venerdì 27 agosto 2021

CRISTO IN EUROPA. UNA FECONDA ESTRANEITA’ - UN LIBRO DI CHRISTOPH SCHONBORN





Paolo Cugini

 

La domanda iniziale che provoca le argomentazioni del breve libretto di Schonborn è la seguente: Il cristianesimo è una presenza straniera oppure rappresenta il fondamento dell’Europa? Secondo l’autore si possono affermare tranquillamente entrambe le cose.

Se è vero che il cristianesimo è una delle radici della cultura europea, dall’altra tale consapevolezza sta diminuendo in maniera allarmante. Secondo Schonborn l’Europa non potrà sopravvivere senza i contenuti portati dal cristianesimo. Due prospettive ebraiche vale la pena citare per comprendere l’ampiezza del problema.

La prima è di Jonathan Saks, rabbino capo della Gran Bretagna, il quale ritiene che il responsabile del crollo dell’indice di natalità in Europa sia la cultura consumistica: “la sua popolazione è troppo egoistica per crescere figli”. Secondo Saks l’Europa è l’area più secolarizzata del mondo e, a suo dire, c’è correlazione con la diminuzione spaventosa di natalità. “Essere genitori richiede un grande sacrificio” e, nell’attuale contesto culturale europeo non trova spazio l’idea di sacrificio. Per questo, secondo Saks, il credo religioso è fondamentale per la coesione della società.

La seconda prospettiva è di Joseph Weiler, professore di diritto europeo all’Università di New York, che parla di cristianofobia europea. Anche lui vede correlazione tra questa perdita di memoria delle origini e lo sviluppo demografico in Europa.

A questo punto diviene importante fare memoria e delineare brevemente le fasi storiche più significative del cristianesimo in Europa.

L’epoca antica. Durante il periodo della così detta pax romana solo gli ebrei e i cristiani rifiutavano di diventare una religione in mezzo a tante all’interno del pantheon pagano. La conseguenza fu un’aspra critica nei loro confronti, sfociata nelle persecuzioni e nel martirio di migliaia di uomini e donne. È possibile, a partire da queste considerazioni, è possibile incontrare alcuni frutti delle radici cristiane dell’Europa piantati già all’inizio.

Il primo, è il fondamento della dignità umana nell’idea biblica che l’uomo e la donna sono creati ad immagine di Dio. Ciò ha prodotto come conseguenza nel messaggio di Gesù, l’attenzione ai poveri, agli ammalati, agli esclusi in un contesto culturale che disprezzava tutti coloro che non appartenevano al popolo greco.

Un’altra idea portata dal cristianesimo e che è alla base della cultura europea è, secondo Schonborn, l’unità della specie umana. L’umanità è un’unica famiglia. Considerare greci e barbari sullo stesso livello, come sosteneva la prima comunità cristiana, era considerato uno scandalo. Questa idea che siamo tutti fratelli e sorelle è uno dei pilastri della cultura europea di chiarissima origine cristiana.

L’ultima idea maturata nell’età antica del cristianesimo e che ha plasmato la cultura europea è la libertà. Secondo Schonborn “la più efficace invenzione della Bibbia è la libertà: la possibilità di autodeterminarsi che Dio dona all’uomo. L’amore bandisce la coercizione”.  

L’epoca medievale. Probabilmente il vero problema del cristianesimo, quello che lo rende poco credibile agli occhi del mondo occidentale è la cristianità, quella trasformazione, cioè, avvenuta dopo l’editto di Costantino e lo stabilirsi come religione dell’impero a partire dal 380 con Teodosio. Secondo Schonborn ci sono due papi che rappresentano simbolicamente lo sviluppo che rese possibile l’Occidente cristiano, ma lo fece anche cadere: Gregorio Magno e Leone III. Il primo fu molto influenzato dalla caduta di Roma e dalla paura dell’impero di oriente al punto di fare della chiesa il baluardo dell’impero romano d’occidente. Leone III chiese aiuto ai Franchi e incoronò Carlo Magno imperatore romano. L’impero bizantino percepì l’evento come un grave tradimento dell’unità del cristianesimo, creando quell’estraneità che culminò nel 1054 con la definitiva scissione. Le conseguenze furono gravissime perché aprirono il varco alle lotte tra potere politico e potere papale. Scrive Schonborn: “Dopo numerose guerre lo stato ecclesiastico medievale divenne un sacerdotium senza alcuna importanza o influenza per le potenze europee […] La battaglia sulla sovranità dell’impero e, in seguito, sullo stato della chiesa, in concorrenza con le altre potenze europee, indebolì l’importanza spirituale del papa, più che rafforzarla”. Una lezione importante la Chiesa può ricavare da questa storia, vale a dire che è un errore pensare di poter rafforzare una religione attraverso l’unione con lo stato e il potere politico. La distinzione è necessaria e utile per entrambi. Parlando di medioevo non è possibile guardarlo solamente sullo sfondo della lotta tra chiesa e impero: c’è molto di più. C’è la nascita di vari ordini religiosi che contribuirono significativamente per lo sviluppo culturale in Europa. Non si possono dimenticare nemmeno i monasteri che, dopo la riforma di Cluny del 900, diedero un grande impulso in ambito sociale, artistico, economico e spirituale.

Epoca moderna. L’Europa moderna è soprattutto figlia dell’illuminismo. Senza dubbio, la scissione religiosa del XVI secolo scosse profondamente la società europea occidentale. Uno degli esiti delle guerre di religione fu la territorializzazione delle confessioni cristiane: cuius regio eius religio. Il luogo di residenza divenne il principio per determinare l’appartenenza ad una determinata religione. Secondo Schonborn il concetto negativo di pulizia etnica emerso nei Balcani è una conseguenza di quel principio distruttivo. Le guerre di religione ebbero un secondo risultato, cioè sembrano confermare che le religioni mettono un popolo contro l’altro, mentre l’illuminismo li libera.

