giovedì 28 febbraio 2019

QUESTIONE DI STILE. Riflessioni personali dal corso sulla realtà amazzonica



Paolo Cugini


Nel mese di febbraio si sta svolgendo (finisce venerdì 1° marzo) a Manaus il corso annuale sulla realtà amazzonica, aperto a tutti i missionari in partenza verso l’Amazzonia. Quest’anno il corso si arricchisce con le tematiche emergenti della preparazione del Sinodo Pan Amazzonico che si svolgerà a Roma nel mese di ottobre. Il corso si svolge presso gli ambienti del seminario san Giuseppe di Manaus, che è anche sede della Facoltà Claretiana e della REPAM, la rete di associazioni che sono coinvolte nella preparazione del sinodo. Partecipanti del corso, oltre a sei sacerdoti diocesani italiani – tre di Padova e tre di Reggio Emilia -, sono religiose, religiosi e preti di varie parti del Sud America (Messico, Argentina, Ecuador, Brasile), oltre ad una religiosa della Burkina Faso, due dell’India e un sacerdote della Nigeria.

Desidero condividere alcune riflessioni maturate in questi giorni. Da lontano si vedono le cose in un modo diverso. La distanza aiuta nella percezione della prospettiva e, quindi, a valorizzare e anche a relativizzare le esperienze che si vivono.

La prima è sul contenuto che è stato somministrato, che riguarda per la maggior parte dei casi, argomenti sulla situazione sociale e politica. Questo aspetto merita la nostra attenzione perché dice di un modo d’intendere la Chiesa e del suo posto nel mondo. Se questo corso o uno simile, fosse stato realizzato in Italia, senza dubbio la maggior parte degli argomenti avrebbe riguardato i temi interni alla Chiesa, come la liturgia, il modo di celebrare, la correttezza degli argomenti teologici. In fin dei conti si tratta di un corso di evangelizzazione di una realtà, corso rivolto a missionari, quasi tutti preti e suore. Il problema è come concepiamo il mandato missionario. In certe situazioni è possibile cogliere che cosa c’è dietro le nostre scelte e le nostre tante parole.



In Brasile, in America Latina il punto di partenza è sempre la realtà, il contesto socio-politico-culturale. Dietro questa impostazione c’è la grande lezione del Concilio Vaticano II della Chiesa come Popolo di Dio, di una Chiesa immersa nel mondo, chiamata ad essere semente e fermento affinché il Vangelo trasformi la realtà. Una Chiesa, dunque, chiamata a leggere e ad interpretare i segni dei tempi, per cogliere la presenza del Signore nella storia.  Affinché questo progetto si realizzi, e il Vangelo possa penetrare la storia, il principio che il Concilio ha preso come riferimento è l’incarnazione del Verbo, il cammino di abbassamento, il farsi carne e l’abitare in mezzo a noi. L’evangelizzazione per essere incarnata esige, dunque, che si conosca la realtà che si desidera incontrare. È questo che è avvenuto durante il mese di febbraio a Manaus. Si sono succeduti ricercatori, professori universitari, membri di associazioni umanitarie in difesa dei popoli indigeni e della foresta amazzonica, tutti preoccupati di aiutarci a capire dove stiamo mettendo i piedi, per non fare troppi danni e, soprattutto, per inculturare il messaggio del Vangelo nelle realtà in cui verremo a trovarci. 
Questo aspetto, che avevo già visto in Bahia dove ho trascorso 15 magnifici anni della mia vita, mi ha fatto riflettere molto. Ho trascorso, infatti, gli ultimi 5 anni in un contesto di Chiesa in cui il punto di partenza dell’Evangelizzazione non è la realtà da incontrare, ma il contenuto da offrire. Penso a come sarebbe stato significativo realizzare qualche consiglio pastorale dell’Unità Pastorale chiamando assistenti sociali o persone che lavorano sul territorio, per mostrarci le dinamiche socio-politiche del territorio. In realtà qualche volta ci ho pensato, ma ne stavo combinando così tante che ho lasciato perdere. Non si tratta di sapere chi è il migliore o chi ha ragione, ma semplicemente capire che lo Spirito Santo agisce in forme diverse e con una ricchezza e creatività incredibile. La missionarietà di una diocesi serve anche per questo, per mettere in circolo quelle esperienze di evangelizzazione incontrate, affinché possano contaminare positivamente un cammino e arricchirlo.


