giovedì 21 dicembre 2017

BUON NATALE!


Paolo Cugini

Quand’è che questo saluto è autentico, cioè quand’è che il Natale è buono? Riuscire a scrollarci di dosso la banalità di quello che il mondo ha fatto del Natale, è un compito prima di tutto spirituale che la comunità cristiana deve poter realizzare. E’ buono il Natale quando la nostra vita, le nostre scelte, il nostro modo di pensare e di stare al mondo corrisponde ed è in sintonia con la rivelazione di Dio avvenuta nella nascita del suo Figlio Gesù.

E’ buono il Natale per noi, allora, quando la nostra vita è in un cammino di semplicità, di ricerca dell’essere più che dell’avere. Gesù è nato povero tra i poveri. E’ stata una scelta maturata nei secoli e che continuamente troviamo nella Scrittura. E allora camminiamo con Lui e gli facciamo spazio nella nostra storia quando poniamo in atto delle scelte in sintonia con il suo stile sobrio e semplice.

E’ buono il Natale per noi quando viviamo un cammino di fraternità e di sororità. L’inizio della vita di Gesù e la fine rappresentano una bellissima indicazione del significato che ha dato alla sua esistenza. Le sue braccia aperte nella culla e sulla croce dicono del desiderio del Signore di realizzare tra gli uomini e le donne quel cammino di fraternità e sororità vissuto nella Trinità e continuato sulla terra con i suoi discepoli e discepole.

E’ buono il Natale per noi quando collaboriamo nella realizzazione per un mondo più giusto. Sin dai primi vagiti Gesù ha provocato l’ira del mondo ingiusto e corrotto, l’ira di Erode. Durante il periodo della sua attività pubblica Gesù non ha mai smesso di denunciare le ingiustizie dei potenti di turno, sia del potere politico che di quello religioso. Anche noi, per essere in sintonia con Lui, con colui che viene, dobbiamo apprendere a porre nella nostra vita gesti di giustizia, pronti a pagare anche le conseguenze di questi gesti controcorrente.

E’ buono il Natale per tutti coloro che nel mondo pongono ponti di pace. Ce lo ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini. Gesù ha fatto dei popoli in conflitto un solo popolo non schiacciando l’odio con la forza, ma attirandolo sulla sua carne nella croce. Essere nel mondo come agnelli in mezzo ai lupi: è questa la missione dei cristiani nel mondo.


martedì 19 dicembre 2017

IL GENERE DI DIO






CICLO DI CONFERENZE SULLA TEOLOGIA FEMMINILE
SELENE ZORZI


REGGIO EMILIA
LUNEDI 18 DICEMBRE 2017


Sintesi: Paolo Cugini
La teologia delle donne è differente da quelle portate avanti dagli uomini.
Ho iniziato a studiare teologia e sono stato introdotta alla prospettiva dello sguardo femminile sulla realtà di Dio. Solo dopo il Concilio Vaticano II è stata data la possibilità alle donne cattoliche di studiare teologia. L’esegesi biblica delle donne è diversa, perché è una lettura che parta dal sospetto che i testi biblici siano stati scritti dallo sguardo dell’uomo. Riscoprire la presenza delle donne della Bibbia. Le teologhe hanno riscoperto molte immagini femminili. Il lavoro più profondo è stato quello di ascoltare i silenzi delle donne nella Bibbia. Guardare il mondo dai dispositivi di potere che portano pregiudizi e discriminazione.
La teologia fatta dalle donne ha aperto un mondo nuovo, la questione della lettura dei generi. Ci si accorge che c’è un problema anche per il maschile, perché quando non impara a non vedersi parziale significa che c’è un problema. Bisogna iniziare a capire come il maschile e femminile hanno cominciato ad opporsi, per elaborare nuove identità. Le teologhe si sono trovate avvantaggiate quando è uscito il problema del gender, perché da anni studiavano il problema.
La cosa negativa è stato il fatto che gran parte della popolazione ecclesiastica non è stata in gradi di gestire questo dibattito.
Molta confusione si è fatto sulla questione del genere. Ho sottolineato i significati con cui una parola viene definita. Le parole cambiano significato a secondo dei contesti.

I quattro significati della parola GENERE
1.      Uso grammaticale: (genere1) genere, maschile, femminile, neutro in una lingua
2.      Antropologia culturale analizza come a partire dal sesso una società struttura i ruoli di uomini e donne (genere2). Indica l’aspetto sociale e culturale di distinzione tra i sessi non equivalente alla differenza tra sessi biologici. In questo senso il genere cambia di tempo in tempo, di secolo in secolo. In Afghanistan non guidare una macchina è una questione di genere e non di sesso.

Gender: è l’attesa socialmente costruita di come le persone sessualmente determinate come maschio o femmina debbano agire, quali caratteristiche deve sviluppare ognuno di esse, quali ruoli sociali è loro consentito svolgere… Completo di espressioni linguistiche e simboliche. Il gender è all’opera ovunque e in qualsiasi società. Essendo costruzioni storiche, le definizioni di genere possono cambiare e di fatto cambiano.
Sex è la biologia (ormoni, cromosomi, organi genitali, genotipo) e Gender (cultura) è una caratteristica che una società e una cultura considera.
Non cambiamo il sesso cambiando il gender.

