lunedì 23 novembre 2020

Persona nella riflessione filosofica: dai padri della Chiesa al personalismo di Emmanuel Mounier



Paolo Cugini

 

Nel percorso intrapreso per comprendere il significato filosofico della dignità umana, uno posto di riguardo va dato al termine persona. L’origine etimologico di questo concetto non trova d’accordo gli studiosi, in ogni modo sembra fuori discussione che faccia riferimento all’utilizzo della maschera nel teatro greco, che serviva a dare all'attore le sembianze del personaggio che interpretava. Nel mondo latino con Seneca soprattutto, il termine persona si allargherà assumendo il carattere di ruolo, mentre Cicerone lo utilizzerà per indicare la carica ed il ruolo sociale che un individuo riveste. Questo aspetto di persona come articolazione di un’identità, viene ad essere assunto nel mondo cristiano per rispondere a due grandi problematiche di tipo teologico: la Trinità e la natura umano-divina di Cristo. Il problema della Trinità è stato oggetto di molti concili e dibattiti teologici con la costante preoccupazione di non accentuare troppo la distinzione tra le persone ma, d’altra parte, di conoscere le caratteristiche proprie di ciascuna delle tre. Il concetto di persona, da Agostino in poi, nel dibattito trinitario, aiuta a comprendere meglio l’unità nella diversità e la relazione tra le persone che rimangono unite pur mantenendo ognuna una propria identità. Lo stesso discorso vale sul tema delle due nature di Gesù in un’unica persona. Del resto, come dall’uno si possa dare il molteplice e come spiegare la diversità dei fenomeni in corrispondenza del principio unico della realtà, è un tema centrale del pensiero filosofico occidentale, che segna tutti i grandi sistemi filosofici dell’antichità dal platonismo al neoplatonismo di Plotino, passando anche per i grandi sistemi dell’epoca ellenistica. L’identità di Gesù Cristo viene definita come una persona e due nature, in cui la natura divina viene manifestata nelle scelte, nei gesti e nelle parole di Gesù. Sarà Massimo il Confessore nel VII secolo d. C. ad affermare che: “Cristo opera umanamente ciò che è divino e divinamente ciò che è umano”.

Un contributo significativo nel cammino filosofico alla ricerca di ciò che rende specifico l’uomo rispetto agli altri esseri viventi è quello di Tommaso d’Acquino, il quale cerca di dar significato al termine persona in relazione all’uomo. Mentre uomo starebbe ad indicare la specie, con una dimensione più di tipo universale, il termine persona viene ad indicare l’individuo concreto. Per Tommaso il termine persona chiarisce il dato essenziale e caratteristico di questi enti particolari (gli uomini) e cioè quello di intrattenere un diverso rapporto con se stessi. Persona è quell’ente che ha una diversa capacità da tutti gli altri enti naturali di relazionarsi con se stesso: l’uomo ha una capacità riflessiva, ha una coscienza di sé e sa quel che fa. L’uomo è essere pensante con la libertà di rapportarsi consapevolmente con gli altri e, in una certa misura, creativamente, nei confronti della propria natura. L’uomo crea cultura, arte, civiltà e questa è una caratteristica specifica rispetto agli altri enti. Il termine persona sta ad indicare l’individuo, ma quell’individuo la cui capacità di apertura agli altri e il cui rapporto di relazione a sé lo rende un unicum nel mondo e tra tutti gli elementi della natura.

Nel cammino della filosofia contemporanea si deve ad Emmanuel Mounier fondatore della rivista Esprit e della corrente filosofica denominata Personalismo, il recupero nel dibattito culturale del termine persona, mediato anche dalla riflessione di Tommaso d’Acquino, grazie anche all’influenza esercitata su Mounier dal filosofo tomista suo contemporaneo Jacques Maritain. Secondo Mounier, la persona è segno di differenza all’interno dell’uomo (come concetto). Essa è quella parte del soggetto che lo distingue da tutti gli altri enti contingenti. La persona, essendo soggettività ed oggettività, sfugge alla completa percezione. Per questo carattere indefinibile ed impercepibile nella totalità, Mounier afferma che "la persona non è un oggetto". In contrapposizione con le correnti filosofiche che esaltano un aspetto dell'universo personale a scapito dell'altro, Mounier afferma, in sintonia con la prospettiva tomista che: "l'uomo è un corpo allo stesso titolo che è spirito, tutto intero corpo e tutto intero spirito". La caratteristica della persona consiste nella sua capacità non solo di essere in relazione con il mondo circostante – natura e società -, ma anche di tornare in se stessa, di riflettere. “la vita personale – scrive Mounier- comincia con la capacità di rompere i contatti con l’ambiente, di riprendersi, di ripossedersi per riportarsi ad un centro e raggiungere la propria unità”. Nel percorso riflessivo la persona ha la possibilità di scoprire la dimensione trascendete, la possibilità di comprendere di fare parte di un progetto maggiore di quello pensato. Per questo motivo Mounier afferma che: “il nostro spirito, sebbene finito ed in grado di conoscere e di concepire solo in modo finito, già da sempre mira all’illimitatezza dell’essere in generale, significa che l’orizzonte dell’essere gli è per principio aperto”.

