mercoledì 17 dicembre 2014

PER SEMPRE?





La relativizzazione dei valori assoluti e la perdita di significanza del fine

Paolo Cugini
E’ questo che oggi più che mai fa paura: il per sempre. Non solo fa paura, ma, ed è questo a mio avviso l’aspetto più inquietante e sul quale vale la pena fermarsi per riflettere, non è più sentito come qualcosa di necessario. Se infatti, un tempo non molto lontano l’identità personale, come ha spiegato il filosofo canadese Charles Taylor, si costituiva su delle scelte definitive e tutta la giovinezza era impostata per giungere a questi traguardi, oggi questo modello esistenziale non sembra più reggere. I diversi aspetti di quella che è chiamata la cultura postmoderna, che plasma giorno dopo giorno il tessuto del vivere quotidiano, sembra che vadano tutti nella stessa direzione, vale a dire la frammentazione dell’esistenza e un costante schiacciamento sul presente. La crisi delle ideologie moderne, la loro perdita di significato sul piano sociale va di pari passo con l’edonismo materiale prodotto dal consumismo dilagante su scala planetaria. Non si riesce più a capire, allora, a che cosa serva lo spirito e, di conseguenza, i significati profondi che da lui derivano, anche perché lo spirito e i suoi valori spingono l’uomo e la donna su quel piano che oggi sembra più che mai messo in discussione: l’eterno.
 La storia quotidiana delle giornate postmoderne si alimenta e si accontenta dell’immediato, non sente il bisogno di guardare avanti, di sacrificare quel presente del quale vuole usufruire il più possibile. Forse è questo uno degli aspetti nei quali è possibile verificare il passaggio epocale, vale a dire il modo di considerare il presente, di viverlo. Che cosa è avvenuto da modificare in modo così radicale la percezione del tempo? La caduta delle ideologie forti che avevano dominato la modernità da un lato e, dall’altro, la perdita di orizzonti ha progressivamente ripiegato gli sguardi sul tempo presente. Non è un caso se agli inizi degli anni novanta, immediatamente dopo il crollo del muro di Berlino, considerato come il simbolo del di tutta un’epoca, sono uscite varie opere che parlavano di fine della storia (tra gli altri posso segnalare i testi di J.  Fest, F. Fukuyama, G. Morra). Se non ci sono obiettivi per cui valga la pena investire la vita, se non rimane nient’altro che l’orizzonte delle nostre azioni quotidiane, allora la storia è svuotata di senso. Si avverano in questa prospettiva le parole di Nietzsche, il quale sosteneva che il senso della storia fosse la più machiavellica invenzione del cristianesimo che, riempendo di significato la storia, riusciva non solo ad ingannare gli uomini, ma anche e soprattutto a distoglierli dalla terra e dalle loro responsabilità.
Che cosa significa e quali conseguenze comporta lo schiacciamento esistenziale sul tempo presente, soprattutto in un tempo presente che non riesce a vedere all’orizzonte nessun futuro? Le nuove generazioni che sono nate in questo nuovo contesto culturale, assorbono ogni giorno gli stimoli del mondo consumista, che attrae anche nei paesi poveri. Se non ci sono più ideali, rimane la materia e quello che lei può stimolare, vale a direi sensi. L’anima riempita di materia lentamente, ma progressivamente, si svuota. Di questo processo di materializzazione culturale ne risentono tutti i livelli di una società. Prima fra tutte le relazioni interpersonali, non più basate sulla gratuità e il disinteresse, ma dalla quantità e dall'interesse. Ce lo ha ricordato in questi ultimi anni il sociologo polacco Bauman, il quale sostiene che, se è vero che i nuovi mezzi di comunicazione hanno aumentato esponenzialmente il numero di conoscenze, allo stesso tempo, però, ne hanno drasticamente minacciato la qualità. Non è vero, quindi, che la quantità non dice nulla; rivela invece un certo tipo di qualità. Nel mondo consumista, che trova sempre più spazio a causa dello svuotamento dei valori forti della cultura moderna, la quantità sostituisce giorno dopo giorno la qualità, e la pesantezza della vita si fa sentire nel vuoto che la materia crea lentamente dentro l’anima che l’accoglie. Per questo, forse, cerchiamo cose sempre più sofisticate, costruiamo cose sempre più grandi, cerchiamo la qualità della vita nella quantità della materia identificando in questo modo, qualità con quantità, l’essere con l’avere.
Come essere segno di valori eterni in un contesto in cui l’eterno non trova più spazio? Come annunciare la vita eterna, in un mondo nel quale esiste solamente la vita presente? Come essere segno di qualcosa di altro, quando il trascendente non trova posto nel quotidiano postmoderno? Soprattutto: come decidersi “per sempre” quando nel mondo postmoderno esiste solamente l’oggi? Come camminare verso scelte definitive quando non si riesce a vedere al di là del sensibile contingente?

Non possiamo più permetterci il lusso di ascoltare risposte sommarie e sbrigative, solo per toglierci di dosso il peso dell’angoscia dovuta all'insicurezza che l’attuale cultura porta con sé. E’ necessario cercare, percorrere nuove cammini, battere nuove strade per riuscire a cogliere quella novità che lo Spirito suggerisce nell'oggi della storia.  E, per questo cammino, occorre il coraggio di guardare avanti. 

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