L’altra riflessione è su ciò che è accaduto in una di queste sere. È stata organizzata una notte culturale, come è costume da queste parti. Molte delle suore presenti si sono presentate con gli abiti del proprio paese (India, Sri Lanka, Burkina Faso, ecc.) e poi ogni paese ha presentato musiche e danze tipiche. Suore e presbiteri danzare insieme con tanta allegria: che spettacolo! Mentre vivevo la serata e io stesso con grande difficoltà provavo ad inserirmi nei passi di danza, pensavo che una scena come quella che stavo vivendo sarebbe stata improponibile nel contesto ecclesiale italiano, non solo per i preti e le suore, ma anche perché diversi laici bacchettoni (e ce n’è a chili nelle nostre parrocchie!) sarebbero rimasti scandalizzati. E così, mentre in un contesto ecclesiale si passa il tempo ad applicare a puntino la rubrica liturgica, rompendo l’anima ai poveri laici che adesso non possono nemmeno più uscire dal banco per darsi la pace (ma non ci sono dei problemi in Italia per cui valga la pena occuparsi? Mah), dall’altra parte del mondo si danza e si canta, anche nelle celebrazioni liturgiche, offrendo ai fedeli la possibilità di sentirsi a casa, liberi di muoversi perlomeno nella casa del Signore.





lunedì 25 febbraio 2019

POPOLI INDIGENI NEL BRASILE E NELL’AMAZZONIA





CORSO SULLA REALTA’ DELL’AMAZZONIA

MANAUS 25 FEVEREIRO 2019


CONSIGLIO INDIGENISTA MISSIONARIO (CIMI)


Sintesi: Paolo Cugini


IL CIMI è un organismo vincolato alla CNBB. Segna un nuovo modo di lavorare con i popoli indigeni. Fu creato nel 1972 nel periodo della dittatura militare. In quel periodo l’idea era integrare i popoli indigeni con il popolo brasiliano. Ciò significava la perdita d’identità di questi popoli. Il CIMI nasce proprio per salvaguardare l’identità dei popoli indigeni, la loro specificità. Annunciare il Vangelo denunciando lo sfruttamento dei popoli indigeni, è stato uno dei compiti importanti del CIMI, che ha approfondito il dialogo interculturale, inter-religioso. Il CIMI è presente in tutto il Brasile e, in modo particolare, nel Nord, dove c’è la presenza maggiore dei popoli indigeni.

Alcuni dati regione Pan-amazzonica (è l’Amazzonia internazionale che tocca 9 paesi)

Popolazione indigena: 2.779.478
Popoli indigena: 390
Popoli: Popoli isolati: 240
Famiglie linguistiche: 49 (le più numerose: Aruak, Karib, e Tupi-Guaranì)

Popoli indigeni amazzonia brasiliana

Popoli indigeni: 180
Popolazione indigena: 433.363
Lingue: 150 (all’inizio dell’invasione nel 1500 erano 1200 lingue)
In Brasile ci sono 114 popoli isolati. L’organo dello Stato ne riconosce solo 28.
Il 58% dei popoli indigeni vive dentro le terre indigena e il 42% fuori dalle terre, cioè nelle città.
48% dei popoli indigeni abitano nell’Amazzonia legale e, di questi la maggior parte è nello Stato dell’Amazzonia.

I Ticuna è il popolo indigena più numeroso, localizzato nella regione di Alto di Solimoes. La seconda è gli Yanomami.

Molti popoli indigeni che vivono fuori dalle terre indigene non parlano la lingua originale, ma conoscono appena il portoghese. Il 37% degli indigeni parlano in casa la propria lingua. Nel 1758 il Brasile proibì l’uso della lingua Tupì, che era la lingua generale brasiliana. La stessa popolazione in generale non riconosce il valore delle lingue dei popoli indigeni, chiamandole di dialetti. C’è, quindi, una grande discriminazione nei confronti dei popoli indigeni nello stesso Brasile.

Solo 5 delle 180 lingue indigene parlate in Brasile ha più di 10000 parlanti (Tikuna 34 mila; Guaranì 26 mila). Ci sono molto lingue vicino all’estinzione, lingue con meno di 10 persone parlanti l’idioma.



Situazione delle terre indigene: La FUNAI (è l’organismo ufficiale del Governo che si Occupa della delimitazione delle terre indigene) ne segnala 500 cerca. La FUNAI segnala una terra indigena quando è già strutturata. Il CIMI invece, conta le terre anche quando sono in un processo di formazione per ottenere la delimitazione legalizzata, quindi il numero è maggiore: 1300.