 

I MOTORI DEL CAMBIAMENTO SOCIALE (annotazioni)

 



 

Paolo Cugini

 

Demografia

Sta cambiando a livello mondiale con conseguenze molto importanti.

Se guardiamo la situazione nel 1950 in Asia 55% della popolazione, in Europa 21% della popolazione mondiale (dato importante perché nel 2010 l’Europa ha il 10% della popolazione mondiale e questo perché sono cresciute Africa e Asia).

La crescita asiatica ha comportano anche mutamenti politici e sociali.

 

Nel 2100 Europa 6,7% la situazione a livello politico non può più essere detto che c’è una priorità che può esistere a livello europeo, l’Africa al 35% popolazione globale, Asia un po’ in diminuzione ma rimane la maggioranza della popolazione globale. Quando non ci sono misure adeguate in questi continenti, automaticamente ci saranno degli spostamenti da questi continenti. Oggi la politica nazionale va più nel senso della autosufficienza e nella auto-protezione, con volontà di diventate autosufficienti, soprattutto i paesi europei.

 

Età della popolazione tra i 15 – 24 anni in Africa 43 milioni, adesso 2010 205 milioni, alla fine nel 2100 saranno mezzo miliardo, e sono giovani e si muovono alla ricerca di soluzioni, hanno iniziative economiche e altro e quindi ci sarà sia sviluppo dell’Africa sia emigrazione.

In Asia la crescita è meno importante ma anche l’asia andrà verso i 500 milioni di giovani.

L’Europa invece è un disastro: 94.000 nel 1950, nel 2100 76.000, una riduzione al di sotto del livello odierno (adesso siano circa a 93.000).

 

Nei paesi con povertà alta ci sono più bambini in famiglia, nelle nazioni economicamente più avanzate i bambini sono meno: In Italia siamo a un bambino per ogni donna fertile, cresce il numero degli anziani ma non ci sono i giovani per rispondere alla totalità della popolazione. Nel 2100 ci saranno 150.000 al lavoro e gli altri studenti o disoccupati.

America caraibica: l’economia adesso non sta in progresso ma in regresso, ci si aspetta una riduzione di natalità, nel 2100 ci saranno meno giovani.

 


USA e Canada avevano 25 milioni nel 1950 e diventeranno 63 milioni.

Nel 2050 saremo circa 9 miliardi in tutto il mondo.

Per l’Europa vediamo un problema che sta crescendo, a livello mondiale nel 1950 60 milioni, in futuro saranno molti di più e ci sarà mobilità oppure un conflitto che in realtà è già cominciato.

Guardiamo le diverse regioni tra il 2000 e il 2050 soprattutto USA e Canada vanno verso una diminuzione della popolazione senza immigrazione, se c’è migrazione normale e continuativa ci sarà una differenza di 77 milioni di persone. Il cambio di popolazione in Africa e in Europa, l’Europa avrà un calo di natalità che sarà compensato con la migrazione.

 

La gente di Arabia Saudita non lavorano tanto, lavorano i migranti in condizioni cattive, non possono nemmeno guardare il datore di lavoro, devono lavorare ad orari impossibili senza alcuna protezione eppure sono l’84% del mercato del lavoro. In Australia il 30% sono migranti.

 

Il problema delle percentuali è che non si sa esattamente quanto tempo un migrante rimane nelle statistiche della migrazione, come sono registrati, ma ci sono stati che dopo 5 o 10 anni di residenza non li considera più come migranti, così come talvolta non contano i migranti che non lavorano.

 

UK crescita negli ultimi 14 anni, che è normale perché c’è il common whealth e quindi c’è una mobilità molto alta, es. indiani che non sono necessariamente guardati come migranti. In genere nei paesi dell’UE c’è il 10% della popolazione attiva sono migranti da lungo termine. C’è una crescita.

 

Altro aspetto importante, quello della popolazione rurale e della popolazione che vive in città. Popolazione che inizia a vivere nelle città e persone che vivono nelle zone rurali. L’aumento delle persone nelle città rispetto alle zone rurali è il risultato di questo motore.

 

Es. Manila ha più o meno 16 milioni di persone, in parte già migrate dall’interno delle Filippine, non trovano lavoro a Manila e quindi si spostano all’estero.

 

La prima tappa della migrazione è interna dalla campagna alla città, poi la seconda tappa è all’estero.

In Europa nel 2030 aspettiamo una crescita inferiore rispetto ad altri paesi.

 


Studenti

Ci sono più stranieri che studiano in Italia rispetto agli italiani che studiano all’estero.

In Cina ci sono 38 – 48 milioni di studenti e cresce di circa 2 milioni di studenti in più (devono costruire ogni settimana una nuova università per rispondere alla richiesta di studenti), per questo ci sarà una mobilità di studenti verso l’Europa. Le università devono prepararsi a questo perché ci saranno meno italiani e più stranieri. Gli studenti italiani vogliono studiale all’estero perché non trovano lavoro in Italia, gli immigrati invece vogliono rimanere in Italia e questo modificherà il mercato del lavoro. Le università devono cercare di essere più attrattive per gli italiani e in gradi di integrare gli studenti migranti.

