sintomo che le persone hanno colto l’inganno: la grazia santificante non
funziona sul corpo malato, perché prima dev’essere curato. La Chiesa sta
offrendo la medicina, ma non la cura. C’è tuto un mondo che esce dalla Chiesa alla
ricerca di cammini spirituali che siano in grado di fornire quelle risposte che
la Chiesa, con la sua proposta sacramentale, non è riuscita ad offrire.
Eppure,
scavando nel passato, è possibile trovare un patrimonio immenso nei sotterranei
spirituali della Chiesa, fatto di percorsi, di cammini esistenziali, di
proposte alte che, con il tempo, sono state dimenticate. Basterebbe aver
accesso a questo patrimonio, prendersi il tempo per sperimentarlo e riscoprire
la bellezza di un cammino che viene da molto lontano.
giovedì 19 ottobre 2023
martedì 17 ottobre 2023
UNO SCAMBIO GENERATIVO
Paolo Cugini
Una
cosa è certa: non ci s’improvvisa parroco di varie parrocchie. Siamo stati
formati per secoli ad essere guide di una parrocchia. La gente stessa è
abituata così. Ciò significa che, anche l’attuale esperienza delle unità
pastorali, ha bisogno di un tempo prolungato per assestarsi. Inoltre, credo che
abbia bisogno anche dell’esperienza dei missionari rientrati. In fin dei conti,
siamo dei fidei donum, dei doni imprestati ad un’altra Chiesa per poi
rientrare. Proprio su questo rientro mi sembra importante riflettere. Ci sono
dei percorsi formativi per prepararsi all’entrata in nuovo contesto ecclesiale,
in cui si viene orientati a cogliere lo specifico dell’esperienza in cui il
missionario sarà coinvolto. C’è poi, soprattutto, l’attenzione al tempo
necessario per l’adattamento alla nuova realtà. Non si viene, infatti, buttati
subito nella mischia, ma c’è sempre qualcuno che accompagna nella nuova realtà.
I primi anni di missione sono tempi di cambiamento, che esigono un cammino
umano e spirituale molto profondo. La missione passa attraverso l’umanità del
missionario e ognuno reagisce in modo diverso agli stimoli che il nuovo
contesto propone. Questa differenza la si coglie dalle narrazioni, dai
contenuti delle lettere, dalle testimonianze. C’è tutta una ricchezza
ecclesiale e spirituale che viene mediata dall’umanità del missionario, dal
lavoro che lui stesso svolge su di sé per imparare a camminare con il popolo di
Dio incontrato. Per questo motivo siamo così diversi, per certi aspetti
“strani” quando torniamo alla base. Anche al ritorno sarebbe necessario
ipotizzare un periodo di formazione, per mettere in condizione chi rientra di
riadattarsi lentamente alla realtà ecclesiale, sociale che, nel frattempo è
molto cambiata. È in questa fase di rientro che sarebbe importante un percorso
progettuale, per non disperdere tutta quell’esperienza ecclesiale e spirituale
assimilata in tanti anni di missione e metterla a disposizione della diocesi.
Tra queste nuove competenze apprese e che varrebbe la pena incanalare in un
percorso progettuale, c’è la capacità di accompagnare la vita di parrocchie
costituite da tante comunità, quelle che in Italia vengono chiamate Unità
Pastorali. Guidare pastoralmente tante parrocchie non si apprende sui libri, ma
nella vita quotidiana. Mentre in Italia si cerca di capire come fare, in altre
parti del mondo questo stile di Chiesa è in atto da decenni. I missionari che
hanno svolto la loro esperienza in Brasile hanno lavorato proprio in questo
contesto ecclesiale. Sarebbe importante tenerne conto.
Nel
passato ci sono state delle scelte, realizzate in primo luogo dal Vescovo
Baroni e rinnovate dai suoi successori, scelte mosse dal clima di entusiasmo
ecclesiale del dopo Concilio, che promuoveva una Chiesa popolo di Dio, che per
sua natura è missionaria, queste scelte devono in qualche modo dire qualcosa
alla Chiesa locale. L’aprirsi delle diocesi alle missioni è stato vissuto come
la realizzazione del cammino conciliare. Le parrocchie delle aree missionarie
sono state percepite come una realtà ecclesiale che ci appartiene, nel senso ecclesiale
del termine. Così erano presentate le missioni diocesane negli incontri
realizzati con gli studenti di teologia e anche delle superiori (quando
c’erano: io c’ero). Chi si preparava al ministero presbiterale, sapeva che
poteva essere chiamato a servire una delle nostre parrocchie in missione. Lo
sapeva e per questo ci si preparava leggendo le lettere dei missionari,
invitando i preti in rientro dalle missioni ad una celebrazione eucaristica, ad
un incontro formativo o a predicare un ritiro spirituale. Ci si alimentava
della spiritualità missionaria direttamente dalle fonti, i nostri preti
diocesani fidei donum, perché si sapeva che si poteva essere chiamati
per partire. C’era la presa di coscienza
del grande servizio che l’esperienza missionaria stava facendo non solo ai
preti che partivano, ma soprattutto alle parrocchie della nostra diocesi.
