martedì 25 maggio 2021

25 ANNI DI PRETE, NONOSTANTE TUTTO

 




In occasione del 25°  di ministero presbiterale don Paolo Cugini incontra amiche e amici in questi due incontri

 martedì 1 giugno ore 21 in chiesa a Castelnovo Sotto

mercoledì 2 Giugno alle ore 21 presso la sala dell’oratorio di Fogliano

venerdì 4 giugno ore 19,30 Vespri, aperitivo (condividiamo ciò cheportate da casa) e a seguire dibattito presso il salone della parrocchia di san Bartolomeo

Martedì 8 giugno ore 19,30 Vespri, aperitivo (condividiamo ciò che portate da casa) e a seguire dibattito presso i locali della parrocchia di Dodici Morelli

 riflettendo sul tema: Dall’esilio il sogno di un mondo migliore. La verità che si manifesta negli eventi. Nella circostanza verranno presentati gli ultimi due libri:

1.    Visioni Postcristiane, Dehoniane, Bologna 2019

2.    Chiesa Popolo di Dio, Dehoniane, Bologna 2020

sabato 22 maggio 2021

A REGGIO EMILIA VEGLIA DI PREGHIERA PER IL SUPERAMENTO DELL'OMOFOBIA, TRANSFOBIA E OGNI FORMA D'INTOLLERANZA

 



Questa volta la veglia sarà in presenza nella chiesa parrocchiale dell'Unità pastorale di Bagnolo in Piano, appena fuori Reggio Emilia. Vi aspettiamo per pregare riflettere insieme venerdì 28 maggio alle ore 21. Guiderà la riflessione la biblista Maria Soave Buscemi


lunedì 17 maggio 2021

IN ASCOLTO DEI SENTIMENTI

 


Paolo Cugini

 

    Il mondo consumista nel quale viviamo accentua sempre di più il predominio della materia sullo spirito. Uno dei grandi insegnamenti che incontriamo in tutte le epoche antiche e nelle grandi culture e religioni è l’insegnamento affinché lo spirito domini la materia, la dimensione spirituale abbia la meglio sulla dimensione istintuale. La crisi delle grandi religioni in occidente ha lasciato spazio al dominio della mentalità consumista e, di conseguenza, del prevalere della materia sullo spirito. Una vita dominata dalla materia corre il rischio di non riuscire più a gestire la vita istintuale che, proprio dalla materia, trova il proprio alimento e sostegno.

Eppure ci sono state le scuole di pensiero che tanto hanno inciso nella formazione della cultura occidentale, che tanto hanno fatto affinché lo spirito dominasse la materia, l’anima la vita corporale.  Tra i più grandi maestri di questa scuola ci sono Socrate e Platone, che hanno fatto della cura dell’anima lo scopo principale della vita dell’uomo e della donna. Curare l’anima significa dedicare tempo a se stessi, per imparare a non lasciarsi travolgere dagli eventi, ma a dominarli. Quando curiamo l’anima in modo autentico, sentiamo dentro di noi un movimento spontaneo che ci porta verso l’altro, l’altra, un desiderio di comunione con il mondo.

La vita spirituale è come un grido che esce dall’anima quando è soffocata dalla materia, perché non accetta di essere identificata, assopita dalle cose. La qualità non può essere soppiantata dalla quantità, la dolcezza dalla durezza, il silenzio dal chiasso, la leggerezza dalla pesantezza. Ci vuole il coraggio di ascoltare i segnali che la realtà circostante ci offre per avvertirci dei sovvertimenti che sono in atto. Anche perché non si può fare finta per sempre. Si può pensare di vivere facendo finta che tutto va bene, che davvero le cose possono sostituire il senso profondo dell’essere, ma non dura. Arriva, prima o poi il giorno in cui il male dell’anima è così grande che il vuoto non può essere più nascosto, il grido di dolore del non senso non può rimanere inascoltato.

Sono i sentimenti i soli che ci potranno salvare dalla valanga della materia che incoscientemente assimiliamo, perché sono loro che ci avvertono in modo delicato e costante, del malessere che ci sa avvolgendo e che va ascoltato e non ignorato. E’ dai sentimenti che ci arriva lo stimolo che mette in moto la ragione affinché prenda i provvedimenti necessari per non morire soffocati dal nulla.

