venerdì 17 giugno 2022
sabato 11 giugno 2022
Referendum giustizia: perché non andare a votare
È
razionale, oltre che morale, NON ANDARE A VOTARE per questi ignobili
referendum. Diverso, invece, il discorso per le elezioni amministrative.
Soprattutto a Fabriano e Parma.
di
Paolo Flores d'Arcais
Il
12 giugno si vota per i referendum “contro” la giustizia e per alcune
amministrazioni locali. I referendum sono il tentativo di rivincita finale e
totale di Tangentopoli su Mani Pulite (e sull’antimafia). Abbiamo pubblicato
testi autorevolissimi che spiegano in dettaglio questo spirito revanscista del
partito delle impunità contro il partito della legalità. La rivincita di
Tangentopoli contro Mani Pulite in realtà è cominciata quasi trent’anni fa, con
la famosa “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, che senza tale mossa
(vincente, ahimè: per stupidità delle sinistre e della famosa “macchina da
guerra” di Occhetto, quando si poteva e doveva candidare come premier una
figura come Rodotà, contro cui l’accusa di comunismo sarebbe stata una lancia
spuntata) avrebbe passato il resto della sua vita in galera. Un profluvio di
leggi ad personam, di modifiche radicali della procedura penale, e altri
marchingegni giuridici, ha permesso a Berlusconi e a legioni di corrotti di
farla quasi sempre franca (massime per via di prescrizione, un istituto che nei
termini italiani non ha equivalenti nei sistemi giuridici occidentali).
I
referendum del 12 giugno vogliono mettere il suggello trionfale a questo quasi
trentennio di rivincita del partito della corruzione e dell’intreccio
politico-affaristico (con frequenti addentellati e risvolti mafiosi) contro
l’impegno di tanti (ma sempre troppo pochi) magistrati-magistrati, e una parte
dell’opinione pubblica e delle sue mobilitazioni nelle piazze e sul web.
Il
modo migliore per far fallire questo disegno di trionfo dell’Italia peggiore
consiste nel NON ANDARE A VOTARE. La legge che regola il referendum stabilisce
infatti che i quesiti proposti non vengono approvati sia se non si reca alle
urne almeno il 50% degli elettori più uno, sia se, raggiunto tale quorum, i no
prevalgono sui sì. i fautori del partito delle impunità, o quanti saranno stati
manipolati dai loro strumenti di imbonimento mediatico, andranno tutti a votare
sì. Ma è praticamente impossibile che raggiungano la metà più uno degli aventi
diritto al voto. Il quorum si raggiungerà solo se anche molti cittadini
contrari al contenuto dei referendum andassero alle urne, pur votando no (o
anche – attenzione! – annullando il voto).
Attualmente
i sondaggi dicono che al massimo un terzo degli aventi diritto si recherà ai
seggi. Se i sostenitori del no non andranno a votare, compattamente, al voto
andrà meno di un quarto dei cittadini, e il partito delle impunità non avrà il
trionfo che cerca. Ecco perché è razionale, oltre che morale, NON ANDARE A
VOTARE per questi ignobili referendum.
LA DIVERSITA' DEI CAMMINI E IL SENSO DELLA RALTA'
Paolo Cugini
La
relazione tra verità ed ermeneutica è un tema importante perché mette in
questione l’idea di verità, perlomeno così come da sempre l’ha intesa la
metafisica, la matematica e la scienza in generale. L’ermeneutica insinua che
la verità sia poliedrica e che, di conseguenza, necessiti di molteplici punti di
osservazione e, quindi, di plurime dichiarazioni e narrazioni. Non si può dire
la verità in un solo modo, con un’unica narrazione. L’evento che si manifesta
sul piano della storia esige di essere interpretato, osservato da molteplici punti
di vista per raccogliere un insieme di dati che rendano verosimile il racconto.
L’ermeneutica obbliga la verità ad
uscire dal cammino assiomatico per introdurla nel campo della storia.
L’ermeneutica dichiara la verità come dato mobile e non immobile, come un
fenomeno e non come un’idea. In questa prospettiva ha ragione Paul Ricoeur
quando afferma che: “il problema della verità non è più il problema del metodo,
ma della manifestazione dell’essere, per un essere di cui l’esistenza consiste
nella comprensione dell’essere”[1].