Per arrivare al riconoscimento di una terra c’è tutto un processo piuttosto lungo fatto di fasi. La maggior parte delle terre indigene non è in nessuna fase del processo di riconoscimento. La Costituzione brasiliana riconosce terra indigena anche se non è iniziato il processo.
La FUNAI ha inventato la nuova tappa della qualificazione della domanda, complicando ulteriormente il processo di riconoscimento delle terre indigene. Nell’Amazzonia brasiliana ci sono 127 terre regolarizzate, 8 omologate, 12 dichiarate, 3 identificate. Il processo di riconoscimento della terra indigena dura circa 10 anni. La conseguenza della non demarcazione delle terre è la vulnerabilità dei popoli indigeni.


Momento politico attuale

C’è una proposta di legge che proibisce il raggruppamento di diversi popoli in una sola terra. Questa proposta stabilisce che le Forze Armate potranno attuare nelle terre indigene indipendentemente dalla consulta nella Comunità. Questa proposta proibisce l’ampiamento di terre indigene e stabilisce il contraddittorio di qualsiasi cittadino in tutte le tappe della demarcazione. Nell’ambito del potere esecutivo ci sono dei cambiamenti della sistematica della demarcazione delle terre attraverso dei decreti presidenziali, portiere e pareri.
Ci sono stati vari tentativi di cambiare la sistematica della demarcazione delle terre.

Presidente Temer: parere n. 001/2017: parere che obbliga l’amministrazione pubblica federale ad applicare, a tutte le terre indigene del paese, condizionanti che il Supremo Tribunale Federale stabilì nel 2009 quando ha riconosciuto la costituzionalità della demarcazione della Terra Indigena Raposa Serra do Sol, in Roraima. Ciò significa non riconoscere la tradizionalità dell’occupazione indigena quando la comunità non stava nella terra data dalla promulgazione della Costituzione. Oltra a ciò afferma che non si possono correggere i limiti delle terre demarcate e anche la possibilità di decidere senza ascoltare la comunità nel caso di alcuni progetti e di problemi d’infrastruttura.

Presidente Bolsonaro: MP 870/2019 ha cambiato l’organogramma delle responsabilità in riferimento delle terre indigene. D’ora innanzi la responsabilità che era della FUNAI, è di responsabilità del ministero dell’Agricoltura. La FUNAI diventa integrata nel ministero della Famiglia e diritti umani e non più della Giustizia. Il problema sono i ministri di questi ministeri che si trovano agli antipodi delle problematiche dei popoli indigeni, per non dire contro. Bolsonaro ha già dichiarato che non demarcherà un solo cm di terra indigena e cercherà di rivedere le demarcazioni delle terre.
C’è quindi una strumentalizzazione degli organi politici responsabili per l’udienza dei popoli indigeni. È stato messo un Generale come presidente della FUNAI.
Altra strategia è la destrutturazione degli organi responsabili per la protezione dei popoli indigeni attraverso il taglio dei versamenti e l’estinzione degli incarichi e delle unità amministrative.



Strumenti dell’attacco ai diritti territoriali dei popoli indigeni:
1.      Tesi del marco temporale: Non sono considerate terre indigene quelle terre in cui nel 1988 non abitavano indigeni
2.      Negare l’accesso alla giustizia: Il giudizio nega alle comunità che partecipano del processo nonostante la Costituzione federale riconosca che sono soggetti capaci di entrare nel processo.
La realtà indigena è spesso invisibile e resa invisibile, anche perché negli ultimi decenni c’è stato un processo di mistura. I popoli indigeni in realtà sono perseguitati, maltrattati e esclusi a volte anche dalla stessa Chiesa.
In Brasile la storia della colonizzazione ha creato quei preconcetti che plasmano una cultura che rende la vita dei popoli indigeni molto dura. Ciò è visibile in modo particolare, nelle prese di posizione dell’ultimo presidente del Brasile, Bolsonaro che, come abbiamo visto, sta facendo di tutto per rendere la vita assurda ai popoli indigeni. Negli ultimi anni in Brasile si assiste al tentativo di smontare la politica indigena costruito negli ultimi decenni. È la grande pressione che arriva sui politici dalle grandi multinazionali interessati alle terre indigene per i loro obiettivi.






mercoledì 20 febbraio 2019

ECOTEOLOGIA AMAZONICA - NUOVI CAMMINI DI EVANGELIZZAZIONE INCULTURATA






CORSO SULLA REALTÀ AMAZZONICA

MANAUS - 20 FEBBRAIO 2019



Prof: Padre Riccardo Gonçalves Castro

Sintesi: Paolo Cugini


Il cristianesimo è la religione più antropocentrica dell’umanità. Il cristianesimo deve chiedere perdono alla natura. Ecologia integrale. Dio non può essere solo in un altro mondo.

