giovedì 18 agosto 2022

IN DIALOGO CON VLADIMIR LOSSKY

 



Paolo Cugini

[LOSSKY, V. A immagine e somiglianza di Dio. Bologna: EDB 2016]

 

“Lo Spirito Santo diversifica ciò che Cristo unifica. E tuttavia una concordia perfetta regna in questa diversità e una ricchezza infinita si manifesta in questa unità. C’è di più. Senza la diversità personale, l’unità di natura non potrebbe realizzarsi, sarebbe sostituita da un’unità esteriore, astratta amministrativa, accecamento subito dei membri di una collettività… Nessuna unità di natura senza diversità delle persone, nessuna persona pienamente realizzata al di fuori della unità di natura. La cattolicità consiste nell’accordo perfetto di questi due termini: unità e diversità, natura e persone” (V. Lossky). 

Se lo Spirito Santo diversifica ciò che Cristo unifica, ciò significa che là, dove manca la diversità, là dove la diversità è considerata un problema, là dove si fa di tutto per soffocare la diversità e lo Spirito Santo stesso ad essere soffocato, messo a tacere. Quando nella Chiesa non c’è spazio per le diversità è una volontà di potenza che cerca d’imporre la propria volontà sullo Spirito Santo, cioè sulla stessa volontà del Padre.

 

Il problema è: come accordare unità e diversità in un contesto concreto come quello di una Chiesa locale? Spesso, anzi, sempre dipende dalla persona che guida la comunità. Se è abbastanza umile da ascoltare, entrare in dialogo con tutte le diversità presenti nella comunità, allora la comunione regna, se no è una tragedia, una sofferenza di tutto il corpo. Come un pastore può salvaguardare la comunione, l’unità nella comunità? Mi sembra che il termine giusto per rispondere all’interrogativo sia: accompagnare. Solamente il pastore che accompagna le diversità riesce a collaborare dentro un cammino di comunione. Che cosa significa accompagnare? È entrare nella “diversità”, partecipare per quanto possibile alla vita di quel particolare movimento, gruppo, per discernere gli eventuali errori, le ricchezze da apportare alla comunione. Tutto ciò ha un’implicazione di natura antropologica. Di fatto: “Non sono le priorità di una natura individuale, ma il rapporto unico di ciascun essere con Dio che costituisce l’unicità di una persona umana, rapporto che è confermato dallo Spirito Santo e che si realizza nella grazia” (V. Lossky).

Questo passo di Lossky è molto profondo perché aiuta a comprendere la relazione tra ciò che una persona è e si trova ad avere come eredità nel momento della nascita e, dall’altra parte, Dio. In fin dei conti il problema potrebbe essere impostato così: che cosa è che determina l’unicità della persona? La risposta della Parola di Dio è ben chiara: è il rapporto personale con Dio, perché è dentro questo rapporto che maturiamo tutti quei doni che Dio ci ha dato in dono. Chi noi siamo è solamente Dio a rivelarcelo e ce lo rivela nel tempo, perché è l’ambito in cui si costruisce la relazione con lui. Tutto, allora, dobbiamo fare affinché questa relazione diventi significativa e, per certi aspetti, maturi. È questo il senso della preghiera: rapporto con Dio che porta a maturazione la nostra costanza. Per questo la preghiera è qualcosa da coltivare e rivela lo spessore della maturità umana e la coscienza che abbiamo di essere unici di fronte a Dio e, di conseguenza la nostra differenza. Chi ha paura delle differenze degli altri è perché non conosce la propria unicità, la propria differenza e non la conosce perché non gli è stata rivelata e non gli è stata rivelata perché ha passato poco tempo con Dio o, se lo ha passato, lo ha trascorso male. È la relazione con Dio che costantemente rivela l’unicità, la diversità, il senso del cammino. Per questo il rapporto con Dio, che è la preghiera, è da coltivare, da ricercare, ricreare, rimotivare. È una fedeltà creativa, che non si appiattisce, che non permette alle forme e alle formule di prendere il sopravvento (Diari 2000). 

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