 

Rimesse

Sono il terzo motore, molto importante per il cambiamento. Una rimessa è un trasferimento di denaro come un pagamento o un dono. Questa è una definizione ma non è facile da capire.

 

Quanto vediamo nel 2018: 600 miliardi di dollari USA, i paesi che ricevono le rimesse sono Messico, Argentina e Filippine.

 

Le rimesse verso i paesi in via di sviluppo, nel 2010 340 milioni e 2019 579 milioni, quindi, stanno crescendo. Ora c’è una diminuzione, perché il 13% in meno è dovuto al fatto che dal 2019 molte persone sono dovute rientrare al paese d’origine, poi ci sono le persone che hanno perso il lavoro e non vogliono tornare a casa e non possono mandare soldi perché vivono in povertà.

 

I paesi che ricevono soldi: India, Cina, Filippine e Francia. Francia riceve molti soldi dalle rimesse è ciò è dovuto per l’economia. Messico, Egitto Pakistan, anche l’Italia ha ricevuto rimesse nel 2014 circa 9 milioni e mezzo ma in questi paesi Italia, Francia e Germania va in diminuzione per questa idea di autosufficienza e di non delocalizzare le aziende. In India 78 milioni, in Cina 67 milioni, nelle Filippine anche, in Messico 35 milioni. In tutti i paesi in sviluppo sono aumentate le rimesse.

Incidenza delle rimesse sul PIL, in Tagikistan avevano il 37% del PIL era dato dalle rimesse, il che significa che se cessano le rimesse, crolla l’economia e quindi si forma un conflitto interno che diventa un conflitto esterno e ciò vale anche per altri paesi caratterizzati da questo fenomeno. Ci sono paesi che dipendono dalle rimesse, se le rimesse cessano aumenta la povertà, le rimesse sono uno strumento di sviluppo.

 


I soldi arrivano dai paesi sviluppati USA, Arabia Saudita, Svizzera ecc. c’è un ammontare impressionante di soldi in movimento attraverso la gente.

Questione dei costi: quando una persona invia alla sua famiglia dei soldi deve pagare delle commesse e ciò che si è tentato di fare è di ridurre detti costi per non gravare sulle persone che le ricevono, adesso i costi sono circa il 7 – 8%, in Africa è ancora il 9%, sono percentuali importati per le banche che le stesse non vogliono perdere.

Ci sono state diverse politiche proposte di tassare di più tutti i trasferimenti di soldi a livelli internazionale per poi investirli nello sviluppo ma è una cosa che non è mai passata. Ci sono proposte anche per introdurre le tasse sulle rimesse, è una idea sbagliata perché si traduce in una seconda tassazione sul denaro, i migranti hanno già pagato le tasse sul denaro che ricevono dal loro lavoro. Le tasse vanno ad aumentare anche i soldi delle rimesse con impatto negativo per le famiglie che le ricevono.

 

Canale informale, sono i canali più pericolosi, perché non c’è certezza che i soldi arrivino a destinazione.

 

Gli USA hanno fatto una legge che vietava di inviare soldi in Iran, gli iraniani, quindi, li hanno inviati attraverso l’Europa, sono movimenti finanziari che variano a seconda delle leggi sulla tassazione e che li regolano.

 

Ci sono tante domande sulla diaspora, i migranti fanno anche dei risparmi e i risparmi stanno crescendo, le banche hanno i dati, c’è un risparmio annuale dei migranti. A volte offrono questi risparmi ai paesi di origine e in modo disordinato e non organizzato. Questione molto difficile quella di migliorare gli investimenti dei risparmi. I migranti poi usano i risparmi per comprarsi casa, ad esempio in Italia molti marocchini hanno comprato casa. Le rimesse sono un legame concreto tra immigrazione e sviluppo, ma non possiamo dimenticare che le rimesse sono soldi privati e sono soggette alla decisione dei privati non sono soldi che possono essere utilizzati dai governi anche se vorrebbero. L’utilizzo delle rimesse che vengono da fuori dell’Africa, come sono utilizzate in Africa nei vari paesi, studio del 2016.

 

Burkina: soldi sono stati utilizzati per cibo (23% ma non si sa di che tipo di cibo si tratta), salute, acquisto casa o terreni e per fare affari.

Kenya: affitto (perché le case sono più care), meno soldi per il cibo.

Nigeria: educazione riceve il 22% delle rimesse, vuol dire che i nigeriani vogliono che i loro figli abbiano l’opportunità di una educazione più alta, 24% passano a comprare un terreno, 21% affari, c’è attività commerciale, iniziare una attività è una sicurezza così come l’acquisto del terreno e la cultura dei figli.

Senegal: 52% cibo, 1,3% per affari anche se Senegal è abbastanza conosciuto per la sua economia ma la povertà e tanta, può essere perché molti poveri emigrano per far rientrare i soldi.

Uganda: situazione più equilibrata.

