Paolo Cugini
Vengono alla mente le parole di Keplero, quando nei diari descrive la sua difficoltà, che sfociava in disperazione, quando tentava di applicare i dati matematici di Tycho Brahe per descrivere la rotazione della terra in torno al sole. Non riusciva, per sua stessa ammissione, perché nella mente aveva l’idea aristotelica di perfezione, che si identificava la figura geometrica del cerchio. Fu grazie ad un’intuizione, dopo alcuni anni di duro lavoro, che pensò ad una nuova figura geometrica: l’ellisse. Da quel momento, i dati matematici cominciarono a combinare quasi alla perfezione. Del resto, ce lo diceva Thomas Khun che i paradigmi culturali non solo esigono tempi lunghi per strutturarsi, ma anche per cambiare e fare posto a nuovi modelli interpretativi. Raccogliere i dati che la scienza oggi ci fornisce rimanendo aperti a nuove possibilità e, soprattutto, non considerandoli come definitivi, è l’atteggiamento epistemologico fondamentale per non cadere nella trappola ideologica. Il mondo in espansione che la scienza ci consegna, esige la disponibilità a rimanere aperti alle novità, a non chiudersi in strutture ideologiche di pensiero come, invece, è avvenuto e continua ad avvenire. Abbandonare le comode istallazioni dogmatiche del pensiero che, con il tempo, tendono ad irrigidirsi, significa cogliere gli aspetti positivi del mondo interconnesso. C’è una prima indicazione metodologica che vale la pena considerare, ed è la capacità di lavorare assieme, a mettere in rete le competenze. È un’indicazione per la Chiesa, abituata a decidere da sola, a gestire le conoscenze come qualcosa di privato, da controllare come monopolio. Il cammino sinodale avviato da Papa Francesco, che riprende lo stile dialogico di Gesù messo in atto durante il Concilio Vaticano II, si trova sulla linea del mondo interconnesso, che esige la disponibilità al camminare insieme, a valorizzare le competenze di tutti, nella presa di coscienza che la verità, prima di essere un contenuto da possedere e difendere, è un dono che incontriamo nel cammino, soprattutto quando con umiltà ci poniamo accanto agli altri in questa ricerca.
Per questi motivi mi sembra importante il concetto di contaminazione, da utilizzare nel contesto teologico ed ecclesiologico. In primo luogo, teologico. Riconoscere che lo Spirito è presente nella storia e soffia dove vuole, significa porsi nell’atteggiamento umile dell’ascolto. Solo così è possibile cogliere il dono improvviso di una verità che viene da altrove, che non è frutto della nostra cultura e della nostra elaborazione concettuale. È questo, a mio avviso, il cambiamento paradigmatico che la teologia è chiamata a compiere: non avere fretta di elaborare dottrine chiuse, ma aspettare con pazienza quei frammenti di verità che lo Spirito ha suscitato e sta suscitando nelle culture altre. Disponibilità alla sorpresa delle manifestazioni del Mistero richiede l’attenzione al tempo presente e, in questa prospettiva, il metodo fenomenologico può aiutare nella ricerca. Si tratta, allora, di imparare a pensare la verità non come concetto metafisico, strutturato in dinamiche logiche rigide, che lo rendono impermeabile a qualsiasi contatto culturale provocando, per questo, tensioni, incomprensioni, guerre. Il nuovo contesto culturale che recupera in modo positivo i dati della scienza, ci aiuta a pensare la verità come un “campo” aperto alle novità, che un mondo in espansione produce, sempre pronti ad integrare il discorso che le contaminazioni che provengono da ogni direzione. Verità come continua novità che incontriamo nel cammino della vita, riconoscibile dai significati che si trovano nella semente del Vangelo: amore, giustizia, bene, pace.
In secondo luogo, non deve essere considerato azzardato l’utilizzo del concetto di contaminazione in ambito ecclesiologico. Io penso che, proprio a questo livello, il mutamento paradigmatico non solo è più semplice da realizzare, ma è già in atto. È nelle piccole comunità che avvengo incontri non pianificanti con elementi che provengono da mondi religiosi differenti, come canti, riti, simboli, che la gerarchia non riesce a controllare, grazie a Dio. Non servono, dunque, citare quei rari esempi di contaminazione religiosa avvenuti nei secoli, come il caso di Matteo Ricci che, proprio per questo, è stato osteggiato dalla Chiesa. In questo cammino, l’esperienza ecclesiale amazzonica può essere una sorta di laboratorio, considerata la grande ricchezza culturale e religiosa che proviene da secoli di esperienza. Non è un caso che la Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA), da alcuni anni stia studiando l’elaborazione di un rito amazzonico, come frutto anche delle riflessioni emerse nel sinodo sull’Amazzonia. È nel vissuto quotidiano che è possibile scoprire sintonie di contenuti che provengono da altri cammini e cha hanno il sapore del Vangelo. È nelle comunità che le contaminazioni avvengono in modo spontaneo: basta solo lasciarle accadere.
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