Regno di Dio e creazione. Questo significato si trova nelle parabole di Gesù. La realtà del Regno si percepisce da come Gesù guarda la creazione. La libertà di Dio continua nella creazione e nella storia. C’è una dinamica fraterna di crescita, trasformazione e scoperta. Il Regno è esperienza della scoperta, della misericordia, è compassione, è fonte di vita.

Il simbolo del bambino per il Regno di Dio è un simbolo della natura. Bambini come elemento della sapienza. Il bambino deve giocare e così sperimenta l’allegria di vivere. È questo che perdiamo quando diventiamo adulti. Nella vita adulta spesso perdiamo il significato ludico della vita, le dinamiche dell’immaginazione.


La foresta è una fonte grande della rivelazione di Dio. Nella foresta è impossibile essere agnostici. Qui la relazione con Dio è semplice e spontanea. La foresta permette di avere i piedi sulla terra, il contatto con la realtà, percepire la compatibilità della terra con la natura umana. Siamo terra, pianta, alberi: c’è una dimensione vegetale che dev’essere recuperata (indicazione del libro di Genesi).
Ci sono esperienze che parlano di un’unione vegetale: AYAWASKA. La natura ci insegna nella contemplazione. La foresta è fonte di sapienza, possiede un’anima che può insegnarci. La contemplazione della natura aiuta ad entrare in contatto con Dio. Agli indios è stata negato di vivere la loro spiritualità, le loro espressioni religiose e culturali e questo ha lasciato un grande impatto negativo sui popoli indigeni.
Nel ritmo dei fiumi. L’Amazzonia vive sui fiumi. Ci sono momenti di piene e di secche. La vita cambia quando un fiume riempie. Cambia l’alimentazione, i ritmi degli animali e degli uomini. In Amazzonia dovrebbe esserci una liturgia differente, ritmata dai tempi dei fiumi. La liturgia deve accompagnare la vita e quindi i ritmi della natura. Non può Roma capire i ritmi del popolo amazzonico e, quindi, imporre dei ritmi che non conosce. C’è una liturgia del fiume, dei suoi tempi e momenti.

C’è anche la mescolanza tra indigeni e popoli di provenienza africana, che occorre tenere in considerazione. L’indo e l’afro e poi il cattolicesimo tradizionale.
La grande sfida è conservare le acque: ci vuole una teologia dell’acqua, che ha una dimensione religiosa, perché sostiene tutta la creazione. Dobbiamo ringraziare il Signore per la sorella acqua. Spesso non rispettiamo l’acqua anche nei riti religiosi. Nel Candomblè e nell’umubanda l’acqua è molto più valorizzata. Sarebbe interessante portare la gente vicino al fiume per il battesimo dei bambini. L’Amazzonia è un ambiente che permette di recuperare la sacralità dell’acqua.
Ci sono delle forme sincretiche che troviamo in Amazzonia.



Pajelança: è una forma di xamanismo. Gli sciamani hanno rituali che pretendono una connessione con la Madre Natura e il mondo spirituale. Gli spiriti possono essere alleati o avversari. Questa è una dinamica fondamentale nei popoli indigeni. La pajelança è un sistema di cura e di credenze: c’è una specie di sincretismo con le forme religiose del cattolicesimo popolare.

Xamanismo: la realtà è piena di spiriti
Xamano: è colui che entra in contatto con lo spirito.
Il Xamano entra in transe attraverso l’uso di allucinogeni e invoca gli spiriti.

Cultura ribeirina (dei villaggi dei fiumi). Qui s’incontra una mistura di riti e usanze mescolate con le devozioni importate dai portoghesi.

Incantados: gli spiriti della foresta che incantano le persone. Sono questi incantati che fanno un bambino diventare ammalati o che lasciano ammalate le persone. Si possono togliere questo tipo di malattia con color che sono addetti a benedire.
Pegadores: fanno massaggi.

Sono tutte pratiche con un fondo religioso. C’è tutto il discorso del malocchio.

Il santo cattolico ti toglie i problemi dentro questa religiosità: c’è tutto il discorso del pagare le promesse. Quando si passa al pentecostalismo entra la logica della decima. C’è una base una religiosa che transita per forme religiose moderne.

