Il
tema dell’identità e della contaminazione culturale è oggi più che mai attuale,
in un mondo globalizzato dove le culture si intrecciano e si trasformano
reciprocamente. Da sempre filosofi, scrittori e pensatori hanno riflettuto su
questo rapporto, offrendo spunti preziosi per comprendere come la nostra
identità si definisca e si arricchisca attraverso il contatto con l’alterità. È
nel contesto attuale postmoderno che inizia a scricchiolare l’idea forte e
monolitica del concetto di identità personale elaborato nella modernità sia in
campo religioso che pagano. La proposta moderna identificava il valore di una
persona con l’aderenza all’identità proposta dalla cultura che aveva come caratteristica
la permanenza nelle scelte fatte. In questa prospettiva moderna, la persona che
desista dal proprio cammino, viene considerata negativamente. In un contesto
frammentato, debole e liquido, com’è definita la cultura postmoderna, la
proposta di identità assume prospettive diverse.
L’identità
non è mai qualcosa di statico, ma piuttosto un processo in continuo divenire.
Come scrive il filosofo Zygmunt Bauman: “L’identità è una domanda, non una
risposta; la somma delle domande che uno si pone circa se stesso, non la somma
delle risposte che trova”. Questa visione mette in luce come l’identità sia una
ricerca continua, che si confronta costantemente con il nuovo e il diverso. Questa
dinamica rompe definitivamente con la durezza identitaria proposta nella
modernità, perché considera il dato storico dell’uomo e della donna e la
capacità di reinventarsi a partire dalle provocazioni che il presente dona. In
questa prospettiva postmoderna entra in gioco il concetto di contaminazione,
come possibilità di accogliere nel cammino della vita le novità che gli
incontri esistenziali si presentano nella vita. Contaminazione culturale che è
possibile solamente abbandonando di una forma definitiva la mentalità rigida tipica
della modernità.
La
contaminazione culturale, spesso vista con sospetto da chi teme la perdita
delle proprie radici, come avveniva nella modernità, può invece essere fonte di
grande arricchimento. Lo scrittore Italo Calvino sosteneva: “La contaminazione
delle culture è la condizione stessa della creatività”. In altre parole, solo
attraverso l’incontro e il confronto nascono nuove idee e nuove forme di
espressione. Non c’è più il desiderio di contrappore un’idea con le altre, in
un costante atteggiamento apologetico. La postmodernità sta creando le basi per
percepire positivamente la possibilità positiva dell’apporto dei contenuti che
provengo altrove, fuori dai nostri cammini. L’identità, in questa muova
prospettiva, diviene una possibilità di crescita costante, perché in un
continuo atteggiamento di ascolto, attenzione, capace di cogliere la bontà di
verità altre.
Anche
Tzvetan Todorov, saggista e teorico della letteratura, ha sottolineato come la
purezza culturale sia un mito: “Non esiste cultura che sia rimasta pura: ogni
cultura è il risultato di molteplici incontri, scambi e contaminazioni”. Questa
riflessione ci invita a guardare alla contaminazione non come una minaccia, ma
come un elemento costitutivo delle identità stesse. Del resto, è lo stesso
processo che osserviamo nella Bibbia, che è tutto fuorché un libro statico. Il
Testo Sacro è tutto fuorché un libro derivato da un’unica cultura, da un’unica
religione, ma è un crocevia di incontri, di intrecci culturali e religiosi. Chi
decide di porre il testo biblico come fonte ispiratrice della propria vita,
dovrebbe essere disponibile ad incontrare costantemente altri mondi, capace di
accogliere chiunque entri nel nostro orizzonte con parole di significato, anche
se non proviene dai nostri recinti.
Lo
scrittore francese Albert Camus descriveva il viaggio come metafora della
trasformazione identitaria: “Viaggiare è dare un senso alla propria vita,
viaggiare è dare vita ai propri sensi”. Nel percorso di incontro con l’altro,
la nostra identità si arricchisce, si mette in discussione e trova nuove
possibilità di espressione. Camus scriveva questo negli anni ’50 del secolo
scorso. Oggi, in un mondo fatto di molti popoli che migrano, l’aspetto del
viaggio come elemento che struttura identità nuove, è ancora più vivo. Non
viaggia colui o colei che pensa che l’identità sia un valore eterno che dev’essere
difeso. Si pone in viaggio, al contrario, colui o colei che ha compreso che l’identità
personale è un viaggio, nel senso che ci sono tantissime possibilità di crescita
fuori dai nostri percorsi e che esigono di essere colte. Non le potrà recepire
le novità della vita chi non si pone in viaggio e rimane seduto nelle proprie
sicurezze.
La filosofa contemporanea Martha Nussbaum invita a pensare l’identità come un dialogo aperto: “L’identità non è un confine, ma una soglia: un luogo da attraversare, non da difendere”. Solo attraverso il dialogo e la contaminazione possiamo costruire società più aperte, inclusive e creative. Nussbaum pone al centro del dibattito identitario postmoderno un aspetto fondamentale: il dialogo. Persone dialoganti sono coloro che rimangono aperte al nuovo, che apprendono ad accogliere il positivo di cui è composta ogni cultura. Dialoga chi è disposto/a mettersi in gioco, a lasciarsi contaminare da ciò che proviene da altrove. Dialoga chi ha compreso che la contaminazione è il cammino per essere persone nuove, più autentiche perché plasmate dalla vita. In un’epoca di grandi migrazioni e scambi culturali, il rapporto tra identità e contaminazione culturale rappresenta una sfida e un’opportunità. Forse il primo passo è proprio quello di accogliere la contaminazione come parte integrante della nostra identità, aprendoci al nuovo senza paura di perdere noi stessi, ma con la consapevolezza di poterci sempre ritrovare, più ricchi e più veri.
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