Le rimesse è vero che riducono la povertà, ma c’è anche una crescita di dipendenza da questa entrata sia per i privati, sia per gli stati. Se la rimessa cessa ci sono conseguenze. Le rimesse aumentano gli investimenti a lungo termine (acquisto casa e terreno) ma anche la consumazione immediata.

Le rimesse aumentano i servizi, specialmente a livello di salute ed educazione, ma ci sono oggi tante società europee e americane che si sono imposte in Africa per vendere cose che possono essere pagate solo con le rimesse, quindi, le rimesse cono anche un disturbo della realtà sociale. Ad esempio crea conflitto sociale perché alcune famiglie hanno le rimesse e altre no. Questo è un problema che deve essere affrontato anche se le rimesse cono comunque risorse private.

giovedì 19 novembre 2020

APPUNTI SULLA TEORIA ECONOMICA DI JOHN MAYNARD KEYNES



 

 

Paolo Cugini

Negli anni della golden age, anche grazie alla teoria economica dominante (la teoria keynesiana), le differenze tra zone ricche e zone povere del mondo, sia a livello internazionale sia a livello nazionale, tendono a ridursi per poi riprendere nel periodo successivo (nel periodo successivo viene abbandonata la teoria keynesiana e si torna alla teoria neoclassica).

Il ragionamento keynesiano. Keynes è preoccupato che ci sia equilibrio tra domanda e offerta nel mercato, le variabili sono i macro-aggregati, la domanda è domanda aggregata (consumi delle famiglie e investimenti delle imprese), l’offerta è offerta aggregata ossia la produzione nazionale. Mercato delle merci e mercato della moneta e relativo equilibrio. Produzione di piena occupazione, produzione che si avrebbe se tutte le persone che si offrono al mercato del lavoro lavorassero. L’obiettivo keynesiano è quello di stabilire come fare per aumentare la produzione e quindi, l’occupazione. Keynes afferma che non c’è alcuna ragione per cui il punto della produzione sia corrispondente a quello della piena occupazione, è possibile che tutto il sistema economico sia in equilibrio (domanda = offerta), ma che non ci sia piena occupazione (si parla di equilibrio di sotto – occupazione).

Se il sistema si trova in una situazione di equilibrio di sottoccupazione, Keynes si pone il problema di cosa sia necessario fare. Le componenti private del sistema economico non riescono a produrre una domanda aggregata sufficiente per far aumentare la produzione. La domanda aggregata è insufficiente ma è in equilibrio, famiglie e imprese non hanno interesse a modificare consumi e investimenti e, quindi, è necessario l’intervento di un soggetto terzo, lo stato attraverso la politica fiscale o la politica monetaria.



Cos’è la politica fiscale?

La politica fiscale è la determinazione del livello di spesa pubblica (G) e del livello di tassazione (T). Queste sono le variabili della politica fiscale e l’autorità della politica fiscale è lo Stato o il governo che gestisce il paese (nella teoria keynesiana è elemento fondamentale del sistema economico). La politica fiscale può agire attraverso la spesa pubblica o la tassazione. Lo stato è liberto di determinare il livello di spesa pubblica o di tasse. L’aumento della spesa pubblica determina un aumento del PIL, perché la spesa pubblica è un aumento della domanda che agisce sul mercato. La spesa pubblica è una componente della domanda aggregata. Oppure la politica fiscale può essere fatta attraverso la riduzione delle tasse, in questo caso la variazione deve essere negativa (ci deve essere una riduzione delle tasse) perché la riduzione delle tasse determina un aumento dei consumi delle famiglie (secondo la teoria keynesiana). Keynes ipotizza che i consumi delle famiglie siano proporzionali al reddito che le famiglie ricevono, se aumenta il reddito (perché diminuiscono le tasse) aumentano i consumi con conseguente aumento del PIL.

 

Questa è quella che viene definita una politica fiscale espansiva, che significa che avviene una variazione delle variabili della politica fiscale, che sono o la spesa pubblica o la tassazione che attiva dei meccanismi che determinato un aumento del PIL. Una politica fiscale che avvenga tramite una riduzione della spesa pubblica, quindi una variazione negativa della spesa pubblica, farà ridurre la domanda aggregata con una riduzione del PIL. Parimenti un aumento delle tasse determina una riduzione dei consumi delle famiglie, diminuiscono i consumi delle stesse e, quindi, contraggono la domanda aggregata. Queste sono politiche restrittive o di austerità. Secondo Keynes, l’austerità determina un aumento della disoccupazione, questa teoria è stata seguita fino alla fine degli anni ’90, poi sono comparsi economisti neoclassici che hanno applicato una teoria restrittiva per aumentare l’occupazione (austerità espansiva): è la teoria che è stata applicata negli ultimi anni con le politiche di austerità. L’austerità espansiva è considerata da alcuni economisti (tra cui la docente) una “favola”. Nella teoria keynesiana esiste un principio fondamentale che è principio cardine della teoria e ha rappresentato uno stravolgimento della teoria tradizionale: il principio della domanda effettiva. È un principio che vige solo nel mercato delle merci il cui equilibrio si verifica quando l’offerta aggregata è uguale alla domanda aggregata.