Nonostante ciò, secondo Schonborn la situazione del cristianesimo in Europa “è alquanto stimolante e piena di opportunità”. Si assiste, infatti, alla ricerca di cammini di fede più consapevoli. Il cristianesimo un corpo estraneo, dunque, in Europa, ma anche una radice. “L’Europa potrebbe aver bisogno della sana inquietudine della voce profetica della Parola. Sempre secondo il nostro autore – ed è la sua conclusione al breve saggio – “sappiamo che le radici che sosterranno l’Europa nel futuro sono queste: un cristianesimo credibile, fedele alle sue radici, per quanto singolare ed estraneo possa sembrare a volte ai nostri occhi un tale cristianesimo”.

 

UN MONDO SECOLARIZZATO? PARLIAMONE CON HANS JOAS

 

 

Paolo Cugini

 

Il filosofo tedesco Hans Joas si è posto la domanda sul senso e il modo in cui la secolarizzazione è da considerarsi un’innovazione storica significativa. Secondo Joas il primo ostacolo è la vaghezza del termine. All’origine il termine “secolare” significava il transito di una persona o di un bene da una giurisdizione ecclesiastica ad una mondana. Successivamente il termine secolarizzazione diventa sinonimo, da un lato del declino del trascendente a vantaggio del mondano e, dall’altro, della riconciliazione del trascendente con il mondano. In entrambi i casi rimane vago il significato del declino. Secondo Joas non c’è nulla nella realtà ci può garantire che la secolarizzazione sia un fenomeno storico ben demarcato. In ogni modo è importante tenere in considerazione il fenomeno in questione perché: “superare la tesi della secolarizzazione non significa ignorare la secolarizzazione, bensì percepirla nella su multiformità”. Da un certo punto di vista secolarizzazione potrebbe sembrare un fenomeno di liberazione, di emancipazione da una condizione di dipendenza. In ogni modo, per poter essere un’innovazione storica, la secolarizzazione deve includere anche la genesi di qualcosa di nuovo, nuovi valori. Secondo Joas, il modo più corretto per descrivere la novità apportata dalla secolarizzazione è: l’opzione secolare. Questa novità consiste nella diffusione di una pretesa di autoaffermazione umana senza precedenti nella storia. Per questo motivo, secondo il nostro autore, non esiste la “secolarizzazione” in quanto tale, ma singoli episodi di secolarizzazione, la cui intensità e qualità dipendono da diversi fattori (economici, sociali, politici, ecc.) che agiscono come campi di tensione che s’interpongono sistematicamente tra le cause”. Pr comprendere l’esito della religione all’interno del processo di secolarizzazione, non è possibile prescindere dalle condizioni socio-politico-culturali locali in cui le persone vivono concretamente. Più che indicare un concetto onnicomprensivo con portata teleologica – è questa la critica sostanziale di Joas ai sostenitori della secolarizzazione tout court – occorre verificare le “ondate” che ne specifica il dato contingente e locale. Queste ondate, non rappresentano mai l’ultima parola, ma sono seguite da: “un massiccio movimento in senso contrario, una rivitalizzazione della fede, una modernizzazione della dottrina e/o delle strutture organizzative, a volte anche un ritorno alla tradizione, che rendono in generale difficile percepirne il carattere innovativo”. La secolarizzazione, dunque, più che essere un fenomeno universale per le ragioni sopra descritte, può essere circoscritto all’occidente europeo.

Joas ad un ceto punto del discorso, per meglio comprendere la portata della secolarizzazione, apre un confronto con quella che il filosofo tedesco Karl Jaspers ha chiamato la “svolta assiale”, vale a dire l’età della scoperta della trascendenza. Con questa svolta giunge alla fine l’epoca in cui alcune figure significative come i profeti biblici, Socrate, Confucio e Budda reinterpretavano la relazione tra divino e terreno, tra i quali viene scavato un solco come tra finito e infinito. “Secondo la nuova prospettiva il punto discriminante è che in quest’epoca il divino si trasforma nel Reale, nel Vero, nel totalmente Altro, rispetto al quale ciò che è terreno non può che apparire deficitario, manchevole”. E’ proprio questa amplificazione della tensione tra l’ideale e il reale che costituisce il materiale per l’inizio del processo di desacralizzazione di tutte le potenze mondane che si autoproclamano divine. Infatti, come sostiene Joas, “con le innovazioni dell’epoca assiale si è inserito un potenziale per la desacralizzazione del potere politico che non è mai più ammutolito né sparito del tutto”. La tensione nel rapporto tra religione e politica ha il suo inizio proprio in questo periodo analizzato da Jaspers e che trova un esito significativo nella secolarizzazione. La storia delle civiltà umane dopo la rivoluzione assiale è caratterizzata dall’alternanza tra spinte alla desacralizzazione e alla risacralizzazione. Secondo Joas dopo la nascita delle religioni universali, lo sviluppo della cultura dei diritti umani rappresenta la seconda grande ondata storica di una radicale desacralizzazione del potere ed essa s’intreccia con la genesi dell’opzione secolare. La secolarità moderna non mette fuori gioco le religioni, ma comporta comunque una ristrutturazione del campo di forze ideali entro cui si dispiega la creatività dell’agire umano. Conseguenza di questa trasformazione è la crescente consapevolezza che la fede e la religione non sono universali antropologici, ma opzioni significative offerte all’iniziativa individuale e collettiva. La religione, dunque, non può rappresentare il destino dell’umanità. A questo punto diventano di grande importanza le riflessioni dei Hans Joas:

Quello che mi preoccupa non è il fatto che la secolarizzazione possa distruggere la morale in quanto tale, ma che un indebolimento del cristianesimo mini uno dei pilastri dell’universalismo morale e giuridico. Se come sostiene la tesi di Karl Jaspers relativa all’epoca assiale, questo universalismo è venuto storicamente alla luce in connessione con l’idea di trascendenza, allora non è certo che esso sopravviverà in modo duraturo alla scomparsa del suo fondamento originario. Ma una preoccupazione è qualcosa di diverso da un grido di battaglia”.