3.      Ideologia del Gender: (genere3) identificazione tra sex e gender.
Secondo i detrattori del gender questo nega la differenza tra uomo e donna. In realtà non è vero. E’ la costruzione tipica del mostro per dargli fuoco
4.      Indica un raggruppamento (genere 4) fatto per caratteristiche simili.
Il linguaggio può essere fonte di malintesi.
Tante più parole ho, tanto più farò esperienza, ma riuscirò ad esprimerla, a vedere più cose.
Sex: maschio o femmina (si riferisce al sesso biologico).
Nella pratica sessuale siamo sbagliati o giusti a secondo del rispetto o amore
La castità non è la continenza, ma ordinare la nostra sessualità verso la persona che amiamo. E’ una questione per tutti.
L’Amoris Laetitia sdogana gli studi del genere (n 56; 286). Maschile e femminile non sono qualcosa di rigido, perché cambiano e non possono diventare prigioni per le persone.

Seconda parte del libro
Il libro vuole creare ponti. Come si può parlare di una teologia del genere.
Gen 1,26-27: ad immagine di Dio. Maschio e femmina li creò. Ci sono stati due tipi d’interpretazione. Un testo viene sempre interpretato.
Parola uomo nella lingua italiana significa sia l’umanità maschile che l’umanità. Per secoli la teologia cristiana ha fondato l’interpretazione che la sessualità è per la procreazione.
Il dato rivelato è che maschio e femmina sono ad immagine di Dio, hanno pari dignità divina. Possiamo usare quindi maschio e femmina per parlare di Dio. Dio non ha sesso, quindi dobbiamo riconoscere che tutta la teologia che parla di Dio parla di genere.

Le donne hanno riscoperto le immagini femminili di Dio.
a.      Ruah. In Ebraico è femminile lo Spirito
b.      Dio madre
c.       Dio Sapienza (Sap 7,24)
d.      Regno di Dio (basileia) Mt 13,33-35 lievito; Lc 15,8-10 dramma

Genere maschile e Dio
Un padre patriarcale non fa le cose che Dio fa. Questo Padre si prende cura, si commuove. Anche Gesù come maschio, però sempre avere una maschilità molte diversa dal patriarcato: ascolta il desiderio delle donne. E’ un punto di riferimento per la maschilità del modello di oggi. La maschilità è in crisi.  Se cominciamo a parlare di una nuova antropologia, questa è rivoluzionaria. La teologia di genere è rivoluzionaria, perché ci dà più immagini di Dio e chiede di trasformare le pratiche istituzionali.

La Commissione teologica Internazionale ha avviato lo studio per la possibilità dell’ordinazione della donna e della nuova antropologia. Non si parla solo di diaconesse, ma dell’ordinazione. Che vuole dire oggi? Pensare a nuove modalità.  Occorre ripensare i rapporti inter ecclesiali. Le donne non possono fare nulla. La Chiesa Cattolica riconosce che possono essere leadership, ma non possono essere ordinate. Sulla questione del Gender c’è molta cattiva coscienza. Spesso non si vanno a leggere i testi, ma si fanno delle caricature sulle tesi dell’avversario per screditarlo.

In un momento di crisi dobbiamo tornare al consolidato. Forse è anche questo il motivo delle polemiche sul gender.



sabato 16 dicembre 2017

CHIESA E PERSONE OMOSESSUALI: LA RIFLESSIONE DI TERESA FORCADES



Paolo Cugini

L’opera della teologa catalana Teresa Forcades[1] fornisce diversi spunti significativi nel cammino della ricerca sul rapporto tra omosessualità e chiesa. In primo luogo, la Forcades inserisce il discorso sull’omosessualità all’interno della teologia queer, della quale è una delle più importanti promotrici e sostenitrici. Queer è un concetto antropologico utilizzato dalla Forcades per affermare il carattere unico e originale di ogni individuo e: “l’affermazione dell’impossibilità di utilizzare, nell’ambito della persona, qualsivoglia categoria, che sia di genere, di classe o di razza. Le categorie che classificano l’essere umano sono, per così dire, opacità, che non consentono di vederlo nel suo tratto di originalità”[2].

Questo cammino teologico intende fare i conti con la diversità sessuale senza esprimere nessuna condanna a priori, per aprirsi ad ogni possibile comprensione. Punto di partenza di questa riflessione teologica è la percezione dell’identità della persona intesa non in modo statico, ma dinamico. Il riferimento di questa intuizione è l’idea di creazione continua. Essere creati ad immagine e somiglianza di Dio, significa assumere la responsabilità di collaborare all’opera della creazione, che è in continuo divenire. In questa prospettiva, l’identità personale non è un dato acquisito una volta per tutte, ma una possibilità che ci viene offerta. Adulti si diventa grazie ad una costante assunzione delle proprie responsabilità e alla capacità di porsi in modo libero e creativo dinanzi alle strutture culturali, che assimiliamo e che ci fanno credere di essere in un modo invece che in un altro. “Uomini e donne – sostiene Forcades – sono chiamati ad avventurarsi in un processo personale che li porta in uno spazio che io chiamo queer, uno spazio aperto in cui l’identità è da cercare, non è qualcosa di già dato”[3].
Il fato che la differenza sessuale sia un dato transculturale, non significa che una persona deve rimanere all’interno di questa identificazione iniziale. Secondo Frocades, l’errore della società patriarcale e di un certo tipo di femminismo, è pensare che quell’origine debba rimanere costante nel corso della vita. Ciò significa che il punto di partenza ha un genere, mentre il punto di arrivo no. “La mia identità infantile ha un genere (femminismo della differenza); la mia identità matura (o cristica) è transgender o queer[4]. C’è quindi, un cammino, un esodo che ogni persona è chiamata a compiere se vuole divenire pienamente umana, un cammino che si realizza durante tutta la vita. Essere adulto significa cammino in divenire, vincendo la tentazione di fissarsi su di un modello culturale identitario, per mantenersi aperti alla novità possibile. In questa prospettiva la diversità, lungi dall’essere un problema o una difficoltà, diviene una possibilità. Dobbiamo conquistare la nostra identità tutti i giorni.

