Paolo Cugini
Bisognerebbe avere il coraggio di dire e pensare
realmente a quello che s’intende quando si parla di chiamata. C’è molta
sovrastruttura spirituale. Ho visto troppe volte, ho ascoltato troppi discorsi,
ho incontrato così tanti presupposti “chiamati”, da diventare sospettoso sulle
dinamiche della chiamata. Infatti, spesso si spaccia per chiamata ciò che in realtà
è frutto di emozioni, suggestioni del momento, fantasie rivestite di mistica,
forzature di alcuni ambienti. Spesso si indica come “chiamata” il desiderio di
una vita diversa da quello che può offrire una vita matrimoniale, soprattutto
per quei giovani che provengono da contesti familiari negativi.
Nel contesto attuale il presupposto “chiamato” alla
vita presbiterale viene collocato in un ambiente artificiale per un periodo
molto lungo di 6/7 anni, in un momento delicato della vita, vale a dire la
giovinezza. Periodo in cui le persone solitamente decidono d’impostare la
propria vita verso una direzione, solitamente il matrimonio o la vita a due. Giovani
che manifestano un spiccata sensibilità religiosa e un desiderio di una vita
differente, donata agli altri, vengono rinchiusi per un periodo prolungato per
una formazione prevalentemente intellettuale. Vale la pena dire, anche, che
questa formazione intellettuale, non è di alto livello e non è per offrire
strumenti per comprendere la contemporaneità, per affrontare la vita attuale.
Al contrario, questi giovani sensibili vengono letteralmente imbuniti di
nozioni dottrinali, da imparare a memoria, nozioni storiche di contenuti spesso
in contrasto con il cammino della scienza.
Il risultato è quello di giovani che escono da
questo lungo percorso di studi, non con capacità tali da affrontare in modo
lucido e creativo la realtà attuale e le sue sfide, ma come persone vecchie,
preoccupate a ripetere in modo esatto dei riti dei quali si considerano gli
unici mediatori, con un apparato concettuale appreso, che li trova spiazzati
sui grandi problemi della vita dei loro contemporanei. Il dramma è che saranno
proprio queste giovani persone con una simile pseudo-preparazione ad essere
messi a capo di comunità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Abbandono
delle comunità da parte delle nuove generazioni, perché non si sentono per
nulla rappresentate da così detti leaders religiosi in grande difficoltà a
comprendere le problematiche del tempo presente e, di conseguenza, totalmente
incapaci di offrire chiavi di lettura significative per la vita di ogni giorno.
Queste leaders religiosi così formati corrispondono all’esigenza di quella
fetta di comunità di adulti che identificano il cammino della fede con i riti
da partecipare. E così abbiamo una comunità in cui il prete celebra i riti che
gli adulti desiderano e organizza attività per il divertimento di bambini e
ragazzi.
Forse, però, Gesù pensava a qualcosa d’altro quando
parlava alle folle e ai discepoli e alle discepole.
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