Nella conclusione di La fede come opzione, Hans Joas suggerisce di guardare fuori dall’Europa per comprendere meglio quale sarà il futuro del cristianesimo. Occorre, cioè, porsi da un punto di vista globale e non eurocentrico, spostando, quindi, il focus dell’analisi dal mondo occidentale al resto del mondo. Per cogliere meglio in profondità il significato socio-culturale del fenomeno della secolarizzazione. In questa prospettiva, vengono in nostro aiuto quelli che sono stati definiti i postcolonial studies che hanno apportato un notevole contributo allo smantellamento del teorema della secolarizzazione. Come ha sottolineato il teologo Paolo Costa, anche in questo caso, “il post di post-coloniale non denota semplicemente il superamento di una configurazione culturale di cui viene proclamato il compimento della parabola storica. Il post, infatti, allo stesso tempo afferma e contesta la centralità di ciò che viene oltrepassato. Spesso il risultato di questi studi post-coloniali consiste nel marginalizzare l’Europa a scapito dell’innalzamento di altre proposte culturali. In ogni modo, è proprio dalla marginalizzazione del modello culturale eurocentrico, che si sviluppa l’interesse per tutto ciò che questo modello ha scartato nella propria produzione culturale, tutto ciò che non è stato ritenuto degno di essere considerato storia significativa. Per certi aspetti, è la continuazione del lavoro iniziato dalla Nouvelle histoire, nella ricerca di una documentazione marginale, per una ricostruzione della storia a partire dalle periferie, da ciò che il centro politico e autoreferenziale, tralasciava. Elemento chiave nel processo di smantellamento del teorema della secolarizzazione è lo sforzo scrupoloso di ricontestualizzazione storica. Del resto, lo stesso Charles Taylor intitolava la sua opera più significativa sul tema in qeustione: A Secular Age, vale a dire un’età secolare, nel senso che di età secolari ce ne possono essere diverse, oltre a quella sviluppatasi all’interno della cristianità europea. Se le secolarità sono per l’analisi post-coloniale molteplici, diventa fondamentale contestualizzarle per coglierne la portata e i differenti significati, oltre che agli esiti. In questa prospettiva, è importante comprendere come la secolarizzazione prima di essere un processo culturale sia soprattutto un progetto storico, per cui è facile comprendere come: “il processo attraverso cui la cristianità latina è diventata secolare è lo stesso processo mediante cui essa è diventata coloniale”. Attraverso l’incontro di popoli non cristiani gli europei hanno trasformato la loro comprensione della religione, del valore dei riti e dei culti locali, del rapporto tra la storia religiosa dei popoli e il progresso umano. Questa trasformazione non è stata indolore, ma ha portato con sé un carico di violenza inaudita, anche perché il processo di secolarizzazione come progetto onnicomprensivo non accetta resistenze da quelle culture ritenute inferiori. Gli studi post-secolari muovendosi in una prospettiva internazionale sulla storia politico-religiosa degli ultimi due secoli, hanno analizzato in modo specifico il caso indiano e cinese giungendo ad alcune considerazioni significative. La prima è che la secolarizzazione è il cambiamento autoritario della grammatica di una forma di vita tradizionale “che consolida il potere di un particolare tipo di stato negando legittimità di certi modi di essere cittadino-soggetto, che sono ritenuti incompatibili con esso, poiché non condividono valori tradizionali fondamentali”. Secondo l’antropologo saudita Talal Asad sulla base di un’interpretazione essenzialistica del secolare viene negato a priori ai subalterni il diritto di esplorare varietà di secolarità che non prevedano la privatizzazione della religione e della moralità e, soprattutto, non facciano leva “sul dispositivo governamentale assicurato dallo Stato moderno e dal suo impulso ordinatore”.

La lezione storica generale che i pensatori postcoloniali ricavano dalla crisi del teorema della secolarizzazione è che non solo è erroneo, ma semplicistico, nei termini di un conflitto tra società moderne e società tradizionali.

 

 

 

giovedì 26 agosto 2021

L'ETA' SECOLARE DI CHARLES TAYLOR

 





Charles Taylor è convinto che la visione cristiana dell’amore oblativo a Dio resta anche ai nostri giorni un bene per molte persone. L’idea di agape che troviamo nei vangeli e nelle lettere di Paolo è senza alcun dubbio, l’unica fonte o risorsa morale che dà senso alle azioni filantropiche e altruiste di tante persone. Questa fiducia nella promessa teista contenuta nella proposta giudaico cristiana, ha provocato molte critiche all’autore di A Secular Age. In virtù di questa fiducia Taylor teorizza la tesi del declino inevitabile della modernità. La transizione secolare così auspicata dai teorici della secolarizzazione, non è né ovvia, né compiuta, anche perché è evidente sul piano della cultura occidentale il logoramento del paradigma scientifico, incapace di offrire strumenti ermeneutici che vadano al di là dei meri dati scientifici. Uno delle conseguenze più significative causate dalla lettura secolare del mondo consiste nell’incapacità di dare un senso compiuto al lessico che veniva utilizzato per indicare una vita i cui ideali non erano di natura biologica o matematica, ma metafisica. Il dato interessante che Taylor annota nella sua ricostruzione storica del processo di secolarizzazione è l’intreccio tra le due storie, quella religiosa e quella secolare.

