mercoledì 1 novembre 2023

AL CENTRO DEL MONDO

 

Una celebrazione liturgica animata e colorata



La missione diocesana in Amazzonia

 

Paolo Cugini

 

Lo diceva una mia carissima amica, che ha trascorso qualche mese nella missione diocesana a Santo Antonio do Iça: in Amazzonia c’è tutto. Lo diceva non solamente pensando alla biodiversità, alla ricchezza della flora e della fauna, ma a tutta un’altra serie di elementi che spesso ci sfuggono, per il semplice fatto che non li conosciamo. Del resto, l’Amazzonia per noi cattolici è venuta alla ribalda a causa del sinodo che si è tenuto a Roma nell’ottobre del 2018, proprio sul tema della Chiesa dell’Amazzonia. Senza dubbio, prima del sinodo sapevamo qualcosa di questo territorio immenso, dei suoi fiumi, della foresta immensa, del problema della deforestazione. C’è, comunque di più.  Non avrei mai pensato o immaginato che i fiumi di questo immenso territorio potessero seccarsi, eppure così è stato proprio recentemente. Ne sanno qualcosa don Gabriele Carlotti e don Gabriele Burani, che stanno attuando ai confini con la Colombia e che sono abituati a spostarsi sui fiumi. La siccità che ha colpito il territorio amazzonico, considerata la più grande siccità mai vista, ha provocato l’abbassamento impressionante degli affluenti del rio delle Amazzoni, con il conseguente arresto delle comunicazioni. Mercati vuoti a causa della mancanza dell’arrivo delle merci, un numero impressionante di pesci morti a causa della temperatura elevatissima dei fiumi. Il cambiamento climatico, i cui effetti si stanno sentendo dappertutto, è al centro del dibattito non solo sociopolitico, ma anche ecclesiale. Ne ha parlato Papa Francesco nell’enciclica Laudato sii e, più recentemente, nell’esortazione apostolica Laudate Deum. Affermando che: “Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti.” E noi li stiamo vedendo bene, da vicino.

I responsabili della Facoltà Cattolica di Manaus


La Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla è qui in Amazzonia e tocca con mano i disastri di un’economia predatoria, che non guarda in faccia a niente e a nessuno, pur di raggiungere i propri obiettivi. In queste settimane a Manaus, che è la capitale e in cui vivo da alcuni mesi, ci siamo spesso alzati alla mattina avvolti dal fumo causato dagli incendi, quasi sempre dolosi, nelle foreste limitrofe alla città. Essere a Manaus è importante non solo per il lavoro formativo svolto nella Facoltà Cattolica, in cui studiano anche i seminaristi di tutta l’area amazzonica, ma anche per accompagnare da vicino le attività della REPAM (Rete Ecclesiale Panamazzonica) e della CEAMA (Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia), un organismo ecclesiale che promuove la sinodalità e specifica linee di azione pastorale per creare comunità cristiane capaci di donarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino a dare alla Chiesa volti nuovi con caratteristiche amazzoniche, come ha detto Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia.

Manifestazione per le strade della città da parte delle pastorali sociali della diocesi


E poi ci sono i popoli indigeni, che provocano la nostra riflessione. Alcuni giovani delle tribù indigene sono miei studenti. Nel corso di antropologia filosofica ho attivato un seminario in cui ho chiesto loro di riflettere sulla proposta di uomo e di donna elaborato nei secoli dalle comunità indigena. Dinanzi alla mia proposta mi hanno fatto subito notare, che non sono giovani di un’unica tribù, ma di varie, con lingue e culture differenti. È questa differenza che ci sfugge. Una diversità culturale, che i popoli indigeni hanno difeso e continuano a difendere dall’arroganza tipicamente Occidentale, che si ritiene superiore e migliore. Se la foresta Amazzonica, con tutta la sua ricchezza di biodiversità è ancora al suo posto, lo si deve ai popoli indigeni, che l’hanno difesa e continuano difenderla dall’aggressione vergognosa e predatoria delle grandi multinazionali che, pur di sfruttare il territorio, con le loro ruspe distruggono tutto ciò che si trovano dinanzi, compresi i villaggi dei popoli indigeni, che sono qui da sempre.

Animazione liturgica con alcuni simboli dell'Amazzonia


Camminare ecclesialmente in questo immenso territorio significa mettersi in ascolto, per non rischiare di compiere gli stessi errori di coloro che vengono in Amazzonia solo per sfruttare. Diceva Papa Francesco a Puerto Maldonado, in Perù nel giugno del 2018. “Grazie per la vostra presenza e perché ci aiutate a vedere più da vicino, nei vostri volti, il riflesso di questa terra. Un volto plurale, di un’infinita varietà e di un’enorme ricchezza biologica, culturale, spirituale. Abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione”. Siamo qui in Amazzonia perché abbiamo bisogno di loro, per imparare a convivere con la natura, a rispettarla, ad amarla. Siamo qui per imparare a vivere il Vangelo in modo più semplice ed essenziale. Siamo qui per imparare a fare comunità mettendoci in cerchio, come fanno i popoli indigeni e come è avvenuto al Sinodo appena concluso, per ascoltare tutti e tutte. Siamo molto contenti di essere qui e di condividere questo cammino con voi. 

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