Nel capitolo dedicato al tema del rapporto tra fede e gender, Forcades fa appello al senso della realtà, nella linea indicata da Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium. Se parlare di gender significa prendere in considerazione la comprensione culturale e soggettiva della sessualità, allora quando sul piano della realtà s’incontrano delle differenze, sono proprio queste che vanno ascoltate. Non può più accadere, come invece purtroppo accade soprattutto in questo ambito così delicato, che sia la teoria a interpretare e a leggere la realtà. Quando in gioco ci sono le persone, il primato dev’essere sulla realtà e non il contrario. La teoria dev’essere il momento successivo all’ascolto della realtà. Se, allora, è vero che esistono tre dimensioni del sesso biologico, vale a dire il sesso cromosomico, il sesso gonadico e quello genitale, già al primo livello la realtà manifesta che non vi sono solo due possibilità xx (femmina) e xy (maschio), ma diverse opzioni. Seconda Forcades anche se esistesse una sola persona al mondo dotata di una differenza cromosomica, sarebbe sufficiente per mettere in discussione la teoria. Dinanzi all’unicità della persona umana non c’è teoria che tenga, ma è questa che provoca le domande di senso. Non è, infatti, la persona per così dire diversa, che deve adattarsi alla teoria, ma è la teoria che dev’essere modificata a partire dalla diversità osservata. Le sindromi di Klinefelter (xxy) e di Turner (x0) dimostrano che nella realtà, in natura non tutto rimane collocato nella dicotomia maschile e femminile, provocando la domanda: sono femmine o maschi?
Questa diversità, che va al di là della dualità, non esiste solamente a livello cromosomico, ma anche a livello gonadico. Succede, infatti, che a volte uno abbia senza saperlo, una gonade che al tempo stesso è tessuto ovarico e tessuto testicolare. “Non volgiamo vedere la complessità della realtà che ci circonda, ma è importante prenderne visione affinché la nostra teoria ne tenga conto[5]. Anche a livello genitale esiste la diversità, che non è possibile catalogare entro la dualità maschio e femmina. Forse, comunque, il livello più complesso è quello psicologico. Ci sono persone che, pur avendo un sesso biologico maschile a livello cromosomico, gonadico e genitale ed essendo considerati quindi dalla società maschi, hanno una coscienza femminile e viceversa: questo è il transessualismo. Spesso questa realtà, sostiene Forcades, la si ignora perché è difficile affrontarla. I cristiani, però, non possono chiudere gli occhi dinanzi alla realtà e non possono fasciarsi la testa dalle teorie culturali della società in cui vivono, perché sono ristrette e non tengono conto dell’interesse del singolo individuo. Sempre sul piano psicologico è importante tener conto di quello che avviene a livello del desiderio. Può succedere, allora, che emerga un desiderio verso una persona dello stesso sesso. Una teologia che si mantenga aperta alla realtà come manifestazione del divino, non può immediatamente ricorrere alla teoria del peccato quando appare una differenza, ma deve porsi in ascolto della complessità e non chiudersi nelle facili semplificazioni teoriche. Troppe volte il desiderio verso una persona dello stesso sesso è stata considerata come patologia. “Certo sono diverse dalla maggior parte delle persone – nel modo in cui le intendiamo normalmente – ma questo non significa che dobbiamo leggere questa differenza in modo negativo […] Alcune di queste persone non hanno complicazioni mediche e conducono una vita pienamente compiuta, stanno bene e non presentano problemi se non quelli di carattere sociale, dal momento che spesso non vengono accettate[6].
La grande sofferenza delle persone omosessuali non è, dunque, causata da problemi di tipo medico o psichiatrico, ma sociale, vale a dire, dal fatto che la struttura patriarcale e maschilista della nostra società non accetta la differenza sessuale, la complessità della realtà, rifiutandosi così di ascoltarla, accompagnarla, integrarla. A detta della Frocades, il cui impegno in campo politico si è profuso su diversi temi, la comprensione della complessità della realtà dovrebbe allo stesso tempo condurre ad un cambiamento non delle persone così dette diverse, ma della società nel suo insieme, per fare in modo che nessuno si senta escluso.
Prendere sul serio la problematica delle persone omossessuali in un contesto sociale com’è quello occidentale fortemente omofobo, comporta di non rimanere solamente sul piano della tolleranza, o dell’accoglienza, ma esige passi sempre più chiari verso l’integrazione delle persone omosessuali sia sul piano giuridico che religioso. Interessanti sono, a questo proposito, le riflessioni che la Forcades propone per motivare il suo essere a favore del matrimonio omosessuale. L’idea di complementarietà che solitamente viene utilizzata per spiegare il senso del matrimonio non solo cristiano, secondo la nostra autrice non funziona, perché esprime in malo modo il senso autentico dell’amore. Il concetto di complementarietà, è infatti secondo al Forcades, la riduzione del concetto di amore che deriva dalla prospettiva binaria. Amare una persona non può voler dire cercare una persona che ci completi. Per cogliere in profondità il significato autentico dell’amore occorre uscire dagli stereotipi che provengono dalle semplificazioni della visione binaria della sessualità, ma occorre, in un certo senso, abitare la complessità. Teresa Forcades, a questo proposito, utilizza la riflessione elaborata durante il lavoro di dottorato svolto sul tema della Trinità. Dove possiamo trovare il significato autentico dell’amore di Dio se non osservando da vicino il mistero della Trinità? E’ allora, a questo mistero che dobbiamo rivolgere la domanda sul significato dell’amore umano e non alla dottrina della Chiesa. L’amore trinitario non ha nulla a che vedere con la complementarietà. “Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre persone distinte: questo è il centro del pensiero trinitario nella storia. Sono differenti, ma non nel senso di uno che completa l’altro[7]. Amare, in questa prospettiva trinitaria, non significa andare alla ricerca di qualcosa che ci manca e quindi ci completa. Dio non ci ama perché ne ha bisogno, per completarsi: la gratuità è centrale nell’amore trinitario e nel cristianesimo in generale. Per comprendere meglio il senso dell’amore trinitario Forcades fa appello ad un termine teologico: pericoresi, che significa fare spazio intorno. L’amore trinitario come amore pericoretico, produce spazio intorno alle persone. In questa prospettiva è comprensibile come l’amore autentico non solo esige, ma produce libertà per la persona amata. “Percepisco che qualcuno mi ama quando sento che nella relazione, accanto a quella persona, lo spazio attorno a me si amplia. In questo tipo di relazione posso anche essere me stessa in qualcosa che ancora non so di me, si schiude uno spazio nuovo attorno a me in cui oso entrare. Questo spazio è la migliore definizione dell’amore[8].
Amare significa fare spazio all’altro, in modo tale da permettergli di essere ciò che deve essere. Tutte le volte che la relazione si chiude nella complementarietà duale, rischia di collassare. La dinamica della pericoresi garantisce all’amore un dinamismo creativo. E’ per questo motivo, per il modo d’intendere l’amore, che la Forcades afferma di essere a favore del matrimonio omosessuale. Non basta smettere di discriminare o diventare tolleranti nei confronti delle persone omosessuali. Occorre avere il coraggio di compiere un passo ulteriore. “Sono a favore del sacramento dell’amore fra due persone sia etero sia omosessuali, a patto che fra di loro vi sia un amore autentico fatto del riconoscimento di quello spazio che circonda ogni persona e la comprensione che il matrimonio riguarda anche la comunità nella quale vivono[9].