 


Cosa succede quando non c’è equilibrio?

Es. se offerta è inferiore alla domanda succede che le imprese hanno prodotto meno di quello che viene richiesto e quindi sono spinte ad aumentare la produzione, che continuerà fino a quando l’offerta non sarà uguale alla domanda. Al contrario, se l’offerta è superiore alla domanda, si verificherà una situazione di eccesso di merci, le imprese si trovano merci invendute, hanno prodotto troppo e quindi tenderanno a ridurre la loro produzione. L’andamento del sistema economico è determinato solo dalla domanda aggregata. Y (la produzione) è la variabile dipendente e la domanda aggregata è la variabile indipendente. Il che significa che, in casi di disequilibrio, è l’offerta che si adegua alla domanda aggregata, quindi, si produce di più o di meno a seconda della domanda. La teoria keynesiana è stata spesso chiamata l’economia dal lato della domanda: l’andamento del sistema economico è determinato dal lato della domanda.

 

Questa è una descrizione semplificata della teoria di Keynes, considerando che la domanda aggregata sia determinata solo da famiglie e imprese e poi l’intervento dello stato. Però, in un modello che considera tutte le variabili e le componenti della domanda aggregata, è molto più complesso perché ci sono le esportazioni nette (ossia le esportazioni – le importazioni), perché anche le esportazioni fanno parte della domanda, sono domanda di beni italiani da parte di altri paesi, mentre le importazioni sono la domanda dell’Italia di beni di altri paesi. Anche considerando le esportazioni nette, il principio della teoria keynesiana non cambia. Se la proposta keynesiana è nel momento in cui ci si trova in un punto di equilibrio di sottoccupazione, bisogna fare delle politiche fiscali espansive. Dette politiche, determinano un disavanzo del bilancio pubblico, perché le due variabili della politica fiscale (la spesa pubblica e le tasse) sono le componenti del bilancio dello stato. Il bilancio dello stato è dato da un confronto tra le entrate e le uscite, nel bilancio statale le entrate sono le tasse e le uscite è la spesa pubblica. Con le politiche fiscali espansive si tende ad avere che le entrate sono inferiori rispetto alle uscite e, quindi, tendono a creare disavanzi di bilancio pubblico. Questa è la critica fatta dai neoclassici alle politiche keynesiane in quei tempi. I neoclassici, soprattutto quelli dell’epoca keynesiana, si basavano sulla ortodossia del bilancio in pareggio, ossia ritenevano che lo stato potesse spendere solo quanto introitato con le tasse al fine di mantenere il pareggio di bilancio (deficit spending).

 

Keynes sapeva benissimo che i suggerimenti di politica economica creavano disavanzi, tanto che sosteneva proprio che, in stato di crisi, lo stato dovesse fare spesa pubblica e fare disavanzo (ciò anche in quanto si riteneva che in quel periodo vi era un accordo tra stato e banca centrale e quest’ultima stampava denaro per coprire i disavanzi), oppure riteneva che i disavanzi fossero temporanei, in quanto funzionali solo per far ripartire l’economia in stato di sotto occupazione. Una volta che l’economia fosse ripartita si assumono nuovi lavoratori, che a loro volta inizieranno a consumare e, quindi, l’aumento della spesa pubblica aumenta i consumi, i quali faranno aumentare la produzione delle imprese che assumeranno nuovi lavoratori e così via ecc. Quando l’economia riparte, lo stato smette di intervenire e lascia funzionale le componenti private del mercato e può aumentare nuovamente le tasse per coprire il deficit.

 


Ora, nella zona area euro, ci sono i vincoli di Maastricht e, quindi, vincolano la possibilità degli stati di fare politiche fiscali espansive. Per precisione, quando l’economia si trova in equilibrio di sotto occupazione, servono le politiche fiscali espansive che sono due o aumento della spesa pubblica o aumento delle tasse, ma andando avanti nella trattazione keynesiana, quello che Keynes dice è che lo stato, quando deve scegliere lo strumento più efficacie per far partire l’economia, dimostra che il più efficace è l’aumento della spesa pubblica (rispetto all’aumento delle tasse), ciò perché la spesa pubblica è una componente immediata della domanda aggregata e influisce direttamente sull’aumento del PIL, mentre l’aumento delle tasse non è immediato perché deve passare per l’aumento dei consumi. Inoltre, c’è il concetto del moltiplicatore keynesiano che dice: che quando c’è aumento della spesa pubblica di un certo valore es. di 100 l’aumento finale che si avrà sul PIL è di più di 100, l’effetto finale viene moltiplicato. Viceversa, lo stesso succede con le tasse ma in un modo minore, es. riduzione delle tasse di 100, alla fine l’aumento del PIL è di più di 100 ma questo aumento causato dall’aumento della spesa pubblica è molto maggiore dell’aumento del PIL causato dalla riduzione delle tasse. Quindi, se si vuole fare aumentare di molto il PIL, è meglio farlo con aumento della spesa pubblica rispetto alla riduzione delle tasse. C’è un moltiplicatore keynesiano per le tasse e un moltiplicatore per l’aumento della spesa pubblica. Va poi considerato che in un momento di crisi anche se si riducono le tasse non ne deriva un boom di consumi, in quanto i soggetti tendono a risparmiare i soldi per la consapevolezza di vivere in un momento di crisi. Quindi il risparmio delle tasse non sarà tradotto integralmente in consumi.