Tutti gli attuali dibattiti sul secolarismo e la credenza sono influenzati da una duplice storicità, un riferimento al passato bi-stratificato. Da un lato, l’incredulità e l’umanesimo esclusivo si sono definiti in relazione a precedenti forme di credenza, sia il teismo ortodosso sia le concezioni incantate del mondo; e attualmente tale definizione è inseparabile dall’incredulità. Dall’altro lato, le forme posteriori di non credenza, come pure tutti i tentativi di ridefinire e recuperare la credenza, si definiscono in relazione a questo primo pioneristico umanesimo della libertà, della disciplina e dell’ordine.

C’è secondo Taylor, una tensione di fondo nella cristianità medievale tra esigenze di radicalità religiosa e spinte di generalizzazione delle credenze, che prepara il terreno al processo di secolarizzazione attivato nell’epoca moderna, per cui la nascita di una mentalità secolare è uno degli effetti. della critica della religione popolare. “Da un’epoca nella quale la vita religiosa era più incarnata e dove la presenza del sacro poteva essere rappresentata nei riti, o vista, percepita, toccata, persino avvicinata (nel pellegrinaggio), a un’epoca in cui la vita religiosa è più un fatto mentale e dove il rapporto con Dio passa soprattutto attraverso la nostra adesione a interpretazioni contestate”.

Il mondo occidentale assiste, dunque, in epoca moderna, all’avvento di una cornice immanente che plasma la cultura. Taylor individua nelle guerre di religione del XVII secolo, scatenatesi in Europa dopo le tensioni causate con la riforma, uno dei motivi del calo d’intensità della credenza e della pratica religiosa e, quindi, dell’indifferenza crescente verso il sacro. Elemento significativo di questo processo confluisce nel tema della laicità, non solo come atteggiamento individuale, ma anche politico. “Lo scopo della laicità dello Stato è precisamente quello di evitare di privilegiare o sfavorire non solo posizioni religiose, ma qualsiasi posizione fondamentale, siano esse religiose o meno”. Ciò significa che il fine non consiste nel rendere la religione meno rilevante per la vita, ma impedire che lo Stato privilegi una confessione rispetto ad altre. L’obiettivo dell’epoca moderna, che vede in Europa la formazione degli stati, è sganciarsi dall’identificazione con una religione, per rendere lo Stato imparziale, equidistante tra le varie entità religiose. In questo senso l’epoca moderna è un periodo di rottura con il precedente, caratterizzato dall’identificazione tra religione e potere, tra impero e cristianesimo. Questo percorso implica un secondo livello di liberazione politica, vale a dire il modello di etica politica indipendente, che consiste, secondo Taylor, nella necessità di definire un’etica slegata da ogni credenza religiosa. In questo modo, viene richiesto ai cittadini di prescindere dalle loro convinzioni religiose ogni volta che sono chiamati a deliberare su questioni d’interesse generale. È chiaro che questo atteggiamento richiesto, apre le porte per un vissuto religioso relegato nella sfera individuale o, come direbbe Taylor, “tra gli accessori opzionali che spesso disturbano il corso della vita mondana”.  

Anche se questa soluzione ha l’apparenza di creare lo spazio pubblico favorevole alla formazione di un clima di pace, togliendo sul nascere, il materiale per possibili tensioni, in realtà dai credenti viene vissuta come una vera e propria esclusione della religione. Taylor individua due modelli che si sono affermati nel mondo occidentale come esempi di stili di laicità. Da una parte c’è il modello americano, imperniato su una religione civile; dall’altro, quello francese in cui è visibile una morale indipendente. A detta del filosofo canadese, l’obiettivo più realistico in un contesto culturale significativamente pluralistico, com’è quello raggiunto dalla società occidentale, sarebbe un consenso su una serie di principi politici comuni, anche se giustificati in maniera diversa. Taylor è convinto che, nonostante gli sforzi irenici, nella società secolare il disaccordo continuerà e: “dovremo convivere con compromessi tra le varie visioni del mondo. Anziché con un espediente abnorme, scandaloso e sperabilmente temporaneo, questa condizione dovrà, cioè, essere vissuta come lo stato di cose normale per un lasso di tempo indefinito” (TAYLOR, 2014, p. 51). E’ questa variante aperta di laicità che può aspirare ad essere riproposta in contesti culturali anche molto diversi.

 

lunedì 23 agosto 2021

CONTRO LA SECOLARIZZAZIONE - DAVID MARTIN

 



Paolo Cugini

 

David Martin è un sociologo e pastore anglicano, è stato il primo a formulare una critica alla secolarizzazione in un saggio, "Towards Eliminating the Concept of Secularisation" (1965), la prima teoria empirica comparata della secolarizzazione in "Notes for a General Theory of Secularisation" (1969).  Questo primo lavoro è stato ampliato e pubblicato in forma di libro come A General Theory of Secularisation (1978), un testo storico nella storia degli studi di secolarizzazione. Ha continuato a contribuire al dibattito sulla secolarizzazione e sulla resilienza della religione al presente.