Uscire dallo schema della sessualità duale, imposto dalla cultura incapace di elaborare un pensiero a partire della realtà che si manifesta nella sua complessità, permette di elaborare proposte sino ad ora impensabili. Elaborazione concettuale, che diviene significativa perché non sgorga dal nulla, ma dalla riflessione sull’amore pericoretico, così come si manifesta nel mistero della Trinità. In ogni modo, la Forcades non si ferma alla possibilità del sacramento del matrimonio per le persone omosessuali, ma arriva persino a criticare il matrimonio eterosessuale. Se, infatti, la santità appartiene a Dio, allora l’amore santo prima di provenire da una relazione di complementarietà, si manifesta in quelle relazioni in cui l’amore non è un bisogno, ma una possibilità che offre spazio per un cammino di autenticità. C’è dunque santità anche nell’omosessualità. “L’omosessualità in sé non è più santa dell’eterosessualità, né vale il contrario, ma per il solo fatto che esiste (a prescindere dalla qualità morale della singola persona omosessuale) è una benedizione e apre alla diversità in un modo che arricchisce la nostra ricerca teologica”[10].
 Affermazioni forti, che dicono di una chiarezza di vedute sul tema del delicato rapporto tra Chiesa e omosessualità, in linea con le argomentazioni sopra riportate. Senza Dubbio per la Forcades l’omosessualità prima di essere un problema è un dono, perché permette alla Chiesa e all’umanità un punto di vista differente per osservare il proprio cammino nella storia e, in questa prospettiva, l’arricchisce di nuovi significati.