 

martedì 17 novembre 2020

LA TEORIA ECONOMICA NEOCLASSICA

 



(annotations)

 

Paolo Cugini

 

La teoria neoclassica nasce intorno alla seconda metà dell’800, ha una metodologia di analisi economica molto diversa dalla teoria keynesiana. È ossessionata dalla ricerca dell’equilibrio.

 

Due teorie:

-  Equilibrio generale (Walras): si pone l’obiettivo di individuare la situazione di equilibrio di tutti i mercati contemporaneamente ma non riesce a risolvere il problema matematicamente.

-  Equilibrio parziale (Marshall): l’equilibrio economico generale non si può calcolare, meglio concentrarsi su un mercato solo.

 

In genere oggi quando gli economisti neoclassici (ortodossi) tendono a fare analisi sono analisi di equilibrio economico parziale. Le basi teoriche della teoria neoclassica soprattutto quella sviluppata originariamente nella seconda metà del ‘700 sono importanti perché fanno capire le differenze rispetto alla teoria keynesiana.

 

La teoria neoclassica viene spesso chiamata anche teoria della scelta da definizione di Robbins che dice che cosa secondo lui l’economia dovrebbe studiare. Gli economisti classici (prima dei neoclassici) parlavano di politica economica perché ritenevano che il sistema economico si studiasse attraverso le classi sociali e fosse condizionato dalla politica. È la teoria che si sviluppa con la rivoluzione industriale. Col passaggio dalla political economy alla economics (economia) si abbandonano le classi sociali e si tende ad avvicinare l’economia alla scienza esatta, ossia alla fisica che ha la caratteristica di essere spiegata con leggi universali. Questo, infatti, è l’obiettivo dei neoclassici. Precisazione terminologica: in italiano usiamo il termine economia sia per indicare la scienza economica sia per indicare la realtà.

In inglese: economics (indica la scienza economica) economy (l’economia reale).

Cambiamento terminologico e metodologico.

 


Teoria della scelta: la scienza economica studia il comportamento umano come una relazione tra risorse limitate che hanno usi alternativi e bisogni illimitati = la scienza economica ha come obiettivo di studiare il comportamento umano tra risorse limitate con usi alternativi e bisogni illimitati. L’economia dovrebbe studiare il comportamento umano (si cancella il concetto di classi sociali o anche l’approccio keynesiano dei macro aggregati). In relazione al fatto che gli esseri umani hanno bisogni illimitati e risorse limitate con usi alternativi.

Es. il consumatore sceglie le merci da consumare in base al suo reddito che è una risorsa limitata. Quindi la teoria economica ortodossa si pone il problema di trovare il criterio che questa scelta sia una scelta soddisfacente, ossia sia la migliore scelta possibile in assoluto. Questo è l’obiettivo della scienza economica secondo i neoclassici.

 

Si cancella anche tutta la struttura sociale, secondo questo approccio chiamato individualismo metodologico, si parte dall’analisi del comportamento del singolo individuo e si cerca di analizzare il criterio migliore possibile, se tutti seguono questa scelta, si raggiungerà il sistema migliore. Si parte dal singolo individuo e trovata la legge che spiega il comportamento migliore del singolo si ipotizza che tutti gli individui si possano comportare così e si ricava una legge per l’intero sistema.

 

Il presupposto è che gli individui siano omogenei, siano uguali e siano tutti liberi di adottare le proprie scelte; quindi senza rapporti di interdipendenza e subordinazione tra un individuo e l’altro e senza conflitti tra i singoli individui. Non solo: l’individualismo metodologico cancella anche tutti i condizionamenti del comportamento sociale, quindi, parlando delle migrazioni, non si tiene conto che gli spostamenti dei migranti avvengano in base a condizioni imposte ma solo sulla base dell’assunto che in alcuni paesi i salari sono più alti rispetto ad altri. Cancellando le classi sociali e gli aggregati delle altre teorie, si cancellano i conflitti come ad es. il conflitto basato sull’assunto che gli interessi delle diverse classi sociali siano tra loro contrapposti per cui il sistema economico è un sistema disarmonico e conflittuale (es. contrapposizione tra capitalisti e lavoratori hanno interessi contrapporti). C’era anche chi si era concentrato sulla contrapposizione tra capitalisti e proprietari terrieri (Ricardo), perché i proprietari che affittavano le terre ai capitalisti aveva interessi contrapposti (i proprietari terrieri avevano l’interesse a che gli affitti dei terreni fossero alti, gli imprenditori che affittavano i terreni per metterci le proprie imprese avevano l’interesse opposto, ossia che i canoni fossero bassi). Per i neoclassici non esistono classi sociali, ci sono solo singoli individui, sono tutti uguali e tutti liberi di compiere qualsiasi scelta economica. L’individualismo del mercato pone una uguaglianza tra individui ex ante, ossia prima della scelta economica: tutti gli individui sono uguali ai nastri di partenza e la distinzione avverrà dopo il compimento della scelta economica, dopo questo momento gli individui si distinguono.