Occorre
ricordare, poi, che non solo preti sono partiti per le missioni, ma anche
religiosi, religiose e molti laici e laiche. Una ricchezza ecclesiale
incredibile che, anche se non è mai stato realizzato un progetto di ritorno,
che aiutasse a valorizzare e incanalare questa ricchezza ecclesiale e
spirituale, in ogni modo tutti coloro che sono rientrati dall’esperienza
missionaria hanno contribuito ad arricchire le comunità parrocchiali di
origine. Quante lettere, testimonianze, veglie di preghiera, messe missionarie
sono state realizzate in tutti questi anni? Che dire poi, di tutti quei giovani
che hanno fatto l’esperienza di un mese in missione, organizzato dal Centro
Missionario Diocesano con percorsi formativi specifici. Spesso, molti di questi
giovani non hanno alle spalle un cammino all’interno di una specifica comunità
pastorale, ma si sentono spinti a fare un’esperienza in missione, perché, come
sappiamo, le nostre missioni diocesane sono realizzate in luoghi nel mondo
caratterizzati dalla povertà. Si coglie in questi giovani il desiderio di
sperimentare il cammino di una Chiesa dei poveri, a contatto con realtà sociali
che, in un modo o nell’altro, provocano una riflessione, soprattutto sul
proprio stile di vita e stimolano la ricerca verso uno stile di vita più sobrio
ed essenziale, in altre parole più conforme al Vangelo. Per questo, le missioni
sono importanti nel nostro cammino di Chiesa, non solo per il prete o i
religiosi che partono e ritornano con un bagaglio di esperienze ecclesiali e
sociali che provocano in loro stessi un cambiamento, ma anche per coloro che
rimangono, per le singole comunità parrocchiali. In tutti questi anni il Centro
Missionario Diocesano ha lavorato tantissimo per mettere in circolo i contenuti
provenienti dalle varie esperienze missionarie, contenuti che hanno contaminato
positivamente il cammino delle nostre comunità parrocchiali.
Nella
prossima puntata, che sarà l’ultima, proverò a spiegare perché la missione
aperta in Amazzonia è di fondamentale importanza per il cammino della nostra
Chiesa locale.
sabato 14 ottobre 2023
Liliana Franco: "Il cammino delle donne nella Chiesa è pieno di cicatrici"
Ricevo direttamente dai lavori del Sinodo in cui
l’amico prete e giornalista spagnolo partecipa come inviato della REPAM (Rete
Ecclesiale Amazzonica) e del CELAM (Conferenza Episcopale Latino-americana). La
traduzione è mia
Articolo
di Luis Miguel Modino, Venerdì Ottobre 13, 2023
Ho bisogno di imparare da Gesù, la sua disponibilità a
"vedere e sentire le donne”, come ha sottolineato Liliana Franco nell’apertura
dei lavori del terzo Modulo del Sinodo, che parla di
essere corresponsabili nella Missione, qualcosa di cui le donne sanno molto,
nonostante i molti rifiuti e disprezzamenti. Perché sono le donne che
sostengono la fede in molte comunità in tutto il mondo. mondo.
Apprendimento con gli atteggiamenti, i criteri e lo
stile di Gesù
Non possiamo dimenticate che «la vera riforma viene dall'incontro
con Gesù, nella eco della sua Parola, nell'apprendere i suoi atteggiamenti e
criteri, nell'assimilare del suo stile". Questo è qualcosa che si
concretizza nelle donne comuni, come Dona Rosa, che a 70 anni esce ogni giorno
per visitare i malati del quartiere, assicurandosi che abbiano cibo e una vita
dignitosa. Qualcuno che, per molti anni ha portato loro anche la comunione, non
lo fa più perché il nuovo parroco gli ha detto che la comunione sarà portata
dai ministri della Eucarestia, uomini che erano dotati di una divisa
colorata. Nonostante tutto, continua a camminare attraverso le strade del
suo quartiere, visitando i malati, essendo un vero conforto per il più fragile.