[1] Teresa Forcades è una suora di Barcellona, medico e con un dottorato in teologia. Insegna da alcuni anni Teologia queer a Berlino. Si è impegnata molto nel suo Paese nella lotta contro le multinazionali farmaceutiche. E’ a favore della separazione della Catalogna dalla Spagna e, per questo, è entrata per alcuni anni in politica. E’ autrice di diversi libri sia su temi di medicina che di teologia.
[2] FORCADES, T., Siamo tutti diversi. Per una teologia queer, Castelvecchi, Roma 2016, p. 56-57
[3] Ivi. P. 71
[4] Ivi., p. 72. Sul tema cfr. FORCADES, T., La teologia femminista nella storia. Il ruolo delle donne e il diritto all’autodeterminazione femminile, Nutrimenti, Roma 2015
[5] Ivi., p. 120
[6] Ivi. P. 122. Su questa riflessione cfr. anche: FORCADES, T., Fede e libertà, Castelvecchi, Roma 2017, p. 69-71
[7] Ivi., p. 123
[8] Ivi., p. 33
[9] Ivi p. 125
[10] Ibidem

lunedì 11 dicembre 2017

PERCORSO DI TEOLOGIA DELLE DONNE




Paolo Cugini


Perché un percorso di teologia delle donne? Non esiste un’unica teologia? Dovrebbe esistere, ma in realtà, la teologia è per la stragrande maggioranze dei casi una produzione maschile. Anche perché, come ci hanno insegnato alcune teologhe, la teologia è sempre stata gestita dai maschi e alle donne è sempre toccato di mangiare le briciole e, spesso e volentieri, le sono state tolte anche quelle. Come ci ha insegnato la Forcades in uno dei suoi ultimi libri, per tracciare una storia del pensiero teologico femminile occorre essere degli autentici segugi di biblioteche e archivi. C’è stato e c’è un tale ostracismo sul pensiero femminile, che non è facile trovare qualcosa scritto e pensato da una donna. D'altronde, non potrebbe essere differente perché, nonostante i proclami sulla presunta genialità femminile, la Chiesa le ha sempre tenute ben distanti non solo dai centri di pensiero, ma, soprattutto, dai luoghi in cui si decidono i cammini della stessa istituzione maschilista per volontà umana. 

E allora ci può stare un ciclo di conferenze, in cui le donne stesse condividono il loro sguardo diverso sulla realtà, il loro modo di pensare e sentire Dio, la loro sensibilità. Questo ciclo di conferenze è stato pensato e voluto da un gruppo di amici e amiche che desiderano vedere le donne al centro del cammino ecclesiale, convinti che non possiamo più lasciare ai margini il loro fondamentale contributo. Per la realizzazione di questo prestigioso progetto hanno collaborato CAMMINI DI SPERANZA, che è un'associazione italiani di cristiani LGBT e l'Associazione Fondo Samaria.

Il desiderio è che questo percorso non solo ci aiuti a conoscere un mondo e un pensiero diverso, ma contribuisca alla volontà di creare quel pensiero comune che vede la Chiesa come una comunità di fratelli e sorelle uguali, così com’era la comunità dei discepoli e discepole di Gesù.

Vi invitiamo, allora, LUNEDÌ' 18 DICEMBRE al primo di questi incontri. Ascolteremo la teologa Selene Zorzi che ci presenterà il suo libro: IL GENERE DI DIO.


sabato 9 dicembre 2017

OLTRE LA RELIGIONE




PER UN CAMMINO DI SPIRITUALITÀ OLTRE LA RELIGIONE
SEMINARIO NAZIONALE COMUNITÀ DI BASE
RIMINI 9 DICEMBRE 2017


BRUNA PEYROT
Sintesi: Paolo Cugini

La Riforma protestante. Una ricerca di nuova soggettività
La soggettività è lo spazio d’interiorità che abbiamo e non sappiamo d’avere. L’interiorità è fatta di tante voci. Non si parla d’interiorità intimista, ma spazio di socialità più allargata.
Che cosa ha significato la riforma nella ricostruzione della soggettività?

La Riforma protestante è un movimento che ha in Lutero un punto di arrivo di uno spirito dell’epoca molto ampio. Sottostante c’è una ricerca di autenticità. La Riforma fu un evento di gruppo.

Venivano proposti i laici perché erano egemoni nella società. La cultura era in mano ai chierici. Lentamente il tempo del mercante richiedeva un nuovo riconoscimento anche nella società.
Il successo della Riforma è legata all’avanzamento del movimento laicale.
La Riforma coinvolse gli individui e la società: è stato un evento totale. Ha coinvolto le persone sia nel loro livello intimo che sociale.

Esiti politici. In Germania la Riforma si allea con i principi e dice che i cittadini possono professare la religione del loro principe. In Inghilterra la Riforma nasce dall’alto; la sua azione ha un’origine reale. Svizzera: c’è l’organizzazione di una città in cui si distingue a livello di ruoli. Francia: Autonomia delle chiese; nessun potere esterno può decidere che cosa loro devono fare.
Troviamo sempre nei grandi riformatori la dialettica tra interiore ed esteriore. Tensione fra essere libero e servo. Non si può conoscere Dio senza conoscere se stessi.
Altra caratteristica è l’impegno per gli altri. Il protestante non aspira al convento, all’ascesi, ma al rapporto con il mondo. E’ nello spazio del mondo in cui il mio essere si può dispiegare.
Confronto con le Scritture: bilanciano il rapporto dell’uomo con Dio.