Nei suoi primi lavori sociologici, Martin specifica l’ambito della sua indagine, ritenendo che il concetto di secolarizzazione, oltre ad ostacolare il progresso della sociologia della religione, è ricolmo di ideologie, soprattutto l’esistenzialismo, il marxismo e il razionalismo. Significativo è il fatto che la posizione di Martin è contemporanea al successo delle analisi sociologiche sulla secolarizzazione. C’è una sorta di miopia nei sostenitori della secolarizzazione che, secondo Martin, non permette di cogliere le aporie del nesso tra modernizzazione e declino della vitalità religiosa. L’accusa del sociologo britannico ai teologi della secolarizzazione è quella di basare i loro studi esclusivamente sul piano teorico, mettendo in secondo piano la reale situazione della religione. Ebbene, è proprio il contatto con l’esperienza religiosa che svuota l’analisi proposta dai teorici della secolarizzazione. In primo luogo, non è possibile analizzare il variegato mondo religioso con un solo concetto, vale a dire, la secolarizzazione. Non esiste un processo unitario chiamato secolarizzazione, che nasca in relazione a un insieme di caratteristiche definite religiose”. Questo processo non esiste perché le istituzioni religiose nascono e declinano per svariati motivi non riconducibili ad un unico denominatore comune. Per questo motivo, allo stesso modo, non è possibile parlare in modo unitario di cause della secolarizzazione. Proprio per questi motivi, secondo Martin, è facile intravedere le precomprensioni ideologiche della teoria della secolarizzazione, ideologie tutte interessate a decretare la fine della religione. Tra queste, Martin ne individua tre: razionalismo, marxismo ed esistenzialismo. La prima, considera il declino della religione come inevitabile perché la concepisce come una teoria falsa. Il sociologo britannico confuta questa tesi sostenendo la necessità per il buon funzionamento della società, di strutture mitiche “che è più dell’assurdità alla quale è indissolubilmente unita, poiché è in grado di ricondurre tutti gli eventi della vita, i più importanti e i meno importanti, all’interno di una struttura di significato profondamente coerente”. Il marxismo, a sua volta, spiega il declino della religione riconducendola alla sua funzione ideologica di sostegno del dominio di classe esistente. Secondo Martin solo una visione deterministica della storia può escludere che le condizioni della fioritura della religione non si ripropongono anche all’interno di una società a socialismo realizzato. Infine, l’adesione alla tesi della secolarizzazione da parte dell’esistenzialismo, poggia sul rifiuto della dimensione sacramentale e comunitaria della religione. È dunque, necessario, conclude Martin,

che la situazione religiosa, nella sua estrema varietà, sia studiata separatamente dalla spinta a illustrare una posizione filosofica […]. La parola secolarizzazione è troppo intimamente legata alle distorsioni ideologiche per essere mantenuta. Il suo uso favorisce le generalizzazioni nebulose a discapito, per esempio, di studi rigorosi sull’influsso della mobilità geografica e sociale sulla pratica religiosa. La parola secolarizzazione dovrebbe essere cancellata dal dizionario sociologico.

Sottofondo culturale della critica di Martin alla secolarizzazione è il rifiuto categorico alle visioni lineari della storia che, per definizione, lasciano nel cammino della ricerca storica, molti aspetti considerati marginali o per niente considerati. La religione, di conseguenza, paga lo scotto di avere una visione trascendente dell’uomo, della società e della natura, che visioni materialistiche della storia che non viene presa minimamente in considerazione. Martin percepisce come necessario lo smascheramento di questi tentativi semplicistici di riletture storiche a servizio dell’ideologia di turno. “Dovevo smascherare l’illegittimo trasferimento di un télos o una direzione immanente di matrice ideologica nell’ambito delle scienze sociali. Molta sociologia, in effetti, non è altro che storia iperorganizzata.

giovedì 19 agosto 2021

PER I MARI E' ORMAI TROPPO TARDI

 



Il riscaldamento globale, che sta causando l’aumento del livello dei mari, lo scioglimento dei ghiacciai e la moltiplicazione degli eventi estremi, sta peggiorando a un ritmo e su una scala che non si vedevano da migliaia di anni, in tutte le regioni del mondo. Pubblicato il 9 agosto, il sesto rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) delle Nazioni Unite contiene tutto quello che sappiamo oggi sulle basi fisiche del riscaldamento globale. Per quanto riguarda i mari, è già troppo tardi: le perturbazioni continueranno per secoli. L’Ipcc ha dimostrato che, nell’ultimo decennio, le attività umane, e in particolare l’uso dei combustibili fossili, sono interamente responsabili del riscaldamento del pianeta (Internazionale, 19.08.2021).

mercoledì 18 agosto 2021

SENZA DIO?

 



Paolo Cugini

 

     Un aspetto sembra emergere nell’attuale contesto culturale post-secolare, consiste nel fatto che non è più in questione l’identità della religione, ma la sua funzione, sia in riferimento all’individuo che alla sfera sociale. Questo aspetto sta provocando una nuova situazione che consiste nella libertà di appropriarsi della simbologia religiosa senza un percorso di appartenenza e i di collegarla ad altre simbologie religiose, creando in questo modo una specie di “terzo spazio” nel quale si generano “condizioni discorsive di enunciazione che si sottraggono al significato e ai simboli della cultura qualunque unità o fissità primordiale” traducendoli e reinterpretandoli a piacimento. Il teologo Dotolo ha fatto notare che questo nuovo fenomeno, che potremmo definire di contaminazione culturale e religiosa, è indizio di “una cresciuta consapevolezza antropologica: la reinvenzione costante del concetto del Sé nella sua relazione con l’Assoluto, cui la tradizione del pensiero orientale sembra offrire orizzonti ermeneutici più congrui e convincenti”.

    Questo cammino di contaminazione culturale che le tradizioni religiose stanno vivendo nell’epoca post-secolare, non solo rimette in gioco lo specifico della stessa religione, non tanto nei suoi contenuti, la cui rigidità costituisce un ostacolo alle contaminazioni, quanto sulle sue potenzialità creative rispetto al mondo della vita, alla dimensione simbolica della realtà. Questo aspetto è probabilmente uno dei motivi della disaffezione attuale nei confronti del cristianesimo, perché segnata pesantemente da un apparato dottrinario venutosi a formare nei secoli, considerato obsoleto e incapace d’interpretare le questiono vitali del vissuto contemporaneo.