Marta, che ha terminato il dottorato in teologia con
voti migliori rispetto ai suoi coetanei. uomini, ma la Pontificia
Università da cui si è laureato ha deciso che non potrebbe darti un diploma
canonico perché sei una donna, e che il tuo sarebbe un diploma civile. Ma è una
conquista, perché fino a pochi anni fa, le donne nel loro paese non poteva
studiare teologia, solo scienze religiose.
Questi sono scene ricorrenti, poiché molte donne non
hanno un posto nel consiglio parrocchiale o diocesano, nonostante il suo
variegato e prezioso lavoro pastorale.
Situazioni di dolore e di redenzione
Il presidente della Confederazione dei religiosi e
delle religiose dell'America Latina e dai Caraibi ha fatto una forte denuncia:
"il cammino delle donne nella Chiesa è pieno di cicatrici,
di situazioni che hanno comportato dolore e redenzione, un storia
pasquale, in cui ciò che è evidente e definitivo è stato l'amore di Dio; amore
che rimane al di là degli sforzi di pochi per rendere visibile la presenza e il
contributo delle donne nell'edificazione della Chiesa".
Ciò ha portato la suora che afferma che
"la Chiesa ha il volto di donna", citando molti esempi di
questo. Infatti, «la Chiesa, che è madre e maestra, è anche sorella e
discepola, e questo non esclude gli uomini, perché in tutti, uomini e donne,
abita la forza del femminile, della saggezza, del bene, di tenerezza, forza,
creatività, parresia e capacità di dare vita e affrontare le situazioni con
audacia".
Una Chiesa al femminile ha la forza della fecondità
Da qui il suo Invito: "tutti noi, donne e uomini,
ad essere chiamati ad essere Grembo, casa, affetto, abbraccio,
parola... Una Chiesa femminile ha la forza della fecondità. Cosa ti
viene dato dal Ruah?” La suora, che faceva parte dell'équipe che ha preparato
la relazione della tappa continentale in America Latina e nei Caraibi, ha
mostrato cinque prospettive del volto di "una Chiesa missionaria, che
batte al ritmo del femminile" è una Chiesa con queste prospettive: La
persona di Gesù e il Vangelo sono coloro che chiamano mediante il Battesimo e
tutti sono portatori della stessa dignità. Optare per la cura di tutte le forme
di vita è l'opzione per il Regno; Un nuovo modo di stabilire relazioni rende
possibile una rinnovata identità: più circolare, fraterna e sorella; Crediamo
nel valore dei processi, privilegiamo l'ascolto e si riconosce che la fecondità
è frutto della grazia, dell'azione dello Spirito.
La Religiosi ha chiarito che: "al centro del
desiderio e dell'imperativo per una maggiore presenza e partecipazione delle
donne nella Chiesa, non c'è ambizione di potere o sensazione di
inferiorità, né una ricerca egocentrica di riconoscimento, c'è un gridare di
vivere nella fedeltà al disegno di Dio, che Egli vuole nel popolo, con chi ha
fatto un'alleanza, tutti siano riconosciuti come fratelli". Uguale
partecipazione e corresponsabilità nel discernimento e nel processo
decisionale. Decisioni basate sulla comune dignità che il Battesimo dà a tutti.
martedì 10 ottobre 2023
sabato 7 ottobre 2023
IN MISSIONE PER IMPARARE
Paolo Cugini
Mi
ricordo come se fosse oggi la telefonata che ricevetti alle 23 di un giorno
della settimana del febbraio del 1998 da don Tiziano Ghirelli, che allora era
il segretario del Vescovo Paolo Gibertini. “Il vescovo Paolo ti aspetta domani
alle 10. Mi raccomando, sii puntuale”. Passai tutta la notte a pensare il
motivo di quella richiesta fatta a quell’ora. Senza dubbio, avevo combinato
qualcosa (ogni tanto mi succede) che non era stata gradita nei piani alti.
Arrivai piuttosto teso all’incontro con il Vescovo e, con mio grande stupore,
non si trattava di un rimprovero nei miei confronti (stranissimo!), ma di una
proposta. “Carissimo don Paolo, abbiamo bisogno di te in Brasile. Un nostro
prete sta ritornando e tu sei un di quelli che ha dato la disponibilità per le
missioni diocesane”. Mi ricordo benissimo che, quella del Vescovo Paolo non fu
una domanda, una richiesta per una mia possibile disponibilità, ma una
proposta. Il Vescovo Paolo mi stava chiedendo di andare come fidei donum
nelle nostre missioni in Brasile. Non credevo alle mie orecchie: era veramente
una proposta meravigliosa e ancora più bella perché assolutamente inaspettata.