La giustizia di Dio secondo Lutero è la giustizia che Dio offre e che possiamo conoscere attraverso la Scrittura. Lutero non era un’anima individuale. Dietro a Lui c’era un gruppo di lavoro, che andavano alle origini leggendo i testi nelle lingue originali. A questo gruppo partecipava Giorgio Spalatino, che trascrisse le proposte teologiche dal punto di vista dell’amministrazione civile.
La relazione affettiva di Lutero con Katrin mutò anche la loro soggettività

SERGIO TANZARELLA
Quando la religione trasforma gli uomini in assassini, Dio piange. Nella storia della religione le persone hanno ucciso nel nome del Dio della vita.
La storia che ci sta alle spalle è una storia di guerre, persecuzioni: tutta la cristianità è responsabile di questo. Si deve uscire dalla retorica celebrativa.
Anatomia della pace (libro del 1945): principio di deresponsabilizzazione delle religioni a proposito della II guerra mondiale. Il risorgere delle barbarie non può essere considerato come opere di pochi. Queste pratiche sono anche di parecchia gente pia e osservane di varie nazione. Milioni di persone sono state uccisi da cristiani.

Occorre ripensarsi come comunità che deve togliere di mezzo dal proprio interno ogni germe di violenza. Occorre allontanarsi dalla cristianità costantiniana.
Il costantinismo va oltre Costantino. Ideologia della milizia di Cristo.
Dobbiamo superare l’idea della storia legata a personaggi e date. La storia è fatta di processi. Sfatare il mito di Lutero.

C’è qualcosa di molto più pericoloso delle eresie: le diplomazie, i calcoli diplomatici.
La chiave della profezia è la parresia.
Equivoco di una cristianità costantiniana che vuole arruolare Dio per vincere le guerre. Questa idea della celebrazione della cultura della tolleranza.
Ippazia, Albigesi, rogo del campo dei Fiori, Giordano Bruno, Tommaso Campanella: sono dati che dobbiamo ricordare agli altri.
Girolamo Savonarola: è una figura scomoda. “Guarda per tutti i luoghi dei conventi: tutti li troverai pieni d’armi”. Savonarola è diventato antesignano del Risorgimento italiano.
Necessità di una profezia disarmata. Occorre ricuperare questi profeti disarmati.


Balducci: occorre elaborare una nuova simbologia. Le religioni devono morire. 

BEATI GLI ATEI PERCHÉ INCONTRERANNO DIO


PER UN CAMMINO DI SPIRITUALITA’ OLTRE LE RELIGIONI
DALLE RELIGIONI ALLA SPIRITUALITÀ: L’ALTRO, L’ALTRA AL DI LA’ DI DOGMI E PRECETTI

RIMINI 8-10 DICEMBRE 2017

Relatore: Augusto Cavadi
Sintesi: Paolo Cugini

E’ un esodo che alcuni di noi hanno compiuto per 40 anni. Passare dalla religione, dalla Chiesa, alla spiritualità come spazio della libertà, della critica. Certe volte si avverte un certo trionfalismo. Se la religione confessionale sta male, anche la spiritualità non se la passa molto bene. Non c’è soltanto da rallargarsi di questo passaggio. Ho lasciato la Chiesa Cattolica perché ci stavo troppo bene. Mi garantiva tante sicurezze. Ho frequentato il corso di teologia al Laterano che mi liberò dal Cattolicesimo. Erano gli anni ’70, erano momenti di grande libertà. Nietzsche diceva che il cristianesimo con Gesù ha acceso alla passione per la verità. E’ perché cerco la verità che non posso restare cristiano.

 Un treno per Lisbona, è un film dove il protagonista è un medico che lascia il mondo cattolico e dice: “Le Parole che vengono da Cristo sono di una bellezza sconvolgente; come sembrava chiaro che quelle parole erano la misura di tutte le cose. Mi sembrava incomprensibile che alla gente interessassero altre parole”.

Ho lasciato l’Egitto però la nostalgia delle cipolle ogni tanto ci viene. La spiritualità post moderna o iper moderna, ha i suoi rischi e tentazioni.

1.        Autismo spirituale, solipismo. Chi lascia le chiese e si mette alla ricerca spirituale di ispirazione orientale, si sono ribellati ad una chiesa che fa annegare l’io nel noi. Mi pare che chi di noi entra nella terra promessa della spiritualità, c’è il rischio di dimenticare il noi a favore dell’io.

2.      Tentazione intimistica, rifugio in se stessi e rifiuto della politica, dei temi sociali. Non cadiamo in una specie di ombelico-centrismo, in cui l’io diventa la misura di tutte le cose. C’è uno spiritualismo dualista che avanza, che rifiuta l’azione in favore della vita interiore. Questo è un pericolo perché la vita spirituale che non si traduce in azione non funziona.

3.       Irrazionalismo. Non si può ridurre l’esperienza spirituale a sentimento, all’irrazionale. La ragione è fondamentale in questo cammino.

4.      Rischio di dimenticare che siamo dentro ad una storia. La spiritualità non può essere vissuta ogni volta come se noi nascessimo ogni volta al mondo. Se non siamo in grado di procreare figli c’è qualcosa che non funziona.