La
svolta ermeneutica e l’entrata del suo metodo nell’analisi dei dati, orienta il
modo d’intendere le cose, le parole, le idee sulla realtà. D’ora innanzi non
possiamo più camminare Tranquilli con la presunta verità in tasca, ma vivere
nella consapevolezza di una continua ricerca, della necessità di narrare
continuamente gli eventi senza la pretesa di essere esaustivi. L’ermeneutica
segna il punto d’inizio dell’addio alla verità, al modo di pensare assiomatico,
alla sicurezza che produce il pensiero dogmatico, il cui unico sforzo consiste
nell’elaborazione di formule e contenuti ritenuti onnicomprensivi e, così,
tutti possono dormire sonni tranquilli.
L’ermeneutica pone fine a questo modello di
pensiero che si reputa soddisfatto quando riesce ad elaborare una narrazione
che ha la presunzione di dire tutto di un fenomeno con una serie di
ragionamenti deduttivi applicati alla realtà in esame. La verità intesa come definizione
oggettiva stabile per sempre è utile al potere che la esprime, ma è un pessimo
servizio al cammino della conoscenza. La stessa idea di verità è sbagliata perché
indica una possibilità che, in realtà, non è realizzabile sul piano della storia.
Ci sono dei cammini che possono essere intrapresi e che possono aiutare a
comprendere il fenomeno che, come tale, come evento storico, rimane sempre
aperto a possibili ulteriori comprensioni. La consapevolezza che la diversità
delle narrazioni non è antitetica alla verità ma ne rivela il cammino da
intraprendere, è di grande aiuto nel cammino di avvicinamento alla comprensione
della realtà.
[1] P.
RICOEUR, Le conflit des interprétations. Essai d’herméneutique, Paris,
Ed du Seuil 2013, p. 31.
venerdì 10 giugno 2022
La ‘ramanzina’ del Papa ai preti siciliani per la ‘moda’ liturgica: “Basta merletti
Da: Il Fatto quotidiano, 10.6.2022
“A
volte portare qualche merletto della nonna va bene, ma a volte. È per fare un
omaggio alla nonna, no?”. Papa Francesco non ha usato giri di parole
per bollare come anacronistici e contrari alla riforma liturgica del
Concilio Ecumenico Vaticano II i camici con i merletti e le “bonete”,
ovvero le berrette. Bergoglio ne ha parlato con i vescovi e i preti
siciliani arrivati a Roma in pellegrinaggio: “Non vorrei finire senza parlare
di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma
che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una
grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda.
Anche educarla. Su questo leggete il numero 48 della Evangelii
nuntiandi che ha piena attualità, quello che san Paolo VI ci diceva
sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la
sostanza che ha dentro”.
“Ma
la liturgia, – ha domandato il Papa – come va? E lì io non so, perché non vado
a messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se
predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium (il documento
programmatico del pontificato di Francesco in cui spiega ampiamente come
fare l’omelia, ndr) o se predicano in modo tale che la gente esce a fare
una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e
di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente
vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta
per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a messa lì, ma ho visto
delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma
dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche
nell’arte liturgica, nella ‘moda’ liturgica! Sì, a volte portare qualche
merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no?
Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è
meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa
vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma
liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti”.
Parole
in linea con quanto deciso recentemente dall’arcivescovo di Catania, monsignor
Luigi Renna, che ha bandito pianete, camici con merletti e imposto al suo
clero di non indossare la talare fuori dalle chiese. Precedentemente,
nell’omelia di una messa celebrata nella cappella della sua residenza, Casa
Santa Marta, Francesco aveva raccontato un aneddoto molto eloquente: “Su
rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano
monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato
di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti
ecclesiastici, ndr) a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo
specchio un ragazzo, lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o che
stava per diventare prete, davanti allo specchio, con un mantello, grande,
largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso
il ‘saturno’ (cappello per ecclesiastici, ndr), l’ha messo e si
guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote, è saggio quel monsignore,
molto saggio, è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo
e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle
donne!’. Così – aveva concluso Bergoglio – che il mestiere che fa il sacerdote
quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.
Al
clero siciliano, il Papa ha ricordato “che il prete è uomo del dono, del dono
di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari
sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può
servire pure per fare carriera, ma una missione. E per favore, state
attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine
delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto”. E ha aggiunto: “Un’altra
cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle
cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la
parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme
all’ambizione. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio. Anche dopo
una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: ‘Hai visto cosa ha detto
quello, quell’altro, quell’altro…’. Il chiacchiericcio è una peste che
distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge
la personalità”. Concludendo: “Scusatemi se predico queste cose che sembrano
da prima comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticatele”.
Twitter: @FrancescoGrana