Mi disse che il mandato era per dieci anni (che poi diventarono quindici) e che
era necessario un corso di preparazione della durata di due mesi, che si
svolgeva ogni anno a Verona. Uscì da quell’incontro, che avrebbe trasformato
totalmente la mia vita, con il cuore travolto dall’emozione e la mente
stracolma di pensieri. Dieci anni, pensai, sono una vita.
I
primi anni di missione sono stati veramente duri. Ero entrato in un mondo
nuovo, a me totalmente sconosciuto. Non capivo la lingua, i modi di dire e di
fare ma, soprattutto, non riuscivo a capire come funzionasse il cammino di
Chiesa nel quale ero stato inviato. Non capivo come facessero don Piero e don
Antonio - due preti reggiani da anni in missione in Ipirà della Diocesi di Ruy
Barbosa con la quale la diocesi di Reggio collaborava da diversi anni - ad
accompagnare, assieme ad un gruppo di suore, una parrocchia costituita da circa
110 comunità. Quelle che in Brasile chiamano comunità, corrispondono sia per
numero di abitanti che per estensione, ad una nostra parrocchia. Piero, Antonio
e le suore, oltre a visitare regolarmente le comunità, che avevano la
possibilità della celebrazione eucaristica tre volte all’anno, svolgevano un grandissimo
lavoro di formazione dei laici e delle laiche. Avevano costruito un centro di
formazione e tutti i martedì realizzavano dei momenti formativi per mettere in
grado i laici e le laiche di accompagnare le comunità nei vari servizi
pastorali. Piero e Antonio, come del resto gli altri missionari, erano riusciti
a liberarsi del modello di prete occidentale, per mettersi a servizio di un
nuovo cammino di Chiesa, che esigeva un modello differente di prete. Non più il
parroco come unico responsabile della parrocchia, ma i laici e le laiche in
grado di celebrare la Parola alla domenica, di celebrare i funerali e tanti
altri servizi nella comunità. La Chiesa, dunque, arrivava e continua ad
arrivare in ogni singola comunità attraverso i laici e le laiche, grazie al
lavoro formativo dei presbiteri e delle suore. Piero e Antonio erano divenuti
capaci di accompagnare una parrocchia vasta come la diocesi di Reggio e
Guastalla, composta da circa 110 parrocchie, con l’aiuto di un gruppo di suore.
La grande rivoluzione pastorale è stata quella di mettersi al servizio di un
nuovo modello di Chiesa.
Appena
prete ero stato nominato curato e coordinatore della pastorale giovanile nella
zona Pastorale di Castelnovo Sotto. A quel tempo, cioè circa trent’anni fa,
c’era ancora un prete per ogni parrocchia. Don Danilo a Castelnovo, don Rino a
Cogruzzo, don Eugenio a san Savino e io amministratore parrocchiale a Meletole.
Eccetto il sottoscritto, questi preti sono già tutti nella casa del Padre e non
c’è stato il ricambio. In questo cammino di Chiesa la comunità s’identificava
con il parroco. Tutto passava dalle sue mani, ogni aspetto della comunità faceva
riferimento a lui. Questo modo di essere nella parrocchia aveva stimolato un
tipo di spiritualità specifico, quella del prete come “uomo mangiato” (padre
Antonio Chevrier), totalmente dedicato alle sue pecorelle, delle quali non solo
conosceva i nomi, ma anche tutte le vicissitudini. Del resto, quando rimani per
tutta la vita in una parrocchia con un esiguo numero di abitanti, questa
relazione di prossimità diventa possibile. Erano state queste le intenzioni del
Concilio di Trento e cioè che la parrocchia doveva avere un’estensione e un
numero di abitanti tale, che permettesse al parroco di visitarla speso. E così
è stato.
Poi
tutto è cambiato. Il numero dei giovani che entrano in seminario è cominciato a
calare drasticamente al punto da arrivare ad affittare all’Università il
prestigioso seminario di Reggio Emilia. Mi ricordo, una volta tornato
dolorosamente dal Brasile, di una conferenza per i preti in cui don Moretto
condivise una riflessione che trovai molto interessante (ogni tanto anche lui
ne dice una buona): “In questo cambiamento così repentino ci siamo dimenticati
di formare i laici per aiutarli a comprendere e accompagnare il cambiamento in
atto”. In uno dei miei ultimi incontro con il Cardinale di Bologna Matteo
Zuppi, che stimo tantissimo per la sua umanità e per la sua capacità
straordinaria di vedere lontano, di percepire i segni dei tempi, mi disse a
questo riguardo: “La CEI non ha mai trattato il tema delle Unità Pastorali in
uno dei suoi incontri. Sono i parroci che lo stanno affrontando”.