Una spiritualità oltre cristiana non deve perdere le origini. La spiritualità che sogno è la spiritualità del mosaico in cui ogni tessera dev’essere se stessa. Fare questo lavoro di autocritica, ma recuperare le perle preziose. La spiritualità è un mosaico sempre aperto. La logica dev’essere quella della laicità. Il laico è portatore di valori.

C. Spondville: la spiritualità degli atei. Possiamo fare a meno della religione, ma non dell’amore e della spiritualità. Lo spirito è importante e nessuno può avere l’esclusiva. E’ la spiritualità che ci differenzia dagli animali.
La spiritualità è la fioritura della persona.

Intervento di: Maria Soave Buscemi
Durante l’intervento Soave Buscemi ha dato la parola alla pittrice Bruna Peyrot, che ha presentato alcune figure femminili di rottura con il sistema del loro tempo.
Ci sono donne che nella loro eresia hanno permesso un cammino nuovo. Memoria: accendere di nuovo il desiderio. Memoria è un’azione del corpo che riaccende il desiderio.

In memoria di tutte le donne che hanno detto no alle violenze corporali, religiosa, psicologica.
Decostruire un modo di pensare. Il segreto è uscire dallo schema. Solo uscendo dallo schema è possibile trovare soluzioni per la vita. Inventare altre possibilità.
Resistenza spirituale.
Nomadi sono tutti i cammini veri. Il nomadismo è un’esperienza spirituale. Durante ogni luna il corpo della donna cambia. Le lune nomadi si ritrovano per tempi di spiritualità insieme in Emilia Romagna. Ci raccontiamo i nostri tempi di luna. Mina è mussulmana. A partire dai piccoli e dai poveri dalle tante migrazioni scopriamo un cammino mistico politico. Mistica è un’esperienza, non un fenomeno. E’ il vivere la quotidianità. Spiritualità è una parola maschile. Ruàh è femminile: è il respiro di vita, è femminile, è respiro che soffia sul caos e nel caos. E’ questo che cerchiamo di fare. La mistica è un toccare la vita. E’ un lasciarsi toccare. C’è una mistica che parte dall’esperienza dalle donne che è toccare e lasciarsi toccare.

Il toccare è un cammino di erranza. E’ un modo di leggere il mondo. Usciamo dallo schema. Uscire dallo schema del 12. Il 12 nelle tradizioni monoteiste può far morire. Talita è morta a 12 anni. Quando diciamo che 12 erano i figli di Giacobbe, ma erano 13 perché  c’era anche la figlia, massacrata, violata: Dima.

13 sono le lune in un anno. Gli uomini che respirano il respiro della vita accompagnano 13 lune. Leggere e toccare la vita in altro modo.  Da 12 a 13. Siamo comunità di base perché siamo politici e politiche. Riconosciamo un altro mondo possibile. Siamo CdB perché siamo in cammino.
C’è una 13°  tribù errante per i mari, per i corridoi. Il nostro compito è riconoscere e camminare insieme a questa 13°  tribù. Solo chi vive una profonda spiritualità di Ruah insiste e non desiste.


lunedì 4 dicembre 2017

E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI-RIFLESSIONI DI MARIA SOAVE BUSCEMI




RIFLESSIONI IN PREPARAZIONE DEL NATALE
MARIA SOAVE BUSCEMI
REGINA PACIS-RE
 LUNEDÌ 4 DICEMBRE 2017

Sintesi: Paolo Cugini

E’ la luna piena che annuncia il Natale. Il Natale arriverà con un cielo buio, completamente buio. E’ un richiamo spirituale importante nel tempo di Avvento. Costantino l’imperatore ha aiutato a stabilire la data del Natale di Gesù, il 25 di dicembre. Perché si è stabilito il 25 di dicembre? Perché è la festa del solstizio d’inverno, che è la notte più lunga e più buia dell’anno. Piano piano la luce, il sole, riprende ad aumentare il suo corso. Noi celebriamo la nascita di Gesù nella notte più buia dell’anno. E celebriamo la festa del sole. Sembra una contraddizione. Proprio quando tutto è buio, noi celebriamo il sole che vince le tenebre. La spiritualità di chi segue Gesù: quando tutto grida tenebre, buio, non speranza, noi celebriamo il sole che vince, la luce, la vita.  Sentire il profumo fragile della vita che vince piccolina, semplice, quando tutto dice buio. Ecco perché i popoli del nord hanno inventato gli alberi di natale: piccole lucine illuminavano la notte e la notte è ancora più notte. Avvento è celebrare la luce che è Gesù che vince le tenebre, in tempo profondamente buio. Allora possiamo chiederci: qual’è il buoi della mia vita personale, famigliare, comunitaria, che ha bisogno di questa luce piccola, semplice che è Gesù?

