Paolo
Cugini
Il tema della liturgia è importante perché riflette il modo
d’intendere Dio. Dal modo in cui una comunità celebra l’eucarestia si capisce
in che Dio crede. L’insistenza sul precetto ha provocato lo svuotamento della
dimensione relazionale e comunitaria, che è alla base del significato della
liturgia eucaristica, intesa come azione del popolo. La predicazione che per
secoli ha insistito sull’obbligo del precetto domenicale se, da una parte, ha
provocato la diffusione del costume della messa domenicale come abitudine
necessaria per la salvezza, dall’altra l’ha consegnata definitivamente nelle
mani della classe sacerdotale e togliendola, in questo modo, al popolo di Dio.
C’è stato, dunque, un processo di snaturamento rispetto al significato
originale che Gesù ha voluto dare all’eucarestia, come segno della sua presenza
in mezzo ai fratelli e alle sorelle e come momento di consegna alla comunità
del suo messaggio centrale.
Il nuovo contesto culturale nel quale siamo immersi, se da un
lato appare insensibile agli aspetti religiosi a causa della sua marcata
portata materialista, dall’altra permette di recuperare alcuni aspetti andati
perduti nel tempo. Lo svuotamento della lettura metafisica e ontologica della
realtà, venuto a compimento nell’epoca post-moderna, ha aperto la strada alla
pluralità delle narrazioni possibili degli eventi. Si passa, in questo modo, da
un approccio costrittivo della religione, con precetti, obblighi e doveri, che
circoscrivono il modo di appartenenza al sacro, ad un tipo di approccio libero,
basato più sulla comprensione soggettiva, che dalla coercizione. Oggi le
giovani generazione sono totalmente indifferenti agli obblighi e alle minacce
nei confronti dei precetti religiosi. Passare da uno stile coercitivo verso una
proposta che stimoli l’interesse libero delle persone alla proposta religiosa,
esige un cambiamento di paradigma radicale, che richiede la disponibilità a non
identificare la bontà della proposta con la quantità numerica di chi partecipa.
Il controllo coercitivo del popolo da parte della casta sacerdotale, sorretto
dal clima politico e sociale che permetteva tale stile coercitivo, provocava
immediatamente la presenza massiccia dei fedeli ai momenti religiosi. Ad un certo
punto del cammino, la chiesa più che essere attenta a proporre lo stile del
fondatore si è lasciata prendere la mano dalla possibilità reale di controllare
le masse che, al contempo, significava la possibilità di contare nel dibattitto
politico e sociale. Chi controlla le masse controlla il potere. Certi
accorgimenti dottrinali, come la confessione obbligatoria prima
dell’eucarestia, hanno esacerbato il controllo della classe sacerdotale sui
fedeli, più che proporre un cammino di libertà come proponeva il Maestro. Lo
stesso si può dire sull’imposizione del celibato sacerdotale per i candidati al
sacerdozio, che ha stigmatizzato un processo di diversificazione del clero nei
confronti del popolo e, in modo particolare, delle donne.
La giurisprudenza canonica, la teologia e la spiritualità che
si sviluppa a partire dal X secolo d.C., sono tutte alleate per sostenere lo
stesso discorso della necessità di una classe sacerdotale per gestire il sacro.
La liturgia è lo spazio più idoneo in cui si manifesta questo fenomeno più
politico che religioso. L’architettura degli spazi religiosi è il documento
storico più visibile di questo processo di decostruzione politica del messaggio
evangelico, a favore di un’istituzione che, ad un certo punto, decide di andare
per la propria strada dimenticando l’origine del percorso. Negli edifici
adibiti alle manifestazioni liturgiche lo spazio in cui la classe sacerdotale
gestisce il sacro subisce una doppia operazione architettonica. C’è, infatti,
un processo di separazione dello spazio addetto al sacerdote, che compie le sue
funzioni dal resto del popolo. Questa separazione è evidenziata da strutture
specifiche - le balaustre – che segnalano sin dove il popolo può giungere. In
secondo luogo, si assiste ad un progressivo innalzamento della zona chiamata
presbiterio, con l’obiettivo di rendere visibile lo spazio sacro. Gli storici
della liturgia ci avvertono che queste modifiche avvengono nel periodo in cui,
a causa delle invasioni barbariche che devastano l’Impero Romano, si perdono i
dati biblici e patristici e la liturgia subisce la nuova impostazione di tipo
materialista del mondo religioso. Non si cerca più la dimensione così detta
ontologica degli eventi che hanno accompagnato la vita di Gesù, per riproporli
nella liturgia, ma si cerca di riprodurre il più fedelmente possibile, ciò che
materialmente è avvenuto. L’innalzamento del presbiterio, dovrebbe, in questa
prospettiva, significare il monte degli ulivi in cui Gesù ha vissuto la
passione.
Contemporaneamente a questo fenomeno, ce n’è un altro che lo
accompagna. Si tratta della progressiva identificazione della chiesa con
l’impero romano, divenuto Sacro Romano Impero. Un segno chiarissimo nel campo
liturgico di questa identificazione, sono le vesti liturgiche, che più che
essere il segno della presenza della povertà del maestro, sono il simbolo della
potenza politica dell’impero romano. Del resto, nei secoli di dominio temporale
della chiesa, non mancheranno liturgie in cui viene manifestato il potere della
chiesa su principi, re e imperatori. Queste deformazioni del messaggio
originale confluite nella liturgia permettono di comprendere non solo la
necessità di una riforma liturgica avvenuta nel Concilio Vaticano II ma,
soprattutto, la difficoltà di attuarla a causa dei nostalgici di turno, che non
riescono a liberarsi la mente dalle forme del passato. Del resto, come diceva
Thomas Khun, le strutture culturali si sedimentano a tal punto che anche una
rivoluzione culturale non è capace di provocare cambiamenti immediati.
Sessant’anni di storia non sono quasi nulla rispetto ai quindici secoli
dell’impostazione precedente.
Concordo sull'analisi fatta, sulla differenza fra precetto e libertà di partecipazione legata al senso e significato della partecipazione alla liturgia. Credo infine che la struttura e la ingessatura della liturgia sia un deterrente ed una resistenza alla partecipazione. Il dettame dei momenti e la rigidità delle preghiere del lezionario non permettono una spontaneità ed una piena e consapevole partecipazione.
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