 

venerdì 14 maggio 2021

IL MESSAGGIO DI MISERICORDIA DI GESU'

 


 

Paolo Cugini

 

Presentare il tema del peccato e della penitenza volendo considerare le fonti, vale a dire quello che ha detto Gesù sull’argomento, non è facile. Tra le parole di Gesù e i giorni nostri ci sono in mezzo secoli di riletture, interpretazioni, di prassi che si sono allontanate e non poco dal messaggio originario.

Il nostro rapporto con il sacramento della penitenza dice da che percorso spirituale veniamo.

·        Da una parte, c’è l’attenzione a Gesù, al suo stile di vita e il desiderio di seguirlo per farsi immergere nel suo amore, che conduce a creare relazioni nuove, disinteressate e gratuite.

·        Dall’altra, l’ossessione del peccato, del diavolo, dell’inferno, i sensi di colpa, le ossessioni, le manie, tutto un materiale che conduce a chiudersi in sé, a pesare il cammino di fede come uno sforzo personale, che richiede sacrifici, per guadagnarsi il paradiso.  È la logica meritocratica, che di evangelico non ha assolutamente nulla, perché la fede e la vita sono doni di Dio.

Non è facile cogliere il messaggio di Gesù sul tema del peccato, perché all’interno dello stesso nuovo testamento ci sono state delle riletture che hanno complicato la cosa.

1.     Gesù sacerdote. È l’interpretazione della lettera agli ebrei, che diventa problematica in quanto riporta dentro lo stile di Gesù quel sacerdozio che lui stesso ha combattuto. Non solo, ma leggere la vita di Gesù sotto la lente del sacerdozio significa portare argomenti ad un altro tipo di lettura che si trova nel N.T. Leggendo i vangeli si comprende bene che Gesù ha criticato aspramente il sacerdozio e la logica sacrificale da loro attuata, per abbracciare lo stile profetico, di denuncia del falso culto.

2.     La croce come sacrificio. È la rilettura sacrificale della croce di Cristo che conducono a interpretare la morte di Cristo sulla croce nello schema dei sacrifici del tempio. In questa prospettiva, per placare l’ira di Dio a causa dei peccati degli uomini che lo offendono (come si fa a pensare ad un Dio che si offende?) il Padre avrebbe (sacrificato) immolato il suo unico Figlio. È una visione IMBARAZZANTE.

3.     La teologia del peccato originale. Tentando di rispondere al problema del male e cercando di togliere la responsabilità a Dio, viene elaborata una dottrina che carica tutta la colpa sull’uomo. L’uomo nasce nel peccato, cioè già peccatore a causa del primo peccato (originale) commesso da Adamo ed Eva, peccato che viene trasmesso al momento della nascita (come, in che modo?). Questa teologia sposta tutta l’attenzione sul peccato dell’uomo, condannandolo ad una continua lotta interiore di auto-perfezionamento, fatta di sacrifici, di sforzi personali, di scrupoli per un’anima non pura in modo perfetto, che richiede una continua ricerca del sacramento della penitenza.

Il primo passo importante mi sembra quello di riportare il messaggio di Gesù. Che cos’ha detto, che cos’ha fatto? Soprattutto, qual è il senso della sua presenza nella terra?

Punto di partenza possono essere il programma espresso nel Vangelo di Luca e nel Vangelo di Matteo.

Lc 4, 16-20.

 “Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.


Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,16-20).

Dal testo di Isaia 61 Gesù non legge un passo: “giorno di vendetta del nostro Dio”, per sottolineare che il senso della sua presenza è quello di manifestare il volto del Padre, che è solo amore, che è misericordia.