Mescolanza – interculturazione: La ricchezza autentica dell’Amazzonia è nella mescolanza che esiste tra biodiversità, cultura e religiosità tradizionale dei suoi popoli. Questo impone alla Chiesa in Amazzonia un cammino, una mistica, un progetto di vita che dev’essere incarnato nelle metodologie dell’evangelizzazione. Ci dev’essere, dunque, un riscatto della cultura, dell’identità amazzonica a partire della mitologia e del simbolismo religioso. Occorre promuovere un’educazione teologica, spazi di riflessione affinché si possa elaborare una teologia amazzonica, una spiritualità e teologia della sequela di Gesù nel contesto amazzonico.

Senza cammino di inserimento non riusciamo a camminare con il popolo amazzonico.

Equilibrio: è fondamentale nella mitologia amazzonica. C’è una necessità di compensazione. Come la natura, tutto è necessario convivere con il suo opposto: luce e tenebra. Il giorno ha bisogno della notte e viceversa.



Chiesa evangelizzatrice in Amazzonia: C’è il desiderio dell’ascolto della Parola di Dio che si comprende con la dinamica dell’incarnazione. La Chiesa, come il Logos, deve incarnarsi in Amazzonia, rivestirsi dei suoi elementi sacramentali, dei suoi codici linguistici, della sua corporeità, della sua percezione della creazione. Nel superamento del modello della chiesa colonizzatrice, la comunità ecclesiale desidera la valorizzazione e l’autonomia creativa per ascoltare la Parola, relazionare con la sua vita e applicare a partire del suo modo di essere nella realtà locale.
La chiesa in Amazzonia vuole comprendere la sua natura e missione a partire dal paradigma della creazione. Una comprensione più profonda della relazione tra fede e creazione è la base affinché la Chiesa amazzonica sviluppi attitudini e strategie attente alla biodiversità.

Impegno interecclesialePorto Velho (2014). Camminiamo o con il popolo di Dio accogliendo tutte le espressioni della vita. Ci impegniamo a rafforzare le lotte dei movimenti sociali popolari. Ci impegniamo a promuovere modelli economici alternativi.


venerdì 15 febbraio 2019

LINGUE INDIGENE IN AMAZZONIA E RORAIMA






Giovedì 14 febbraio 2019
MANAUS – corso sulla realtà amazzonica

Prof.: Sanderson Castro Soares de Oliveira
Sintesi: Paolo Cugini
Quante lingue sono parlate in Brasile? 197
Ci sono lingue indigene, lingue di immigrazione (varietà di tedesco, giapponese, italiano, ecc.).
Quante lingue sono parlate in Amazzonia? Circa 60
Quanti popoli indigeni esistono in Brasile? Circa 274
Ci sono 42 unità genetiche.

Indigena è legato alla terra. Questo è anche il significato del movimento indigena che lotta per il riconoscimento delle terre indigene. Ci sono molte terre indigene che non sono ancora omologate.  La maggioranza delle lingue del Brasile sono parlate da comunità piccole con poche persone che le parlano.  La lingua più parlata in territorio brasiliano è il tikuna (50 mila). Ci sono Tikuna a san Paolo, Tabatinga, Tefè.

Ci sono anche delle lingue in pericolo di estinzione. Ci vogliono meno di cento mila parlanti, quindi tutte le lingue indigene in Brasile sono in pericolo di estinzione.  Secondo le stime c’erano 1500 idiomi in Brasile prima dell’arrivo dei colonizzatori. Oggi è rimasto il 10% delle lingue.
Il luogo in cui si sono mantenute il maggior parte di lingue è l’Amazzonia, anche perché è una regione che non fu molto colonizzata a causa della difficoltà di vivere.

Ci sono anche le lingue generali che sono le lingue parlate in una regione, che servivano per comunicare con i vari popoli. Non c’è stato un processo in Brasile di valorizzare le lingue specifiche, ma quelle generali. La morte di una lingua è anche dovuta alla morte fisica di un popolo.  I fattori che hanno portato alla morte della lingua generale in Amazzonia. Fino al XIX secolo l’Amazzonia non era incluso nel Brasile.

Il pericolo della borsa famiglia è che toglie gli indios dall’aldeia e li porta in città. Molti indigeni si sono inseriti nei settori importanti della società.