    C’è chi ha fatto notare tra le grandi religioni, sia il buddismo a recitare nell’attualità, il ruolo di protagonista nello scenario della ricerca religiosa, per il fatto che in esso il legame tra soteriologia ed etica costituisce le coordinate di riferimento per un itinerario di riappropriazione da parte dell’uomo del proprio sé. C’è infatti, nel buddismo, la proposta di una possibilità di mutamento sperimentabile nel corso dell’esistenza, di un “nirvana” qui ed ora, che provoca un certo fascino nell’uomo occidentale, deluso dalle religioni dottrinali le cui promesse sembrano solamente destinate ad un al di là mai verificabile. In questa prospettiva, la religione dà prova della sua possibilità se i suoi contenuti sono esperibili nella concretezza del cammino di trasformazione.  Anche il cristianesimo ha una simile offerta di trasformazione durante la vita, ma attraverso strumenti che mediano con il soprannaturale. Per questo, secondo Dotolo, “è proprio la particolare configurazione religiosa del buddismo il punto di partenza di una riflessione sul dinamismo dell’esperienza religiosa che sembra indipendente da una relazione con Dio”.

Il riferimento al buddismo mostra uno degli sviluppi più significativi che il dibattito attuale sulla religione sta verificando, vale a dire la possibilità di una proposta religiosa senza Dio, che si concentri essenzialmente sull’importanza del vivere bene, che chiama in causa la responsabilità di ogni persona. Simile proposta la troviamo anche nell’elaborazione di alcune religioni indigene che praticano il Sumak kawsay, vale a dire, il Ben Vivere che è una filosofia, con riflessioni molto concrete, che sostiene e dà senso alle diverse forme di organizzazione sociale di centinaia di popoli e culture in America Latina. Sotto i principi della reciprocità tra le persone, dell'amicizia fraterna, della convivenza con altri esseri della natura e del profondo rispetto per la terra, i popoli indigeni hanno costruito esperienze veramente sostenibili che possono guidare le nostre scelte future e garantire l'esistenza umana. In altre parole, mentre la prospettiva teista esige un Dio per la fondatezza dei valori referenziali dell’esistenza, per l’ateismo religioso vivere bene è motivo sufficiente dell’esistenza umana. Proprio per questo tipo di proposte secondo Dotolo quello che viene definito ateismo religioso, vale a dire la religione che non fa riferimento a Dio, ad un essere trascendente, ma che si basa esclusivamente sul piano immanente, non è in conflitto con lo specifico della religione, anzi è capace di ridare senso a contenuti che il discorso teista ha reso confuso nel contesto culturale post-moderno. “Se la religione contribuisce alla biologia e biografia della condizione umana è perché introduce un valore trascendente, il cui peso non dipende da un’alterità rivelativa, ma dalla sua stessa capacità di incrementare la qualità della vita. Il problema di fondo tra posizione teista e ateista consiste nella fondazione dei valori assunti. Mentre, infatti, il teismo ha come punto di riferimento un’entità trascendente, alla quale delega le risposte del suo sistema di valori, il punto di riferimento della visione atea consiste la positività degli stessi valori. La qualità dei valori della vita non dipende, nella posizione atea della religione, da forze esterne alla dimensione immanente della stessa vita, perché “ciascuno ha la responsabilità etica innata e inalienabile di cercare di vivere il meglio possibile data la propria situazione”.

 L’esistenza umana, dunque, può essere organizzata sulla base di un’oggettività valoriale basata sulla riconoscenza universale degli stessi valori, che può variare di epoca in epoca, ma che diventa significativa per l’epoca che li assume, senza il bisogno di proiettare lo schema valoriale in una realtà trascendente di opinabile verificabilità. C’è la possibilità di una vita degna e piena di significato, senza bisogno di far riferimento a Dio e, dunque, senza il bisogno di dottrine, dogmi, elucubrazioni teologiche. Ciò che è indispensabile, sostiene sempre Dworkin, non è l’opinione di Dio, ma il giudizio previo “che esiste una verità etica e morale oggettiva di cui si può ritenere che qualcuno sia esperto. Questo giudizio previo non dipende da alcun assunto teista: è disponibile tanto a un ateo quanto a un ateista. A patto, cioè, che l’ateo sia un ateo religioso”.

 

sabato 14 agosto 2021

IL CRISTINAESIMO: UNA RELIGIONE?

 



Paolo Cugini

 

    L’elaborazione razionale moderna che ha avuto nell’illuminismo l’apice più significativo e, per certi aspetti, rappresentativo, volendo interpretare la realtà, l’ha deturpata. La produzione avvenuta nel periodo moderno di sistemi a tutti i livelli, con la pretesa di spiegare la realtà, di mostrarne il cammino, l’hanno invece, ingabbiata in modo tale da provocarne la ribellione. Ciò che da decenni sta avvenendo a diversi livelli come il clima, la finanza, l’economia, la politica, solo per citare alcuni ambiti, è il risultato di questo processo di omologazione della realtà, con la presunzione che potesse essere colta nella sua complessità da un sapere pre-comprensivo. La realtà può solo essere ascoltata e, le proposte razionali che possono essere elaborate, vanno eseguite come conseguenza di questo primo inalienabile movimento di ascolto. I disastri dei metodi euristici moderni si sono visti anche nella scienza, come ha sapientemente mostrato Paul Feyerabend, affermando come spesso gli scienziati forzano la realtà, vale a dire i dati delle sperimentazioni, affinché si possa dimostrare le loro teorie. Non è la realtà che precede l’idea e la orienta, ma il contrario: l’idea che forza la realtà e la deturpa affinché l’idea sia dimostrata e vittoriosa.  In questa prospettiva, la fenomenologia ha rappresentato per la cultura occidentale un tentativo riuscito di cambiare percorso, di non anticipare la realtà, ma di coglierla per come si manifesta, accompagnarla e, a partire da questo punto di prospettiva, elaborare alcuni percorsi.

