sabato 11 giugno 2022

Referendum giustizia: perché non andare a votare

 



 

È razionale, oltre che morale, NON ANDARE A VOTARE per questi ignobili referendum. Diverso, invece, il discorso per le elezioni amministrative. Soprattutto a Fabriano e Parma.

di Paolo Flores d'Arcais

Il 12 giugno si vota per i referendum “contro” la giustizia e per alcune amministrazioni locali. I referendum sono il tentativo di rivincita finale e totale di Tangentopoli su Mani Pulite (e sull’antimafia). Abbiamo pubblicato testi autorevolissimi che spiegano in dettaglio questo spirito revanscista del partito delle impunità contro il partito della legalità. La rivincita di Tangentopoli contro Mani Pulite in realtà è cominciata quasi trent’anni fa, con la famosa “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, che senza tale mossa (vincente, ahimè: per stupidità delle sinistre e della famosa “macchina da guerra” di Occhetto, quando si poteva e doveva candidare come premier una figura come Rodotà, contro cui l’accusa di comunismo sarebbe stata una lancia spuntata) avrebbe passato il resto della sua vita in galera. Un profluvio di leggi ad personam, di modifiche radicali della procedura penale, e altri marchingegni giuridici, ha permesso a Berlusconi e a legioni di corrotti di farla quasi sempre franca (massime per via di prescrizione, un istituto che nei termini italiani non ha equivalenti nei sistemi giuridici occidentali).

I referendum del 12 giugno vogliono mettere il suggello trionfale a questo quasi trentennio di rivincita del partito della corruzione e dell’intreccio politico-affaristico (con frequenti addentellati e risvolti mafiosi) contro l’impegno di tanti (ma sempre troppo pochi) magistrati-magistrati, e una parte dell’opinione pubblica e delle sue mobilitazioni nelle piazze e sul web.

Il modo migliore per far fallire questo disegno di trionfo dell’Italia peggiore consiste nel NON ANDARE A VOTARE. La legge che regola il referendum stabilisce infatti che i quesiti proposti non vengono approvati sia se non si reca alle urne almeno il 50% degli elettori più uno, sia se, raggiunto tale quorum, i no prevalgono sui sì. i fautori del partito delle impunità, o quanti saranno stati manipolati dai loro strumenti di imbonimento mediatico, andranno tutti a votare sì. Ma è praticamente impossibile che raggiungano la metà più uno degli aventi diritto al voto. Il quorum si raggiungerà solo se anche molti cittadini contrari al contenuto dei referendum andassero alle urne, pur votando no (o anche – attenzione! – annullando il voto).

Attualmente i sondaggi dicono che al massimo un terzo degli aventi diritto si recherà ai seggi. Se i sostenitori del no non andranno a votare, compattamente, al voto andrà meno di un quarto dei cittadini, e il partito delle impunità non avrà il trionfo che cerca. Ecco perché è razionale, oltre che morale, NON ANDARE A VOTARE per questi ignobili referendum.

LA DIVERSITA' DEI CAMMINI E IL SENSO DELLA RALTA'

 




Paolo Cugini

La relazione tra verità ed ermeneutica è un tema importante perché mette in questione l’idea di verità, perlomeno così come da sempre l’ha intesa la metafisica, la matematica e la scienza in generale. L’ermeneutica insinua che la verità sia poliedrica e che, di conseguenza, necessiti di molteplici punti di osservazione e, quindi, di plurime dichiarazioni e narrazioni. Non si può dire la verità in un solo modo, con un’unica narrazione. L’evento che si manifesta sul piano della storia esige di essere interpretato, osservato da molteplici punti di vista per raccogliere un insieme di dati che rendano verosimile il racconto.  L’ermeneutica obbliga la verità ad uscire dal cammino assiomatico per introdurla nel campo della storia. L’ermeneutica dichiara la verità come dato mobile e non immobile, come un fenomeno e non come un’idea. In questa prospettiva ha ragione Paul Ricoeur quando afferma che: “il problema della verità non è più il problema del metodo, ma della manifestazione dell’essere, per un essere di cui l’esistenza consiste nella comprensione dell’essere”[1].