Gesù viene ad illuminare questo tempo che è proprio buio. Quando la comunità di Giovanni scrive, lo fa in un tempo ben particolare. Sono 100 anni dopo Gesù. Nessuno persona delle comunità aveva conosciuto Gesù. Quando non si conosce qualcuno è necessario presentarsi. E’ per questo che il quarto vangelo usa spesso una Parola: in principio. Nel Vangelo di Giovanni è peculiare. C’è bisogno di dire fin dall’inizio, occorre dire a queste comunità continuamente qualcosa di fondamentale che altrimenti va perso. Gli anni ’90 sono anni di grande crisi. L’impero Romano ha portato in questo periodo Domiziano, uno dei più violenti. Ha portato le comunità a dire: non ce la faremo mai, l’Impero è troppo forte. Paolo scrive ai Galati: in Gesù non c’è più giudeo e Greco, uomo o donna; in Gesù liberi tutti. Tutti siamo uguali, non esiste uomo donna, non esiste il patriarcato, l’ordine violento del padre. Ma nell’anno ’90 le comunità cominciano a pensare che l’Impero fosse più forte. Ci saranno lettere apostoliche che, in questo contesto politico, invitano le donne ad abbassare la testa e ai servi di obbedire. Giovanni scrive: no. Dobbiamo continuare ad essere di Gesù.

In Principio era la Parola. In principio c’era già colui che è la Parola. La comunità del Vangelo di Giovanni cerca di narrarci il suo credo cristologico, in un tempo in cui sta prevalendo un’idea che si chiama docetismo. S’inizia a dire che Gesù non era vero uomo. A volte anche noi corriamo questo rischio, allontanando Cristo da Gesù, che è quella pietra che tutti i costruttori hanno negato e scartato. La comunità di Giovanni ci sta richiamando a Gesù. 
C’è bisogno di testimoni e nomina un testimone: Giovanni. In questo Vangelo alcune persone sono chiamate testimone di Gesù.

Maria. Cap 2 le nozze di Cana. “Servite come Lui vi dirà”. Servizio: Diaconia, ministero. Maria richiama la Chiesa all’unica parola che conta: servizio.
Cap 4: Samaritana. Questa donna è la prima missionaria: va e annuncia.
Marta sorella di Maria Cap 11. Tu sei il Cristo. Lo dice Marta. Negli altri vangeli lo dice Pietro.
Cap 12: essere unti in testa è il segno del sacerdozio. C’è una signora che unge i piedi di Gesù e poi li asciuga con i suoi capelli. E’ lei che è la prima ad essere unta.
Cap 22 Maria Maddalena: è lei che riceve la rivelazione di Gesù risorto
Nel Vangelo di Giovanni è di donne la testimonianza, il sacerdozio, la missione, il servizio, l’apostolicità.
Nei sinottici ci sono uomini. I vangeli canonici ci dicono che il sacerdozio, la missionarietà, l’apostolicità è di uomini e di donne. Questa è la comunità dei discepoli e discepole.

Il prologo. I suoi non lo hanno voluto. Non solo il mondo, ma i suoi. Nell’anno 100 dopo Cristo s’inizia a utilizzare un termine per indicare i cristiani buttati fuori dalla sinagoga, dai potenti della religione giudaica. Fuori dall’impero, fuori dalle sinagoghe. Questi sono i cristiani. Ecco perché Papa Francesco ci dice: fuori. Noi siamo nati fuori. Fuori dallo schema delle religioni, delle istituzioni. Perché non siamo nati dalla carne, dal potere, dall’arroganza, dalla pretesa di un’unica verità, ma dalla grazia, da grazia su grazia. Non siamo nati dalla Legge, ma da grazia su grazia. La legge di Mosè la conosciamo e cerchiamo di applicarla. La legge non è l’ultima parola, ma è misericordia, grazia su grazia, Se fosse per la logica e per la Legge non si farebbe festa il 25 dicembre. Ma siamo fuori dalle mura di palazzi, in Gesù tutto è grazia e la tenebra non è più tenebra, ma risplende in Gesù.

I suoi non l’hanno accolto. Tutti i poteri religiosi anche oggi, quando sono fondamentalisti e violenti, non accolgono la luce. Cristiani, mussulmani, buddisti. Quando diventiamo arroganti, fondamentalisti andiamo e massacriamo. I suoi non lo hanno accolto. Giovanni dice chi sono i suoi veramente. Quelli che non sono nati da carne, ma nati dalla grazia, di gente impura, fuori, impoverita, di donne, uomini, di respiri di umanità che hanno fatto esperienza di essere nati non da carne, ma da grazia. Questi e queste che sanno che in Gesù non ci sono più uomini e donne, schiavi e liberi.

E mise la sua tenda in mezzo a noi. Ci richiama la nostra esperienza fondante che è l’esodo: Dio in tenda con noi, fragile, non arrogante, errante, mendicante con noi.
Nell’anno ’90 le comunità cristiane inventano una parola: parrocchia. Chi era parrocchiano in quegli anni: tuti quelli senza documenti, che non valevano nulla. Stranieri, donne, bambini, malati, tutte le periferie esistenziali. Coloro che non avevano diritti civili, che non valevano nulla. E la Parrocchia era il luogo che li accoglieva. La parrocchia è sempre più diventata il luogo di quello che hanno i documenti in regola. Dobbiamo ritornare a Gesù. Per questo continua a mettere la tenda nella notte più buia del mondo. Dobbiamo accogliere tutti, per questo dobbiamo uscire. Dobbiamo fare di tutto questa realtà, una parrocchia. La parrocchia è una tenda che si allarga per fare continuamente spazio, perché nessuno venga escluso, affinché tutto e tutte abbiano spazio. La Grazia ci fa uguali nella stessa dignità. Questa Grazia ci condurrà a Dio nel cammino di Gesù.