Forse, però, occorre fare un passo indietro e andare a quell’unico episodio dell’infanzia in cui Gesù parla. È a Gerusalemme con i suoi genitori e poi, all’improvviso, Maria e Giuseppe non lo trovano più. Lo trovano a parlare con i dottori della legge. Gesù bambino nel tempio ad interrogare i dottori della legge. Forse si chiedeva che cosa ce ne facciamo di un Dio così, che punisce severamente chi trasgredisce la legge (e poi chi davvero aveva fatto quelle leggi?); si chiedeva anche del senso di tutta quella violenza esacerbata nei sacrifici di animali per espiare i peccati. Che cosa c’entra Dio con tutto questo? E poi, che cosa c’entra D con il principio dello sterminio, vale a dire l’ordine si sterminare tutti, uomini, donne, bambini, animali per prendere la terra destinata al popolo d’Israele (Gs 1s).  Probabilmente si ricordava di quei passi dei profeti in cui lo stesso JHWH ripeteva che non voleva sacrifici, ma misericordia. E poi ancora. Che Dio è quello che crea una società di persone disuguali, in cui da una parte ci sono i sacerdoti che possono accedere al divino, e dall’altra il popolo; da una parte gli uomini a cui tutto è concesso e dall’altra le donne, considerate meno degli animali. Probabilmente Gesù, già nell’adolescenza aveva capito che in tutto questo c’era qualcosa che non funzionava, nel senso che non poteva venire da dio, o meglio che veniva attribuito a Dio ciò che erano dei meri interessi umani.

Gesù una volta adulto viene a dire che non tutto quello che troviamo nella Bibbia è parola di Dio, perché, in realtà ci sono molte parole di uomini, molte parole e leggi che Dio non ha mai dette e che gli hanno messo in bocca (Mc 7, 1-13). Gesù denuncia i farisei perché durante molti secoli hanno fatto passare come parola di Dio, volontà di Dio delle tradizioni umane, fatte da chi deteneva il potere, vale a dire la classe sacerdotale. Se questo è vero, bisogna imparare a discernere ciò che davvero viene da Dio e ciò che invece non è altro che volontà umana, volontà degli uomini al potere che lo vogliono mantenere e lasciare sottomessi gli altri.

Che tipo di azione ha compiuto Gesù nella storia del suo tempo e continua ad esercitare anche nel nostro? Gesù è venuto a liberare gli uomini e le donne dal pesante giogo delle leggi religiose imposte dagli uomini del tempio. Famose sono, a questo proposito, le polemiche di Gesù con i farisei che non accettano che lui faccia miracoli e curi le persone nel giorno di sabato. In queste polemiche Gesù mostra molto bene il pericolo mortale delle tradizioni umani che ingabbiano la parola di Dio e le impediscono di agire nella storia, sostituendosi ad essa. E così in vece di amore, passa l’odio, invece della tolleranza, l’intolleranza, invece della dolcezza, passa la durezza implacabile. Gesù è venuto a portare amore in un mondo imbruttito dalla religione degli uomini.

Per questo, prima di dire che Gesù è morto per i nostri peccati, che esprime il pensiero della teologia del tempio, che interpreta l’azione e il pensiero di Gesù alla luce di quelle categorie sacrificali dell’antico testamento che Gesù aveva aspramente criticato, ha più senso dire che Gesù è morto per amore. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1s). Gesù muore come conseguenza dell’amore per i suoi discepoli e per le sue discepole, perché in una società che considerava la donna al pari degli animali, non c’era spazio per chi voleva l’uguaglianza. In un mondo religioso dominato dalla classe sacerdotale che si riteneva privilegiato nell’accesso al sacro, non c’era spazio per colui che aveva portato Dio in mezzo agli uomini e alle donne, in una società che separava rigidamente il puro dall’impuro, non c’era spazio per colui che considerava tutto puro.

La croce è la conseguenza del tentativo di Gesù di amare l’umanità per risollevarla alla piena dignità.  Croce come conseguenza naturale dell’amore di Gesù per gli uomini e le donne.  La teologia della croce non c’è nel Vangelo, ma è un’interpretazione successiva.  Gesù non ci ha salvati con la sua croce, ma con il suo amore. Quindi la croce non ha nulla di redentivo. Gesù non è morto per i nostri peccati, ma è morto perché ci ha amato sino alla fine, come dice Gv 13,1s.

 

Come ha vissuto la prima comunità il messaggio di Gesù sul tema del peccato? Ci sono tre elementi da tenere in considerazione:

1.     La forte tensione escatologica dei primi decenni. C’era un’attesa significativa del ritorno di Gesù al punto che, lo stesso san paolo, era convinto che il ritorno di Gesù era così imminente da essere convinto che sarebbe stato ancora in vita cfr. 1 Ts 4.