Teoria dell’astinenza (elaborata da Walras) che contraddistingue gli imprenditori (K) dai consumatori / lavoratoli (CL): tutti gli individui sono uguali, sono remunerati e coloro che utilizzano il reddito e lo consumano tutto diventeranno i consumatori (CL) e svolgeranno la funzione di consumo, coloro che invece non consumano tutto il reddito e lo utilizzano per intraprendere una attività produttiva, sono gli imprenditori (K). L’astinenza dall’utilizzare una parte del reddito introitato consente di diventare imprenditori, gli altri rimangono consumatori. Gli individui scelgono secondo degli assiomi di comportamento e questi assiomi di comportamento sono assunti presi per veri senza essere dimostrati.

 

Primo assioma:

Razionalità illimitata: nel momento della scelta tra le risorse limitate con usi alternativi per soddisfare i bisogni, il cervello umano deve essere in grado di processare tutte le informazioni, deve avere tutte le informazioni per la scelta, di processarle e di fare la scelta migliore.

Es. il consumatore deve decidere come spendere il proprio reddito, la teoria neoclassica dice che nel momento in cui il singolo consumatore effettua questa scelta in base alla razionalità illimitata, ossia conosce tutti i beni a disposizione sul mercato, è in grado di fare una graduatoria tra tutti i beni e quando compie la scelta del bene sceglie il bene che gli dà la soddisfazione massima. Per fare tutto questo si ipotizza la razionalità illimitata: una capacità del cervello del consumatore elevata. Questo assunto è stato criticato già da economisti neoclassici, Herbert Simon che incrociando la scienza economica con studi psicanalitici e neurologici mette in dubbio il concetto di razionalità illimitata sostenendo che il cervello del singolo essere umano funziona con la razionalità limitata, ossia è in grado di processare sono un numero limitato di informazioni.

 

Secondo assioma:

il comportamento ottimizzante: ottimizzare vuol dire raggiungere il massimo di una certa funzione. Il concetto di ottimizzante è come dire che: se il consumatore con la razionalità illimitata (conoscendo tutti i beni e i relativi prezzi) fa la lista dei beni secondo il grado della sua soddisfazione e, quindi, è anche in grado di applicare ai beni il grado di soddisfazione. Il comportamento ottimizzante vuol dire che una volta processate tutte queste informazioni, il consumatore sceglie i beni al vertice della classifica ossia i beni che danno al consumatore la massima soddisfazione. La razionalità illimitata precede il comportamento ottimizzante, solo se sono in grado di processare le informazioni sono in grado di acquistare i beni che danno la massima soddisfazione.

 

Comportamento soddisfacente: siccome l’individuo non ha la razionalità illimitata farà la scelta più soddisfacente che non è necessariamente la migliore (ossia non sarà la scelta ottimizzante).

Herbert Simon, prese il Nobel per l’economia.

 

sabato 14 novembre 2020

L’uomo e la sua dignità: dalla riflessione aristotelica a quella contemporanea

 




Paolo Cugini

La riflessione sulla dignità dell’uomo ha spinto la ricerca nella direzione di cogliere lo specifico nei confronti degli altri esserei viventi. Mentre la filosofia platonica, che ancora oggi è il punto di riferimento della cultura occidntale, presentava l’uomo in un’accezione negativa, vale a dire come copia imperfetta dell’idea perfetta di uomo, aprendo il varco in questo modo al dualismo antropologico tra corpo e anima, come realtà antitetiche a detrimento del corpo, Aristotele cambia di prospettiva. Se in Platone il cittadino e l'uomo sono ancora un tutt'uno, per il suo discepolo la distinzione si accentua sino al punto di affermare che: "l'uomo è per natura un animale politico" e che non sono politici né gli animali né gli dei: solo l'uomo lo è. La dimensione politica come caratteristica tipica dell’uomo ne pone in evidenza l’aspetto sociale, vale a dire la tendenza di formare e vivere in comunità. È importante sottolineare che per Aristotele le dimensioni politica e comunitaria non qualificano l’uomo e non costituiscono nemmeno uno specifico, perché non dicono dell’essenza. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti, sono implicati materialmente dall’essenza della specie. Ciò che, invece, identifica l’uomo nell’essenza e ne definisce la diversità rispetto agli altri esseri viventi è il logos. Nella Politica (libro A) dopo aver ribadito che l'uomo è animale politico, distingue la voce, che è data anche agli altri animali, dal logos, che costituisce il proprio dell'uomo, che è l'unico ad avere coscienza del bene e del male. La definizione sembra ottenere completa compatibilità, e se leggiamo anche il libro E dell'Etica Nicomachea, vediamo come l'anima sia dotata di ragione: tuttavia per Aristotele anima è comunemente intesa come sinonimo di sinolo umano, dunque forse lògon èchon va anche qui inteso come l'uomo stesso, in quanto dotato della componente razionale dell'anima.

