martedì 12 aprile 2022

LA LITURGIA E IL PESO DEL PASSATO

 





Paolo Cugini

 

Il tema della liturgia è importante perché riflette il modo d’intendere Dio. Dal modo in cui una comunità celebra l’eucarestia si capisce in che Dio crede. L’insistenza sul precetto ha provocato lo svuotamento della dimensione relazionale e comunitaria, che è alla base del significato della liturgia eucaristica, intesa come azione del popolo. La predicazione che per secoli ha insistito sull’obbligo del precetto domenicale se, da una parte, ha provocato la diffusione del costume della messa domenicale come abitudine necessaria per la salvezza, dall’altra l’ha consegnata definitivamente nelle mani della classe sacerdotale e togliendola, in questo modo, al popolo di Dio. C’è stato, dunque, un processo di snaturamento rispetto al significato originale che Gesù ha voluto dare all’eucarestia, come segno della sua presenza in mezzo ai fratelli e alle sorelle e come momento di consegna alla comunità del suo messaggio centrale.

Il nuovo contesto culturale nel quale siamo immersi, se da un lato appare insensibile agli aspetti religiosi a causa della sua marcata portata materialista, dall’altra permette di recuperare alcuni aspetti andati perduti nel tempo. Lo svuotamento della lettura metafisica e ontologica della realtà, venuto a compimento nell’epoca post-moderna, ha aperto la strada alla pluralità delle narrazioni possibili degli eventi. Si passa, in questo modo, da un approccio costrittivo della religione, con precetti, obblighi e doveri, che circoscrivono il modo di appartenenza al sacro, ad un tipo di approccio libero, basato più sulla comprensione soggettiva, che dalla coercizione. Oggi le giovani generazione sono totalmente indifferenti agli obblighi e alle minacce nei confronti dei precetti religiosi. Passare da uno stile coercitivo verso una proposta che stimoli l’interesse libero delle persone alla proposta religiosa, esige un cambiamento di paradigma radicale, che richiede la disponibilità a non identificare la bontà della proposta con la quantità numerica di chi partecipa. Il controllo coercitivo del popolo da parte della casta sacerdotale, sorretto dal clima politico e sociale che permetteva tale stile coercitivo, provocava immediatamente la presenza massiccia dei fedeli ai momenti religiosi. Ad un certo punto del cammino, la chiesa più che essere attenta a proporre lo stile del fondatore si è lasciata prendere la mano dalla possibilità reale di controllare le masse che, al contempo, significava la possibilità di contare nel dibattitto politico e sociale. Chi controlla le masse controlla il potere. Certi accorgimenti dottrinali, come la confessione obbligatoria prima dell’eucarestia, hanno esacerbato il controllo della classe sacerdotale sui fedeli, più che proporre un cammino di libertà come proponeva il Maestro. Lo stesso si può dire sull’imposizione del celibato sacerdotale per i candidati al sacerdozio, che ha stigmatizzato un processo di diversificazione del clero nei confronti del popolo e, in modo particolare, delle donne.

La giurisprudenza canonica, la teologia e la spiritualità che si sviluppa a partire dal X secolo d.C., sono tutte alleate per sostenere lo stesso discorso della necessità di una classe sacerdotale per gestire il sacro. La liturgia è lo spazio più idoneo in cui si manifesta questo fenomeno più politico che religioso. L’architettura degli spazi religiosi è il documento storico più visibile di questo processo di decostruzione politica del messaggio evangelico, a favore di un’istituzione che, ad un certo punto, decide di andare per la propria strada dimenticando l’origine del percorso. Negli edifici adibiti alle manifestazioni liturgiche lo spazio in cui la classe sacerdotale gestisce il sacro subisce una doppia operazione architettonica. C’è, infatti, un processo di separazione dello spazio addetto al sacerdote, che compie le sue funzioni dal resto del popolo. Questa separazione è evidenziata da strutture specifiche - le balaustre – che segnalano sin dove il popolo può giungere. In secondo luogo, si assiste ad un progressivo innalzamento della zona chiamata presbiterio, con l’obiettivo di rendere visibile lo spazio sacro. Gli storici della liturgia ci avvertono che queste modifiche avvengono nel periodo in cui, a causa delle invasioni barbariche che devastano l’Impero Romano, si perdono i dati biblici e patristici e la liturgia subisce la nuova impostazione di tipo materialista del mondo religioso. Non si cerca più la dimensione così detta ontologica degli eventi che hanno accompagnato la vita di Gesù, per riproporli nella liturgia, ma si cerca di riprodurre il più fedelmente possibile, ciò che materialmente è avvenuto. L’innalzamento del presbiterio, dovrebbe, in questa prospettiva, significare il monte degli ulivi in cui Gesù ha vissuto la passione.

Contemporaneamente a questo fenomeno, ce n’è un altro che lo accompagna. Si tratta della progressiva identificazione della chiesa con l’impero romano, divenuto Sacro Romano Impero. Un segno chiarissimo nel campo liturgico di questa identificazione, sono le vesti liturgiche, che più che essere il segno della presenza della povertà del maestro, sono il simbolo della potenza politica dell’impero romano. Del resto, nei secoli di dominio temporale della chiesa, non mancheranno liturgie in cui viene manifestato il potere della chiesa su principi, re e imperatori. Queste deformazioni del messaggio originale confluite nella liturgia permettono di comprendere non solo la necessità di una riforma liturgica avvenuta nel Concilio Vaticano II ma, soprattutto, la difficoltà di attuarla a causa dei nostalgici di turno, che non riescono a liberarsi la mente dalle forme del passato. Del resto, come diceva Thomas Khun, le strutture culturali si sedimentano a tal punto che anche una rivoluzione culturale non è capace di provocare cambiamenti immediati. Sessant’anni di storia non sono quasi nulla rispetto ai quindici secoli dell’impostazione precedente.

1 commento:

  1. Concordo sull'analisi fatta, sulla differenza fra precetto e libertà di partecipazione legata al senso e significato della partecipazione alla liturgia. Credo infine che la struttura e la ingessatura della liturgia sia un deterrente ed una resistenza alla partecipazione. Il dettame dei momenti e la rigidità delle preghiere del lezionario non permettono una spontaneità ed una piena e consapevole partecipazione.

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