Famiglia linguistica.
Appartenere alla stessa famiglia linguistica non vuole dire che le lingue sono uguali. In Brasile ci sono 19 famiglie linguistiche indigene. Popoli indigeni isolati in Brasile. Gli europei hanno sterminato i popoli indigeni e le loro culture, hanno rubato le loro mogli. Molti popoli sono fuggiti all’interno della foresta per poter sopravvivere.
Indigeni isolati è una categoria amministrativa. Un indio isolato è un popolo con assenza di relazione permanente con la società. In Amazzonia c’è la maggior concentrazioni di popoli indigeni isolati.

giovedì 14 febbraio 2019

TEMPO E SPAZIO IN AMAZZONIA











MANAUS - AMAZZONIA
CORSO DI INCULTURAZIONE
13 FEBBRAIO 2019



Prof.: Tatiana Schor
Sintesi Paolo Cugini

È interessante in Amazzonia come sono collegate tra loro le città, sono dipendenti tra loro.
Farina in Amazzonia è conoscenza, perché in ogni città c’è un tipo di farina e un modo per lavorarla. È importante partecipare al lavoro della farina nei luoghi in cui avviene. C’è una grande quantità di tipi di farina. Le élite delle città delle regioni dell’Amazzonia sono i commercianti. Il prezzo delle farine è molto interessante per capire la differenza tra chi produce e chi vende. L’Amazzonia sembra una regione che non è mai pronta, che è sempre in movimento.

Quando si parla di Amazzonia occorre capire di che Amazzonia stiamo parlando. L’ Amazzonia ha una grande complessità di natura molto ricca. C’è una quantità di elementi che sono ancora sconosciuti. La natura dell’Amazzonia è molto importante. Si parla molto della foresta culturale. Ci sono alcuni alberi ipes, che sono utilizzati molto. Gli uomini che abitavano qui milioni di anni fa facevano maneggio della foresta. Eduardo Neves ha rivoluzionato l’archeologia dell’Amazzonia. Oggi abbiamo in Amazzonia una grande diversità di popoli indigeni, con una storia particolare e religioni diverse. Molti popoli sono stati eliminati. Ci sono poi i popoli riberini (sul fiume). Le persone che vivono sul fiume fanno della foresta la loro sicurezza, soprattutto dal punto di vista dell’alimentazione.

Quale Amazzonia? Non è una regione omogenea, ma è complessa e diversa. È meglio parlare di Amazzonie.

Spazialità: forme con cui le persone occupano uno spazio. La siccità è problema, mentre le piene è allegria per il popolo. La questione dell’acqua potabile è molto seria. Si vive una vita fluida, in cui la acqua è il centro. I prezzi variano dal livello di acqua de fiume. C’è una grande dispersione di cibo.
C’è una grande movimento di prodotti soprattutto nei territori di frontiera. A Tabatinga si trova quindi una grande varietà di frutta, perché ci sono prodotti della Colombia e del Perù.
Il 70 % della foresta Amazzonica è in Brasile (Bolivia 8%, Perù 10%, Colombia 5,5%).
Amazzonia Legale: definita per la legislazione (articolo 199 Costituzione 1946; Legge 1806/1953
Estensione: 5.020.000 Km2
In Amazzonia abitano 4 milioni di abitanti, di cui 2 milioni sono a Manaus.

Problema socioculturale: capire che mappa ha in testa l’abitante di una zona e confrontarla con la realtà geografica.
La prima idea che oggi abbiamo dell’Amazzonia è uno spazio vuoto. C’è stato un processo di disabitazione, stermino di popoli indigeni e chi è rimasto se ne è andato. È questo il frutto del processo di colonizzazione.
Diario dell’Amazzonia (Asman). È inglese. Racconta come vengono sterminati gli indigeni con il lavoro schiavo. Il vuoto demografico è la conseguenza del processo di colonizzazione. Interessante è l’archeologia perché testimonia la presenza degli indigeni nel territorio. Anche il suolo mostra dei cammini che si sono sedimentati.



Problema della terra nera: residui umani. Dimostra che nei secoli passati c’era un’occupazione intensa del territorio amazzonico.

Gli Incas erano più sviluppati degli europei, per la loro organizzazione sociale. In Amazzonia l’organizzazione è molto più complessa. Video: gli indios prima del Brasile. Esistono marche spaziali significativi che dicono di una presenza: i geroglifici dell’Acre.
Ci sono anche delle cose che non sono rimaste. La colonizzazione è stata una catastrofe demografica. Ci sono evidenze di 11 mila anni, anche se ci sono difficoltà nella ricostruzione. Si cerca oggi di ricostruire la foresta com’era prima della colonizzazione.