Queste definizioni ritenute “comode” nel discorso filosofico contemporaneo fanno fatica ad incontrare una breccia. Nel secolo scorso nella corrente filosofica denominata esistenzialismo, la ricerca sull’uomo non avviene più tanto analizzando la sua essenza, ma nel modo in cui l’uomo vive ed esercita la sua libertà. Famosa è l’affermazione di Jean Paul Sartre: “L’esistenza precede l’essenza” che rivela un modo di concepire l’uomo al di fuori non solo dell’orizzonte teologico, che aveva segnato il dibattitto antropologico occidentale, ma anche metafisico. L’uomo, nella prospettiva sartriana, non è altro che ciò che si fa, sorge nel mondo e si definisce dopo, è il frutto delle sue scelte e delle sue azioni e la sua originalità va cercata solamente a questo livello e non come conseguenza di un’azione creatrice o di un essere metafisico.

Il rifiuto dell’impostazione metafisica per rispondere alla domanda antropologica accompagna anche la riflessione del filosofo tedesco Helmuth Plessner, anche se lo sviluppo è differente rispetto a Sartre. Secondo Plessner, infatti, occorre rivedere l’impostazione epistemologica della domanda “chi è l’uomo?” e concepire una strumentazione concettuale adeguata a nuove esigenze. Lo sviluppo delle scienze della natura e l’affermazione di prospettive dell’indagine delle discipline sociali e storiche particolarmente attente alla realtà concreta, “rendono assai difficile il recupero di modalità filosofiche del passato, come quella metafisica” Per Plessner, per comprendere l’uomo occorre conoscere la sua struttura organica. Per comprendere la natura umana è decisivo il fenomeno della posizione eretta. Collochiamo l’uomo nell’ambiente, nella storia e nell’organico in cui viene individuata la posizione eretta, che permette uno sguardo diverso sulla realtà nonché l’uso libero della mano, del pollice, che ha un carattere oppositivo e prensile. Un’autentica riflessione antropologica non può che partire dalla vita e non da posizioni metafisiche, perché può esistere solo chi abbia vita. Ciò che preme a Plessner è ribadire una filosofia della vita, ovvero “una filosofia della natura doveva porsi a monte di una filosofia dell’uomo, perché la vita coinvolge l’uomo senza essere a lui riservata”.

Una posizione diversa come impostazione, ma che rappresenta un significativo contributo al dibattito antropologico contemporaneo è quella di Hannah Arendt. Muovendosi da una posizione di tipo fenomenologico. In Vita Activa la Arendt analizza l’uomo nel suo agire specifico che si manifesta nella politica l’uomo si relaziona, agisce e conduce la sua azione in un contesto sociale e in qualche modo la affida all’altro. Essere un vivente che nasce e muore, ha una temporalità, che ha un’apertura nel tempo ed una storicità. Queste sono, a detta dell’Arendt, le condizioni che devono accompagnare ogni esistenza umana. Ciò permette alla Arendt di riformulare, a partire da questa riflessione sulla condizione umana, la domanda metafisica “Che cosa è l’uomo?” in “Chi è l’uomo?”, sottraendo in questo modo alla prima domanda il rischio di oggettivare l’uomo. L’uomo non va mai oggettivato, l’uomo è un “chi”, non è una “cosa”. L’identità dell’uomo, dunque, dev’essere conquistata, perché il “chi è” di ogni individuo si manifesta attraverso l’azione: l’identità dell’io scaturisce dal suo agire. Secondo la Arendt agendo l’uomo manifesta la sua “unicità nella distinzione”. La radice dell’uomo si deve dunque incontrare nella sua storicità, nel suo sapersi relazionare, con il mondo, con la realtà, con la vita.

 

venerdì 13 novembre 2020

NELLA STESSA BARCA - CICLO D'INCONTRI


 

Il Cantiere Casa Comune della famiglia Comboniana invita a partecipare ad un percorso di WEBINARS sulla realtà delle migrazioni. Con testimoni diretti e anche con amici e professionisti in materia s’intende AIUTARE A CONOSCERE PER COMPRENDERE questi fratelli e sorelle che lottano per la vita e per i loro diritti e un futuro dignitoso.

Il percorso inizia VENERDI 20 NOVEMBRE alle 20.30 in zoom. A breve verrà segnalato il link. Intanto chi può faccia girare l’avviso dell’evento. Grazie


lunedì 9 novembre 2020

LA CHIESA COME OSPEDALE DA CAMPO

 




 Se si vuole amare il Signore, allora bi­sogna mettersi dentro a questo «ospedale da campo» che è la chiesa. La chiesa è tale non perché emana l’odore dell’incenso, ma perché – ad esempio – ha l’odore di feci dell’anziano da lavare; l’odore dell’incen­so viene soltanto dopo. Se prima si pulisce l’anziano che ha bisogno, allora può esserci anche l’odore dell’incenso; invece, se non è così, l’incenso puzza! Perché dove non c’è più lo Spirito del Signore, l’incenso puzza di ipocrisia” (Card. Matteo Zuppi, Bologna).