    Al processo di omologazione moderna, anche la religione non ha corrisposto ma, al contrario, si sta riproponendo in modo nuovo. È come se il processo di secolarizzazione le abbia fatto bene. Dopo essere passata per decenni sotto il fuoco incrociato dei sistemi materialisti ed esistenzialisti, ricevendo a più riprese il marchio di essere espressione di contenuti desueti, stanno emergendo forme sacrali spontanee, non vincolate da dogmi o dottrine, ma espressione dell’esperienza personale di auto-trascendenza. La critica moderna e la secolarizzazione hanno colpito duramente l’involucro esterno delle religioni, nelle loro formulazioni etiche, nel tentativo di rispondere alla sfida razionalista hanno rafforzato l’apparato concettuale e dottrinale che, in ogni modo, si è rivelato troppo pesante e inadeguato. Da un lato, assistiamo al fiorire di percorsi religiosi sganciati dalla proposta delle grandi tradizioni religiose, percorsi individuali, o di piccoli gruppi, alla ricerca di un benessere personale più che comunitario. Dall’altra, il processo di secolarizzazione non ha promosso un superamento della religione, ma una sua mutazione di senso. Ciò è visibile in modo particolare nel cristianesimo, come ha sostenuto Dacquino, perché: “all’interno della differenziazione funzionale della società, mostra lo specifico socio-culturale dell’esperienza religiosa”. Senza dubbio, questa metamorfosi ha provocato un dibattito interno del cristianesimo stesso, tra coloro che sostengo la bontà della relazione tra ambito sociale e più strettamente sacrale e coloro che, ritengono questo connubio la negazione della missione della religione, che dovrebbe essere relegato solamente alla sfera sacrale e trascendente. L’aspetto più significativo di questo dibattito all’interno del cristianesimo è la messa in discussione dell’identità religiosa.

In fin dei conti il cristianesimo è una religione? Forse è questo uno dei contributi più significativi, anche se inaspettati, della secolarizzazione. Mettere in discussione la struttura religiosa del cristianesimo significa osservarlo da un nuovo punto di vista, non da quello sacrale, ma dal principio fondante su cui si è strutturato, vale a dire l’Incarnazione. Il Dio che entra nella storia rende inutile qualsiasi rivestimento sacrale, perché d’ora innanzi il divino è accessibile senza alcuna mediazione. È l’immediatezza del divino nella storia che provoca il processo di destrutturazione deli apparati sacrali della religione. Nonostante questo, il cristianesimo sin dall’inizio non rinuncia al sacro, ma anzi ne fa uso abbondantemente, assorbendo dal mondo pagano, in modo particolare dal Sacro Romano Impero, una quantità significativa di materiale che il cristianesimo ha utilizzato per il proprio rivestimento sacrale. Oltre a ciò, la produzione teologica del millennio medievale farà di tutto per coprire di significati razionali i rivestimenti sacrali del cristianesimo, trasformandolo in religione. Uno degli aspetti più significativi dell’epoca post-moderna consiste nell’attivare processi di decostruzione, che sono, allo stesso tempo, processi di smascheramento a tutti i livelli. Ebbene, il cristianesimo, sta passando il vaglio di questo processo, recuperando da una parte, l’essenza della propria proposta contenuta nell’Incarnazione e, dall’altra, avendo la possibilità di lasciarsi alle spalle secoli di oscurantismo intellettuale e di confusione sacrale. Un ritorno alle origini, dunque, è la grande opportunità dell’epoca post-moderna. In questo processo di smascheramento un grande merito l’ha avuto, per le considerazioni fatte sopra, la secolarizzazione, che più o meno involontariamente ha aperto una nuova stagione per il cristianesimo. Sganciandosi, infatti, dal marchio religioso può avere la possibilità di manifestare il contenuto specifico della propria proposta sia sul paino personale che sociale. Non solo, ma come afferma Dotolo: “la fine dell’equazione tra cristianesimo e religione è, o può essere, l’inizio di un diverso approccio al dire Dio, senza appiattimenti a buon mercato di un ideale regolativo che incide anche sulla qualità dell’esistenza”.

 

martedì 10 agosto 2021

IL RITORNO DI DIO?



 

Paolo Cugini

Che cosa può significare il ritorno della religione nella cultura occidentale, nel modo in cui emerge dalle ricerche sociologiche? Domanda importante se si pensa che, sin dal XIX secolo esce il grido della morte di Dio, della fine del pensiero metafisico su cui la teologia cristiana occidentale aveva costruito la riflessione su Dio.

Il ritorno alla religione come dato sociologico significa, innanzi tutto, il fallimento del paradigma della secolarizzazione che, alla distanza, si è dimostrato incapace di leggere in uno sguardo ermeneutico unificante, la grande varietà di fenomeni che vanno sotto il nome di religione. In secondo luogo, significa anche che, la risposta scientifica e tecnologica seppur importante per lo sviluppo dell’umanità, non è sufficiente perché non è in grado di offrire quelle risposte di senso, che rimangono disponibili a percorsi che coinvolgono non appena la sfera razionale, ma anche quella emozionale e quella spirituale. Il ritorno preponderante della religione nelle sue varie forme, significa anche il fallimento della proposta antropologica illuminista, che pensava la persona nella sua forma considerata superiore, vale a dire la ragione. Il bisogno di senso, di orientare la propria esistenza con obiettivi che vanno al di là dei meri dati materiali, non ha trovato nei paradigmi elaborati dalla modernità una valida soluzione al problema. La possibilità dell’auto-trascendenza e di compiere esperienze che vanno al di là dei puri dati scientifici, dicono dell’insoddisfazione nei confronti di una proposta che non sa offrire altro che dati certi, razionali, che non lasciano spazio al dubbio. In realtà, le persone sperimentano nella vita il dubbio, che non trova risposte nella pura logica formale, o ne trova in parte in essa, perché ha bisogno di altro, che va al di là dei dati empirici, che trascende, appunto, la nuda realtà. A distanza di decenni, la visione scientifica del mondo, elaborata negli anni Venti dai filosofi legati al Circolo di Vienna e riprodotta in forme diverse dai sostenitori del neopositivismo logico, si è dimostrata incapace di offrire proposte per l’umanità che andassero al di là di meri calcoli speculativi.