Ci sono due ambienti chiari in Amazzonia:
Terra ferma: 98%
Varzea: 1,5%
La Varzea è l’area di maggior concentrazione di popolazione
Amazzonia spagnola: sembra che prima di Cabral, gli spagnoli erano già arrivati in Amazzonia

Si comincia a trasformare gli indigeni in schiavi. Creazione della capitania. Creazione dei forti e delle ville. La Chiesa cattolica ha avuto un ruolo importante.
Modello mercantile portoghese:
Obbedienza all'assolutismo: il re è signore di tutti
Territorio è potere. L’occupazione portoghese si è data per mezzo di forti militari e dalle missioni religiose.
C’è poi un periodo di stagnazione tra il XVIII e XIX secolo, dove c’è l’estinzione della Compagnia Generale del Gran Parà Maranhão e di san Giovanni del Rio Negro. Viene creata la Comarca di Alto Amazzonia. Ci sono dei nuclei popolati nelle valli.

Amazzonia brasiliana

Nel 1822 quando è stata proclamata l’indipendenza del Brasile, l’Amazzonia non faceva parte del Brasile perché continuava ad appartenere al Portogallo.

Nella prima metà del secolo XIX avviene una rivoluzione delle capanne: ci furono 40 mila morti. Venne distrutto la possibilità di organizzazione sociale. Questo ha segnato profondamente la società indigena.
1850: l’Amazzonia è elevata a Provincia
1866: viene aperta la navigazione straniera in Amazzonia
1850-1920: estrazione della gomma. Coincide con l’arretramento dei popoli indigeni
Catena produttiva. Nasce anche quello che viene chiamato: avviamento, vale a dire un sistema di credito che indebitava gli estrattori di gomma, che diventavano schiavi.

C’è una concentrazione a Manaus e Belém.
Interessante è il movimento degli europei che arrivano per la gomma e i cimiteri raccontano molto di questa epoca, perché consegnano i personaggi, i gruppi sociali che abitavano in quel periodo, in modo particolare l’esistenza di gruppi di origine ebraica, degli ebrei dell’Est europeo. C’è stato un impulso di creazione di ricchezza, ma non ha segnato un processo di crescita. Le attività estrattivista non ha prodotto crescita, ma solo accumulo per pochi. Gli edifici che ci sono a Manaus dicono di una storia che sembra non avere relazione con il presente della città. Manaus sembra una città che non vuole ricordare il proprio passato, per questo non vengono messi in ordine gli edifici antichi dell’epoca florida dell’estrazione della gomma.



La crisi della gomma: nel 1876 cominciano a coltivare la gomma da un’altra parte, perché gli inglesi prendono le sementi e le piantano nelle loro colonie. La crisi della gomma, per gli storici, ha provocato una riorganizzazione dell’economia familiare, e quindi non è vista così negativa.

sabato 9 febbraio 2019

FINALMENTE A CASA

Isola della pietra furata: una delle tante isole intorno a Barra Grande

                                                                                                       

                                                                                                            Paolo Cugini

Oltre agli incontri con amici e amiche che da tempo non vedevo e che hanno rallegrato i nostri cuori, ci sono stati due incontri che in un certo modo mi hanno fatto sentire a casa, in tutti i sensi e con tutto me stesso.

Il primo è stata la messa di domenica 3 febbraio alle 19 a Barra Grande, nel Sud dello Stato della Bahia. Avevo chiesto a Leo - l’amico di Miguel Calmon, professore di Storia e inventore del giornale di critica politica Virus, che dal 2011 vive a Barra Grande dopo aver vinto un concorso statale come professore di storia – di avvisare il parroco che ero disponibile a celebrare la Messa. Come di costume, sono giunto sul posto una ventina di minuti prima per conoscere le persone del luogo. È stato bello entrare nella cappella della comunità, semplice ma in ordine, salutare le ministre della Parola, dell’Eucarestia e della decima (quante donne, Madonna mia!). Poi, entrando, mi sono venuti incontro i giovani membri del coro che hanno animato la messa. Prima della celebrazione eucaristica una signora ha letto un commentario nel quale, oltre al tema della liturgia, si spiegava ai presenti il motivo della mia presenza. Durante la celebrazione, ero uno dei collaboratori della liturgia, preparata e animata da molte persone della comunità. Alla fine della Messa, dopo l’oremus, un signore ha dato gli avvisi ricordando l’incontro di preparazione delle liturgie delle prossime domeniche. Questo signore è omosessuale e convive con il suo compagno. In questa comunità cattolica tutti lo sanno e trova spazio perché, tra le persone semplici, quello che conta non è la diversità sessuale, ma l’essere figlia e figlio di Dio.

