Paolo
Cugini
“Sono uscito dal Padre e sono venuto al mondo. Ora
lascio il mondo e vado al Padre” (Gv. 16,28). Incarnazione: cammino
di discesa e salita (identità e differenza). Dall’alto verso il basso e dal
basso verso l’alto: Gesù non si è perso. Gesù non si è mondanizzato. La sua
presenza nel mondo non si è mondanizzata, nel senso che il mondo non ha avuto
la meglio su di lui. Il mondo non lo ha mondanizzato. Al contrario Gesù ha
divinizzato tutto ciò che del mondo ha toccato. O meglio, tutta quella parte di
mondo che si è lasciata attrarre dalle sue Parole, che ha creduto nelle sue
Parole è stata divinizzata. È venuto nel mondo, e disceso ma non per rimanere.
Ha innestato un principio di vita, di divinizzazione del mondo.
(Gv. 15,9-17).
Gesù comanda, ordina ai suoi discepoli di amarsi. Gesù sceglie i suoi discepoli
e gli comanda di amarsi. Discepolo è colui che ama Gesù e ama gli altri
discepoli. Perché un comando di questo tipo? Come si fa ad ordinare, comandare
di amare? Gesù sceglie i suoi discepoli, li toglie dal mondo dell’odio,
dell’egoismo, dell’invidia, della gelosia. Li toglie dal mondo perché stiano
con Lui, perché vivano con Lui, perché facciano esperienza dell’amore, della
gratuità della pace, che viene da Lui. “Rimanete nel mio amore” (Gv. 15,9).
Non è qualsiasi amore, un amore qualsiasi che i discepoli devono vivere; non è
un amore qualunque. Gesù non dice solamente amatevi gli uni gli altri, ma
aggiunge come io vi ho amati. Gesù insegna l’amore, la donazione e lo insegna
vivendo con loro. I discepoli hanno avuto modo di capire il senso dell’amore di
Dio stando con Gesù. Si apprende ad amare gli altri solamente stando con Gesù.
Non ci sono altre alternative. Gesù dice queste parole ai discepoli nell’ultima
cena, cioè poco prima di morire. Gesù non dà un comando teorico astratto, ma
prima di tutto il suo esempio. Gesù dà il comando dell’amore dopo aver
trascorso tre anni con i suoi discepoli. Ciò significa che i discepoli
ascoltando Gesù, sapevano questa offerta. “Per loro conoscere me stesso, perché
siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv. 17,19).
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