venerdì 2 luglio 2021

LA CHIAMATA: IN CHE SENSO?

 



Paolo Cugini

 

Bisognerebbe avere il coraggio di dire e pensare realmente a quello che s’intende quando si parla di chiamata. C’è molta sovrastruttura spirituale. Ho visto troppe volte, ho ascoltato troppi discorsi, ho incontrato così tanti presupposti “chiamati”, da diventare sospettoso sulle dinamiche della chiamata. Infatti, spesso si spaccia per chiamata ciò che in realtà è frutto di emozioni, suggestioni del momento, fantasie rivestite di mistica, forzature di alcuni ambienti. Spesso si indica come “chiamata” il desiderio di una vita diversa da quello che può offrire una vita matrimoniale, soprattutto per quei giovani che provengono da contesti familiari negativi.

Nel contesto attuale il presupposto “chiamato” alla vita presbiterale viene collocato in un ambiente artificiale per un periodo molto lungo di 6/7 anni, in un momento delicato della vita, vale a dire la giovinezza. Periodo in cui le persone solitamente decidono d’impostare la propria vita verso una direzione, solitamente il matrimonio o la vita a due. Giovani che manifestano un spiccata sensibilità religiosa e un desiderio di una vita differente, donata agli altri, vengono rinchiusi per un periodo prolungato per una formazione prevalentemente intellettuale. Vale la pena dire, anche, che questa formazione intellettuale, non è di alto livello e non è per offrire strumenti per comprendere la contemporaneità, per affrontare la vita attuale. Al contrario, questi giovani sensibili vengono letteralmente imbuniti di nozioni dottrinali, da imparare a memoria, nozioni storiche di contenuti spesso in contrasto con il cammino della scienza.

Il risultato è quello di giovani che escono da questo lungo percorso di studi, non con capacità tali da affrontare in modo lucido e creativo la realtà attuale e le sue sfide, ma come persone vecchie, preoccupate a ripetere in modo esatto dei riti dei quali si considerano gli unici mediatori, con un apparato concettuale appreso, che li trova spiazzati sui grandi problemi della vita dei loro contemporanei. Il dramma è che saranno proprio queste giovani persone con una simile pseudo-preparazione ad essere messi a capo di comunità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Abbandono delle comunità da parte delle nuove generazioni, perché non si sentono per nulla rappresentate da così detti leaders religiosi in grande difficoltà a comprendere le problematiche del tempo presente e, di conseguenza, totalmente incapaci di offrire chiavi di lettura significative per la vita di ogni giorno. Queste leaders religiosi così formati corrispondono all’esigenza di quella fetta di comunità di adulti che identificano il cammino della fede con i riti da partecipare. E così abbiamo una comunità in cui il prete celebra i riti che gli adulti desiderano e organizza attività per il divertimento di bambini e ragazzi.

Forse, però, Gesù pensava a qualcosa d’altro quando parlava alle folle e ai discepoli e alle discepole.

 

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