 

2.     Il battesimo avveniva solamente in età adulta e, di conseguenza, l’attenzione del cammino dei neofiti era rivolta sul cambiamento di vita, sul divenire creature nuove e non tanto sul peccato o sui peccati singoli. Ciò spiega la prassi dei primi secoli di una confessione sola nella vita.

 

 

3.     La teologia del peccato originale è una produzione del V secolo d.C.

 

Il modello del nostro rapporto con il Signore e con la nostra umanità emerge nel testo di Lc 5:

Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono
” (Lc 5,1-11).

 

martedì 11 maggio 2021

Il ddl Zan e l’alfabeto del gender: perché bisogna conoscerlo



[Repubblica-10 MAGGIO 2021]

 

Il disegno di legge fornisce strumenti minimi per identificare condizioni umane che possono essere oggetto di aggressioni, disprezzo e odio immotivati e inaccettabili. Ma è dalla loro comprensione che derivano le libertà più profonde.

 

 VITTORIO LINGIARDI, CHIARA SARACENO

Il dibattito attorno al ddl Zan ha introdotto nel discorso pubblico concetti non d'uso comune nel linguaggio quotidiano; non perché siano frutto di forzature ideologiche, ma perché si riferiscono a realtà complesse e multi-determinate. Anche Michele Serra, nella sua Amaca di venerdì, ha lamentato una "eccessiva specializzazione" nel distinguere tra manifestazioni di odio e violenza rivolte contro il "genere", l'"identità di genere", l'"orientamento sessuale".

Proviamo allora a spiegare tali concetti nel modo più semplice possibile, ricordando che il ddl Zan né li usa per fissarli giuridicamente né ha la pretesa di entrare in dibattiti filosofici. Fornisce semplicemente strumenti minimi per identificare condizioni umane che l'esperienza insegna possono essere oggetto di aggressioni, disprezzo e odio immotivati e inaccettabili.

In questa prospettiva, per sesso si intende l'insieme di elementi anatomici e biologici che caratterizzano alla nascita una femmina o un maschio (ma che in qualche caso sono invece incerti, perciò si parla di persona intersessuale, nata con caratteri sessuali non univocamente definibili di maschio o femmina: dunque anche il sesso di nascita può non essere "semplice"). Per identità di genere si intende, invece, il senso soggettivo di appartenenza alle categorie di femminile, maschile o altro (dove "altro" rimanda a una dimensione non obbligatoriamente dicotomica maschile/femminile, per esempio ciò che oggi viene definito genere non-binario).

L'identità di genere è spesso allineata al proprio sesso biologico (cisgender), ma può anche non corrispondervi (transgender). Le condizioni cosiddette di "incongruenza" o "disforia" di genere (i termini scientifici oggi in uso), non sono capricci di chi, per gioco o bizzarria, si sente (non "sceglie" di essere) in disaccordo con il sesso assegnato alla nascita. Si tratta di vite e percorsi del corpo e della mente, non di abiti che si mettono e tolgono. Le dimensioni transgender, connotate da una spinta biopsicologica, implicano esperienze psicofisiche impegnative, intense, anche dolorose, per esempio a causa dell'incomprensione e del rifiuto delle famiglie. In ambito scientifico e culturale la distinzione tra sesso e genere è acquisita da anni.

È noto che il termine genere investe il versante sociologico e culturale, cioè l'insieme di significati che il contesto attribuisce alle categorie di maschile e femminile. Dal sito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: "genere si riferisce alle caratteristiche di donne, uomini, ragazze e ragazzi che sono socialmente costruite. In quanto costruzione sociale, il genere varia da società a società e cambia nel tempo".

Altra cosa è l'orientamento sessuale, che come tutti sappiamo si riferisce alla direzione del desiderio e risponde alla domanda "chi mi piace" (mentre l'identità di genere risponde alla domanda "chi sono", "a qualche genere mi sento appartenente"). Nonostante queste distinzioni siano assimilate da tempo in campo scientifico, pur nella varietà delle interpretazioni e sfumature, ancora si commette l'errore di sovrapporre e confondere i concetti di sesso, genere, identità di genere e orientamento sessuale. Anche per questo motivo, tutte le associazioni scientifiche e professionali (in tutti i campi: psicologia, medicina, sociologia) dispongono di glossari e linee guida per spiegare differenze e interazioni tra questi termini.