Considerando la religione come fornitrice di illusioni irreali, sganciate dal vissuto umano e, soprattutto, fornendo un materiale non misurabile dal punto di vista logico-matematico, la visione scientifica del mondo non ha tenuto conto che la religione fornisce delle visioni di mondo più complesse e complete, che tiene conto non solo degli elementi misurabili dell’orizzonte umano, ma anche di tutti quegli aspetti, come le emozioni, le sensazioni, l’elaborazione di valori morali, che sfuggono alla verifica scientifica. Ed ora che la visione scientifica del mondo ha svuotato la cultura dei simboli religiosi e sacrali non riuscendo a sostituirli con niente, rischiamo di assistere ad un ritorno del sacro nelle sue forme pagane, svincolate dalle normative religiose che, nel frattempo, sono state delegittimate e deposte. Per questo la domanda è angosciante: quale Dio ci aspetta nel ritorno del sacro?

 

venerdì 6 agosto 2021

DIO NELLA PRIGIONE DELL’ESSERE




Paolo Cugini

È possibile pensare e percepire Dio al di fuori delle categorie metafisiche della filosofia occidentale che da sempre lo descrivono nei termini ontologici dell’Essere? Ci ha provato il filosofo francese Jean Luc Marion a liberare Dio dalla prigione dell’essere. Forse, però, non c’è bisogno di scomodare la filosofia per capire che Dio è al di là delle nostre griglie concettuali.

La percezione di Dio avviene, prima di tutto, nella storia personale di una persona e, quindi, nell’orizzonte delle percezioni sensibili, interiori ed esteriori. Non arriviamo a Dio perché dimostriamo razionalmente la sua esistenza, ma perché ne percepiamo la presenza. Arriviamo a credere in lui perché, per certi aspetti, lo vediamo, lo sentiamo, ci accorgiamo che c’è qualcosa di nuovo, di qualitativamente differente. E, allora, più che dimostrare la sua esistenza con argomenti razionali, lo testimoniamo, perché lo abbiamo visto, sentito, percepito. Se l’argomentazione razionale ha bisogno di una logica ferrea, si sillogismi ben articolati che giungo ad una conclusione che non lascia spazio al dubbio, ben differente è ciò che procede dalla testimonianza.

In primo luogo è sempre personale, soggettiva. Ciò non significa che abbia una validità minore rispetto ad una prova che ha un fondamento esclusivamente oggettivo, come un’equazione matematica. Stiamo, infatti, parlando di Dio, il quale non può essere incasellato da alcuna argomentazione, nel senso che di Dio c’è sempre qualcosa che ci sfugge, che rimane fuori dal nostro orizzonte di conoscenze. Questo è un aspetto importante da considerare. Nessuno può avere la presunzione di sapere tutto di Dio, o comunicare in modo apodittico qualcosa di Lui. Ogni volta che parliamo di Dio, dobbiamo imparare a toglierci i calzari, come fece Mosè quando si avvicinò al roveto ardente dove vide la presenza di Dio.

In secondo luogo, Dio non si manifesta con fattezze umane. Lo chiamiamo Padre per comodità di espressione filtrata dalla cultura patriarcale. Dio non ha sesso, né genere. Di Dio possiamo solo parlare per supposizione, per approssimazione. Per difetto, dunque. Possiamo condividere quella particolare esperienza sensibile così diversa dal punto di vista qualitativo e, spesso emotivo, che la chiamiamo Dio, senza sapere bene di che cosa si tratta. Chi può discernere le nostre impressioni e verificarne la bontà, possono essere solamente coloro che provengono dallo stesso tipo di esperienza, che hanno un vissuto simile da condividere.

C’è, poi, la sua Parola, quella che si trova scritta nella Bibbia e che viene definita Parola di Dio. Anche questa, però, va filtrata, verificata, perché ripiena di elementi culturali dell’epoca in cui è stata scritta. Dio si rivela e lo fa utilizzando la cultura del tempo per potersi comunicare con quegli uomini e con quelle donne. I testi che leggiamo nella Bibbia sono ripieni di elementi culturali specifici del periodo in cui è stato scritto quel testo in particolare. Riusciamo a cogliere la verità della Parola rivelata sia attraverso il lavoro degli esegeti, che attraverso l’esperienza personale, che ci permette di riconoscere il Signore ascoltato nella Parola, con quello incontrato nella vita.

Dire Dio in questo particolare frangente della storia, che in pochissimi decenni ha smantellato la fragilità dei sistemi razionali, che alla distanza si sono dimostrati incapaci di descrivere il Mistero, significa il coraggio di piegare le sbarre arrugginite della metafisica, che per secoli hanno preteso di rinchiudere il Mistero e così liberarlo, permettendo alle persone libere d’incontrarlo per come si manifesta e non per come lo si rappresenta. 

giovedì 5 agosto 2021

LA BICI è LA MORTE LENTA DEL PIANETA





 [Autore ignoto]

Un banchiere ha fatto riflettere gli economisti quando ha detto: ′′ Un ciclista è un disastro per l'economia del paese: non compra auto e non presta soldi per comprare. Lui non paga le polizze assicurative Non compra carburante, non paga per portare la macchina alla revisione e le riparazioni necessarie. Non usa parcheggio a pagamento Non provoca incidenti gravi. Non richiedono autostrade multiple. Non diventa obeso.


Le persone sane non sono necessarie o utili per l'economia. Non comprano medicine Non vanno negli ospedali o dai medici. Non aggiungono nulla al PIL del Paese. Al contrario, ogni nuovo negozio McDonald's crea almeno 30 posti di lavoro, anzi 10 cardiologi, 10 dentisti, 10 esperti di dieta e nutrizionisti, ovviamente così come le persone che lavorano nel negozio stesso ". Scegli con cura: una bici o un Mc Donald? Vale la pena pensare.

Ps: camminare è ancora peggio. I pedoni non comprano nemmeno una bicicletta!