 Su mia sollecitazione, la ministra della Parola responsabile della comunità, mi ha ricordato che la comunità si trova al mercoledì per il rosario degli uomini, al giovedì sera per l’adorazione eucaristica animata dai laici e la domenica per la celebrazione della Parola in assenza del presbitero. Quando alla domenica c’è la messa – avviene due volte al mese perché il parroco deve attendere a 22 parrocchie (Bau!!!) – la comunità celebra la Parola al venerdì sera. Piccola comunità, dunque, ma piena di vita, con molte persone che si mettono a disposizione per animarla. Comunità che sa ritrovarsi in qualsiasi circostanza, anche in assenza del parroco. Forse gli ancora troppi preti delle nostre diocesi italiane, educati a guidare le comunità accentrando tutto su di loro, non stanno favorendo la formazione di comunità con laici e laiche capaci di trasmettere la fede, di animare la comunità perché al centro della comunità, purtroppo, c’è un ministro ordinato e non Gesù Cristo. Per questo motivo servirebbero i missionari. Servirebbero…


Il secondo evento che mi ha fatto sentire a casa è stato alle paoline il giorno 8 di febbraio, prima di imbarcare per Manaus. Ero andato dalle paoline per cercare qualcosa sull’Amazzonia e mi sono imbattuto sul testo-base della Campagna della Fraternità, che guiderà la quaresima di quest’anno. È dal 1962 che la Chiesa brasiliana ha deciso di dedicare un tema sociale da meditare durante il periodo della quaresima. Viene scelto un tema e, su questo, viene preparato un inno da cantare nelle messe, e un CD con i canti da fare durante le domeniche di quaresima. Oltre a ciò, viene preparato un testo base che sviluppa il tema scelto con il metodo Vedere-Giudicare- Agire, in modo tale da mettere i leaders delle comunità in condizioni di poter accompagnare le persone negli incontri. Il materiale della CF prevede anche libretti per i circoli biblici, per le adorazioni oltre a materiale specifico per i giovani e per le scuole.

 Il tema della Campagna della Fraternità 2019 è: FRATERNITA’ E POLITICHE PUBBLICHE. È stato questo tema che mi ha fatto sentire a casa. Che stufata, infatti, negli ultimi anni, dover a che fare con persone che mi rompevano l’anima con le rubriche liturgiche, con coloro che pensano che liturgia si riduca ad una ripetizione formale di gesti, che il problema maggiore sembra essere se nell’avvicinarci al corpo di Cristo bisogna inginocchiarsi o stare in piedi, tenere le manine chiuse o aperte. È la vittoria della sterilità della fede che va da un’altra parte rispetto alla vita.

Che bello, invece, prendere per mano un testo voluto dai vescovi brasiliani che durante il tempo liturgico della quaresima chiedono ai fedeli non di mettere le manine giunte, ma di riflettere sulle politiche pubbliche messe in atto non solo nel Paese, ma nelle proprie città, nei propri quartieri. Chi sta leggendo queste parole in Italia si chiederà immediatamente: ma che cosa c’entra la liturgia con le politiche pubbliche? Tesoro della mamma, ti capisco sai; se ti hanno fatto credere per tutta la vita che la liturgia sia una cosa che riguarda il sacro e che tutto è fatto per far risaltare l’onnipotenza di un Dio che vuole distanza e sacrifici, allora non puoi che storcere il naso dinanzi ad una simile proposta, che sembra una vera e propria blasfemia. Se ci fermiamo un attimino, però, a riflettere sul mistero di Dio che si è fatto uomo e che è venuto ad abitare in mezzo a noi per stare con noi, perché è l’Emmanuele, il Dio con noi, allora capiamo che è la vita quotidiana che Gesù è venuto sia a valorizzare che a trasformare. Non ci può, allora, più essere separazione tra fede e vita, liturgia ed esistenza quotidiana, perché in Gesù la vita si compie e si dona con abbondanza (Gv 10,10). Che forza avrebbero le liturgie italiane se dalla Messa domenicale ci si prendesse l’impegno per lavorare contro le mafie, contro la corruzione politica, per impegnarsi attivamente per un mondo più giusto e più vero? Che bello sarebbero le nostre liturgie domenicali se al loro interno fosse portata la vita vera, quella che viviamo ogni giorno e che Gesù è venuto a valorizzare, più che stare attenti all’osservanza delle rubriche! Mentre scrivo non ho in mente solo le liturgie del Brasile, ma anche di alcune comunità italiane che porto nel cuore e che hanno fatto un cammino in questa direzione. Anche perché se la liturgia non esprime la vita del popolo di Dio, così come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, per “tenere i fedeli” e a non perdere i giovani, saremo obbligati ad inventarci altre cose o a sterilizzare ai massimi livelli la vita liturgica.

Leo è il primo a sinistra: sempre sorridente