Le discriminazioni e le macro- e micro-aggressioni che le persone riunite (per comodità semplificatoria) sotto l'acronimo Lgbtqi+ subiscono nella vita di ogni giorno, non sempre derivano dall'ostilità. A volte sono prodotte dalla poca conoscenza o persino dalla preoccupazione di dover ragionare su cose troppo complicate, cioè non binarie. Non dobbiamo avere paura della complessità, è dalla sua comprensione che derivano le libertà più profonde.

 

FONTE https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2021/05/10/news/il_ddl_zan_e_l_alfabeto_del_gender_perche_bisogna_conoscerlo-300302517/?ref=RHTP-BC-I279994148-P9-S2-T1

 


giovedì 6 maggio 2021

UN MODO DIVERSO DI VEDERE DIO: LA TEOLOGIA DELLE DONNE

 




CUGINI, PAOLO (a cura di), Uno sguardo diverso su Dio: la teologia delle donne, Edizioni san Lorenzo, Reggio Emilia 2021.

Autrici e autori del libro: Maria Soave Buscemi, Rita Torti, Damiano Migliorini, Lidia Maggi, Antonietta Potente.

Il volume contiene le relazioni del percorso svolto a Reggio Emilia nel 2019, proposto dal gruppo cristiani LGBT della città sul tema della teologia delle donne. L’idea che fa da sfondo alla proposta, consiste nella possibilità di offrire ai lettori alcune chiavi di lettura, che aiutino a cogliere il tema della donna nella società e nella chiesa, a partire dalle stesse donne. C’è un pensiero femminile da sempre soffocato all’interno della cultura occidentale, che è marcatamente patriarcale, che sta emergendo negli ultimi decenni, mostrando il valore di un contributo culturale e spirituale che per troppo tempo la società si è privato. Come tutti i pensieri diversi che provengono da lontano, quando appaiono sulla scena culturale, provocano disagio, turbamento. Quelle del presente saggio, sono dunque pagine scomode, frutto di quel cammino diverso che le donne stanno realizzando, condividendo e meritando, quindi, tutta la nostra attenzione.

     La teologia è espressione dell'ascolto della rivelazione e dell'esperienza della fede, le donne sperimentano la fede in modo diverso. Solo il corpo femminile è in grado di generare un altro essere, da nutrirsi e cioè l'Eucaristia: Dio nutre il suo popolo con il proprio corpo. La femminilità è super evocativa in questo senso. Julia Kristeva dice che l'Occidente ha perso il discorso sulla maternità e l'unico settore che può salvarlo è il cattolicesimo, con la Vergine Maria. E c'è un modo per le donne di fare teologia, perché è segnato dall'esperienza corporea. Queste brevissime considerazioni per dire che è dalla parte della realtà che si tenta di fare teologia, di narrare in modo comprensibile il modo di Dio di apparire nell’orizzonte della vita umana. 

     Se per molti secoli si è fatta teologa dall’alto al basso, applicando sistemi deduttivi alla realtà, lasciando fuori dai sistemi quelle situazioni considerate marginali, è forse giunta l’ora di tentare il cammino opposto. Del resto, ce lo ha insegnato l’unico Maestro Gesù, a parlare di Dio a partire dal basso, dagli ultimi, gli esclusi, perché l’amore di Dio non accetta di lasciare fuori dal discorso proprio coloro che per primi devono stare dentro al discorso. Infatti, come ci ha ricordato Simone Weil: "solo i folli e i poveri, con assoluta limpidezza di sguardo, contemplano la verità del mondo e ne colgono tutto lo splendore.".

Non possiamo, allora, che ringraziare tutte quelle donne di buone volontà che, come quelle che hanno contribuito in questo percorso teologico, ci stanno aiutando nel cammino di una profonda conoscenza del Signore, nella certezza che Lui “si lascia trovare da quelli che lo cercano e si lascia vedere da coloro che lo amano” (cfr. Sap 6, 12).

