La relativizzazione dei valori assoluti e la
perdita di significanza del fine
Paolo Cugini
E’ questo
che oggi più che mai fa paura: il per sempre. Non solo fa paura, ma, ed è
questo a mio avviso l’aspetto più inquietante e sul quale vale la pena fermarsi
per riflettere, non è più sentito come qualcosa di necessario. Se infatti, un
tempo non molto lontano l’identità personale, come ha spiegato il filosofo
canadese Charles Taylor, si costituiva su delle scelte definitive e tutta la
giovinezza era impostata per giungere a questi traguardi, oggi questo modello
esistenziale non sembra più reggere. I diversi aspetti di quella che è chiamata
la cultura postmoderna, che plasma giorno dopo giorno il tessuto del vivere
quotidiano, sembra che vadano tutti nella stessa direzione, vale a dire la
frammentazione dell’esistenza e un costante schiacciamento sul presente. La
crisi delle ideologie moderne, la loro perdita di significato sul piano sociale
va di pari passo con l’edonismo materiale prodotto dal consumismo dilagante su
scala planetaria. Non si riesce più a capire, allora, a che cosa serva lo
spirito e, di conseguenza, i significati profondi che da lui derivano, anche
perché lo spirito e i suoi valori spingono l’uomo e la donna su quel piano che
oggi sembra più che mai messo in discussione: l’eterno.
La storia quotidiana delle giornate
postmoderne si alimenta e si accontenta dell’immediato, non sente il bisogno di
guardare avanti, di sacrificare quel presente del quale vuole usufruire il più
possibile. Forse è questo uno degli aspetti nei quali è possibile verificare il
passaggio epocale, vale a dire il modo di considerare il presente, di viverlo. Che
cosa è avvenuto da modificare in modo così radicale la percezione del tempo? La
caduta delle ideologie forti che avevano dominato la modernità da un lato e,
dall’altro, la perdita di orizzonti ha progressivamente ripiegato gli sguardi
sul tempo presente. Non è un caso se agli inizi degli anni novanta,
immediatamente dopo il crollo del muro di Berlino, considerato come il simbolo
del di tutta un’epoca, sono uscite varie opere che parlavano di fine della
storia (tra gli altri posso segnalare i testi di J. Fest, F. Fukuyama, G. Morra). Se non ci sono
obiettivi per cui valga la pena investire la vita, se non rimane nient’altro
che l’orizzonte delle nostre azioni quotidiane, allora la storia è svuotata di
senso. Si avverano in questa prospettiva le parole di Nietzsche, il quale
sosteneva che il senso della storia fosse la più machiavellica invenzione del
cristianesimo che, riempendo di significato la storia, riusciva non solo ad
ingannare gli uomini, ma anche e soprattutto a distoglierli dalla terra e dalle
loro responsabilità.
Che cosa
significa e quali conseguenze comporta lo schiacciamento esistenziale sul tempo
presente, soprattutto in un tempo presente che non riesce a vedere
all’orizzonte nessun futuro? Le nuove generazioni che sono nate in questo nuovo
contesto culturale, assorbono ogni giorno gli stimoli del mondo consumista, che
attrae anche nei paesi poveri. Se non ci sono più ideali, rimane la materia e
quello che lei può stimolare, vale a direi sensi. L’anima riempita di materia
lentamente, ma progressivamente, si svuota. Di questo processo di
materializzazione culturale ne risentono tutti i livelli di una società. Prima
fra tutte le relazioni interpersonali, non più basate sulla gratuità e il
disinteresse, ma dalla quantità e dall'interesse. Ce lo ha ricordato in questi
ultimi anni il sociologo polacco Bauman, il quale sostiene che, se è vero che i
nuovi mezzi di comunicazione hanno aumentato esponenzialmente il numero di
conoscenze, allo stesso tempo, però, ne hanno drasticamente minacciato la
qualità. Non è vero, quindi, che la quantità non dice nulla; rivela invece un
certo tipo di qualità. Nel mondo consumista, che trova sempre più spazio a
causa dello svuotamento dei valori forti della cultura moderna, la quantità
sostituisce giorno dopo giorno la qualità, e la pesantezza della vita si fa
sentire nel vuoto che la materia crea lentamente dentro l’anima che l’accoglie. Per
questo, forse, cerchiamo cose sempre più sofisticate, costruiamo cose sempre
più grandi, cerchiamo la qualità della vita nella quantità della materia
identificando in questo modo, qualità con quantità, l’essere con l’avere.
Come
essere segno di valori eterni in un contesto in cui l’eterno non trova più
spazio? Come annunciare la vita eterna, in un mondo nel quale esiste solamente
la vita presente? Come essere segno di qualcosa di altro, quando il trascendente
non trova posto nel quotidiano postmoderno? Soprattutto: come decidersi “per
sempre” quando nel mondo postmoderno esiste solamente l’oggi? Come camminare
verso scelte definitive quando non si riesce a vedere al di là del sensibile
contingente?
Non
possiamo più permetterci il lusso di ascoltare risposte sommarie e sbrigative,
solo per toglierci di dosso il peso dell’angoscia dovuta all'insicurezza che
l’attuale cultura porta con sé. E’ necessario cercare, percorrere nuove
cammini, battere nuove strade per riuscire a cogliere quella novità che lo
Spirito suggerisce nell'oggi della storia.
E, per questo cammino, occorre il coraggio di guardare avanti.
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