La svolta ermeneutica e l’entrata del suo metodo nell’analisi dei dati, orienta il modo d’intendere le cose, le parole, le idee sulla realtà. D’ora innanzi non possiamo più camminare Tranquilli con la presunta verità in tasca, ma vivere nella consapevolezza di una continua ricerca, della necessità di narrare continuamente gli eventi senza la pretesa di essere esaustivi. L’ermeneutica segna il punto d’inizio dell’addio alla verità, al modo di pensare assiomatico, alla sicurezza che produce il pensiero dogmatico, il cui unico sforzo consiste nell’elaborazione di formule e contenuti ritenuti onnicomprensivi e, così, tutti possono dormire sonni tranquilli.

 L’ermeneutica pone fine a questo modello di pensiero che si reputa soddisfatto quando riesce ad elaborare una narrazione che ha la presunzione di dire tutto di un fenomeno con una serie di ragionamenti deduttivi applicati alla realtà in esame. La verità intesa come definizione oggettiva stabile per sempre è utile al potere che la esprime, ma è un pessimo servizio al cammino della conoscenza. La stessa idea di verità è sbagliata perché indica una possibilità che, in realtà, non è realizzabile sul piano della storia. Ci sono dei cammini che possono essere intrapresi e che possono aiutare a comprendere il fenomeno che, come tale, come evento storico, rimane sempre aperto a possibili ulteriori comprensioni. La consapevolezza che la diversità delle narrazioni non è antitetica alla verità ma ne rivela il cammino da intraprendere, è di grande aiuto nel cammino di avvicinamento alla comprensione della realtà.



[1] P. RICOEUR, Le conflit des interprétations. Essai d’herméneutique, Paris, Ed du Seuil 2013, p. 31. 

venerdì 10 giugno 2022

La ‘ramanzina’ del Papa ai preti siciliani per la ‘moda’ liturgica: “Basta merletti

 




Da: Il Fatto quotidiano, 10.6.2022

 

“A volte portare qualche merletto della nonna va bene, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no?”. Papa Francesco non ha usato giri di parole per bollare come anacronistici e contrari alla riforma liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II i camici con i merletti e le “bonete”, ovvero le berrette. Bergoglio ne ha parlato con i vescovi e i preti siciliani arrivati a Roma in pellegrinaggio: “Non vorrei finire senza parlare di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda. Anche educarla. Su questo leggete il numero 48 della Evangelii nuntiandi che ha piena attualità, quello che san Paolo VI ci diceva sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la sostanza che ha dentro”.

“Ma la liturgia, – ha domandato il Papa – come va? E lì io non so, perché non vado a messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium (il documento programmatico del pontificato di Francesco in cui spiega ampiamente come fare l’omelia, ndr) o se predicano in modo tale che la gente esce a fare una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella ‘moda’ liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti”.

Parole in linea con quanto deciso recentemente dall’arcivescovo di Catania, monsignor Luigi Renna, che ha bandito pianete, camici con merletti e imposto al suo clero di non indossare la talare fuori dalle chiese. Precedentemente, nell’omelia di una messa celebrata nella cappella della sua residenza, Casa Santa Marta, Francesco aveva raccontato un aneddoto molto eloquente: “Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti ecclesiastici, ndr) a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo, lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o che stava per diventare prete, davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’ (cappello per ecclesiastici, ndr), l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote, è saggio quel monsignore, molto saggio, è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così – aveva concluso Bergoglio – che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Al clero siciliano, il Papa ha ricordato “che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione. E per favore, state attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto”. E ha aggiunto: “Un’altra cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme all’ambizione. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio. Anche dopo una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: ‘Hai visto cosa ha detto quello, quell’altro, quell’altro…’. Il chiacchiericcio è una peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità”. Concludendo: “Scusatemi se predico queste cose che sembrano da prima comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticatele”.

Twitter: @FrancescoGrana

Fonte: La 'ramanzina' del Papa ai preti siciliani per la 'moda' liturgica: "Basta merletti. E le omelie siano brevi, altrimenti la gente esce a fumare" - Il Fatto Quotidiano