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martedì 4 maggio 2021

IL SACRIFICIO DEL KIPPUR E LA CENA DEL SIGNORE

 



 

ENRICO MAZZA

Una ricerca in Paolo e nella liturgia antica

 

Secondo Convegno annuale in memoria di Pietro Lombardini (1941-2007) presso il Teatro della Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena.

 

Sintesi: Paolo Cugini

 

Scoperta dei rotoli di Qumran ci permette di conoscere il giudaismo del II tempio, che appare essere una realtà molto ben strutturata. Paolo va interpretato in base al giudaismo del II tempio. Nei Vangeli (Mc e Gv) il titolo che viene dato a Gesù e che egli stesso si applica è Figlio dell’uomo. Le lettere paoline, che sono state scritte prima, non ha questo titolo. Perché Paolo non ha questo titolo?

Se guardiamo alla cultura del II Tempio dobbiamo capire a quale ambiente culturale Paolo potesse aver fatto riferimento. E stato fatto notare che c’è una frase curiosa alla fine dell’Inno cristologico della lettera ai Filippesi: a gloria di Dio Padre. È una frase che esiste solo in un’altra opera giudaica: la vita greca di Adamo ed Eva. Fa parte della letteratura del secondo Tempio. C’è un’aggiunta: sia nell’inno di Filippesi che nella vita greca di Adamo ed Eva: la frase occupa la medesima posizione in entrambi i testi.

Ipotesi: qual è il concetto di redenzione nella vita greca. Il concetto di peccato è la disobbedienza di Adamo. Anche in Paolo il peccato è la disobbedienza di Adamo, a causa del quale tutti peccarono.  Il concetto di redenzione sta in Cristo. Nella vita greca sta nella penitenza di Adamo che sta per 47 giorni immerso fino al collo nel Giordano.

Il modello dell’uomo nuovo non è l’Adamo penitente, ma l’uomo in Cristo che fu obbediente fino alla morte. Paolo di suo dice: e alla morte di croce. La specificazione è importante perché questo concetto torna con i riti del sangue. L’unica redenzione è l’obbedienza.  Tutti i biblisti riconoscono che l’inno di Filippesi è prepaolino che suppone una comunità che si evolve a partire dalla Vita Greca di Adamo ed Eva, ambiente culturale del II Tempio.  Gesù fu obbediente. La morte fu redentiva? Il testo prepaolino è modificato da Paolo: ha donato se stesso, cioè, è stato obbediente. È per questo che Dio lo ha esaltato.  Ogni ginocchio si pieghi: contesto liturgico c’è la genuflessione. A Gesù compete che ogni ginocchio si pieghi.

Se è il rito del sangue che è messo in rapporto con il propiziatorio, ilasterion, nel sangue. Ci vuole il rito del sangue. Nella fede. Paolo sta parlando della giustificazione gratuita per fede.

Libro delle parabole: i giusti, i peccatori, i giustificati.

I giustificati: si sono pentiti. Paolo ha il tema della giustificazione e lo coniuga con il coperchio dell’alleanza.

Liturgia egiziana: prende la frase di Rom 12,1 e dice presentate i vostri corpi. Presentatevi, comportatevi come un sacrificio viventi. Culto secondo ragione. Il termine sacrifico vivente spiegato con il termine culto.

Vediamo che quando Paolo parla della vita vissuta dei cristiani applica il sacrificio vivente. La liturgia egiziana riporta questa idea di Paolo, ma toglie vivente: sacrificio razionale, secondo il logos, culto incruento, per dire che cosa? Noi offriamo il sacrificio razionale, culto incruento e si cita Malachia 1 e non l’ultima cena, cioè sacrificio accetto a Dio. Viene usato Malachia e non temi legati alla croce.  Questo tema resta nei codici e c’è la difficoltà ad utilizzare il termine sacrificio.

Da Rom 3 viene ricavata un’altra cosa.  Secondo Paolo è superato il giudaismo apocalittico escatologico del Secondo Tempio. In Paolo non troviamo la morte sacrificale come concetto messianico, nella cultura di quel tempo. Non troviamo la morte sacrificale come concetto messianico.  Croce come sacrificio del Kippur. La giustificazione non avviene placando Dio irato, ma avviene con le immagini della croce letta come se fosse il rito del Kippur.

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=q3kpsJPoR-k