Nella
prossima puntata proverò a spiegare come mai l’esperienza dei missionari fidei
donum può essere utile al nuovo modello di parrocchia che si sta strutturando
in Occidente.
martedì 3 ottobre 2023
ASCOLTATE E VIVRETE. LIBRO CON LE OMELIE DELL'ANNO B (CHE SARA' IL PROSSIMO)
L’omelia
è un momento importante nella vita di una comunità cristiana. Lo ricorda anche
san Paolo quando nella lettera ai romani ricorda che: “la fede dipende dalla
predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”
(Rom 10,17). Anche Papa Francesco nel suo primo documento ufficiale, vale a
dire l’Evangelii Gaudium, ha ribadito che: “rinnoviamo la nostra fiducia nella
predicazione, che si fonda sulla convinzione che è Dio che desidera raggiungere
gli altri attraverso il predicatore e che Egli dispiega il suo potere mediante
la parola umana” (Evangeli Gaudium, 136).
L’omiletica
è un genere letterario a sé da non confondere con l’esegesi, anche se, senza
dubbio, ha bisogno di alimentarsi nelle ricerche esegetiche per poter elaborare
una riflessione che sappia cogliere l’essenza di un testo della Sacra
Scrittura. Il contenuto dell’omelia nasce da un duplice ascolto: della parola
di Dio e della realtà in cui si vuole comunicare il contenuto. L’attenzione al
contesto è, dunque, di fondamentale importanza. Possiamo parlare di contesto a
diversi livelli di complessità. C’è il contesto in cui vive la comunità, che è
importante conoscere per fare in modo di offrire chiavi di lettura in grado di
leggere il vissuto della comunità. Ogni comunità cristiana è, inoltre, inserita
in un particolare contesto sociale, politico e culturale di una città, una
nazione, che va tenuto in considerazione. C’è infine, un livello maggiore che è
quello della cultura di un’epoca, che influenza le mentalità e le scelte. Oggi
in Occidente viviamo in un contesto culturale post-cristiano. I segni di questo
clima culturale lo tocchiamo con mano tutti i giorni. Lo si coglie dal calo
vertiginoso della richiesta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, dalla
partecipazione sempre più scarsa alla messa domenicale. La fine della
cristianità è visibile anche nell’assuefazione ai riti e alle celebrazioni
pompose, come i pontificali, le processioni: segni di una visibilità non
ritenuta più necessaria. Come annunciare il Vangelo in questo contesto: è
questo il problema.
La
parola di Dio è il Verbo incarnato nella storia e il suo annuncio non può
essere asettico, imparziale, distaccato: deve avere il sapore del contesto in
cui viene seminato. Proprio per questo, le omelie che propongono qui di
seguito, tengono conto di alcuni aspetti che a mio avviso sono significativi.
Il primo, è l’attenzione alla polemica di Gesù con i capi del popolo. Il
rapporto tra fede e religione, culto e vita sono aspetti che il Vangelo di
Marco accompagna e che in ogni occasione opportuna ho cercato di dare risalto.
È, infatti, a mio avviso, su questo punto che la cultura Occidentale è divenuta
particolarmente sensibile. Nella post-cristianità tutto ciò che è precetto,
imposizione dall’alto è destinata a rimanere disattesa. C’è una sensibilità
particolare nei confronti dei cammini di liberazione, che anche la spiritualità
può offrire. Qui ci troviamo dinanzi ad un paradosso. Se, infatti, la nostra
epoca è segnata da un abbandono sempre maggiore dalle forme di religione
istituzionali come la Chiesa Cattolica, la Protestante e l’Ortodossa,
dall’altra si assiste alla ricerca di esperienze spirituali, di guide alla
meditazione e alla scoperta della vita interiore. Il paradosso è solo apparente
perché cela una critica implicita alle religioni che sembrano ora incapaci di
fornire strumenti per accompagnare la vita spirituale delle persone.
È
l’attenzione a questi aspetti che segnano le riflessioni proposte nelle omelie
dell’anno liturgico B. Un’attenzione che è soprattutto pastorale, perché
nascono all’interno della vita di alcune comunità parrocchiali. Dire attenzione
pastorale significa richiamarsi al contesto, al cammino di fede delle comunità,
per accompagnarle il meglio possibile all’interno del Mistero rivelato da Gesù
Cristo. In realtà, più che vere e proprie omelie, quelle che presentiamo sono
dei canovacci, che offrono degli spunti che possono essere sviluppati come
meglio si crede. Buona lettura.
Acquistabile qui: https://www.dehoniane.it/9788810621691-ascoltate-e-vivrete