Paolo Cugini
La notizia è recente: Italia prima in
Europa per corruzione, sorpassando anche Bulgaria e Grecia. Un bel traguardo.
Siamo al 69 posto, al pari del Brasile nella nuova graduatoria stilata da Transparency International, che indica il livello di corruzione dei Paesi nel
mondo. La corruzione in diritto indica, in senso generico la condotta propria
del pubblico ufficiale che riceve denaro (detta tangente) o altre utilità che
non gli sono dovute, creando spesso un danno economico (cfr. Wikipedia). Anno
dopo anno l’Italia sta scalando questo non invidiabile classifica raggiungendo
dati allarmanti. Il problema, però, è che sembra non aver la minima intenzione
di fermarsi. La settimana successiva, infatti, all’apparizione sui giornali di
tutto il mondo di queste classifiche, è esploso il caso del comune di Roma, dell’infiltrazione
della mafia nel potere politico della capitale. Certamente non c’era bisogno di
scomodare Roma su questi temi. I casi dell’Expo di Milano, e di altri casi
simili emersi nei mesi scorsi rivelano un percorso comune, una mentalità, che
ormai è insinuata nel tessuto politico italiano da parecchi decenni.
E’ proprio di questa
mentalità che mi pare necessario parlare, perché sembra ormai infiltrata
dappertutto nel tessuto sociale italiano. Non possiamo più, infatti,
identificare come facevamo un tempo, la corruzione con la politica o la mafia
con il meridione. Troviamo casi di corruzione, di favori personali, di ricerca
del proprio interesse e di uso del bene pubblico per avvantaggiarsi in molti
settori. Allo stesso modo, di mafia se ne parla a Palermo come a Milano, al sud
come al nord. Mentalità di corruzione che porta a cercare il proprio interesse
a scapito del bene comune, a creare sotterfugi e menzogne pur di riuscire ad
accaparrarsi un favore. Mentalità che troviamo nelle relazioni quotidiane, nel
modo di pensare al bene comune, non più come patrimonio da gestire assieme, ma
di depredare, usare, manipolare a proprio piacimento, sfruttare il più
possibile e gli altri che si arrangino. Si capisce molto bene come questa
mentalità sia antitetica al Vangelo, che invita invece a prendersi cura
dell’altro, a donarsi gratuitamente. Viene da chiedersi: come può essersi
formata una mentalità di questo genere in una nazione cattolica come l’Italia,
che ha alle sue spalle secoli di evangelizzazione, che tutte le settimane vede
sul campo eserciti di catechisti di quella chiesa che è presente sul territorio
in modo capillare con le parrocchie. E’ veramente strano. Il sistema di
corruzione che pervada tutti i settori della società e la mentalità mafiosa che
è penetrata sino al nord deve porre dei forti interrogativi alle comunità
cristiane. Se infatti, non si può parlate di connivenza – è quello che ci
auguriamo – certamente il cammino della chiesa italiana di questi ultimi
decenni è stato caratterizzato da troppi silenzi sul mondo politico ed
economico. E’ vero che c’è chiesa e chiesa. C’è la chiesa che sta in prima
linea, nelle parrocchie a contatto con la gente, camminando con loro: su questa
chiesa possiamo stare tranquilli. C’è poi l’altra chiesa, quella dei palazzi,
fatta di persone che troppo spesso non hanno contatto con la vita quotidiana,
che prendono decisioni senza mai sporcarsi le mani. Di questa chiesa possiamo
stare meno tranquilli. Questa chiesa dei palazzi è avvolta da troppi silenzi,
da troppi misteri. In questa chiesa dei palazzi girano troppi soldi. E’ triste
per tutti i cristiani che vivono un quotidiano sempre più caratterizzato dalla
povertà, dalla disoccupazione e dalle difficoltà che nascono da simili contesti,
leggere nei giornali la notizia di un noto cardinale che si è comprato un
attico milionario nel centro di Roma. Che senso ha? Come si fa poi a motivare i
fedeli alla condivisione, all’essenzialità della vita? Che cosa c’entra con il
Vangelo? Perché è cardinale un tizio così?
Anche la chiesa,
purtroppo, non è esente dalla mentalità mafiosa e corrotta. Non è necessario
riferirsi al Vaticano, allo scandalo dello Ior che ogni tanto torna sulla
scena. Non è nemmeno necessario scomodare gli inchini della madonna davanti
alla casa del mafioso locale in alcune processioni del sud. Basta guardare al
modo di gestire il denaro dei fedeli che avviene nelle nostre diocesi o nelle
nostre parrocchie. Quante volte in un passato troppo recente i conti della
parrocchia si sono identificati con quelli del parroco creando confusione dopo
il suo decesso ( i soliti famelici parenti!). Quante volte tra i fedeli
serpeggia il malcontento per i costi milionari della costruzione di edifici o
la restaurazione di altri, voluti dall’alto, con una volontà pochissimo
condivisa a non essere per la richiesta di finanziamenti. Viene da chiedersi se
l’otto per mille sia davvero un bene per la chiesa o se, invece, sarebbero più
evangeliche quelle forme di raccolta fondi più legati alla comunità locale, al
coinvolgimento diretto dei fedeli, come avviene in altri paesi. Ci stiamo
facendo ridere dietro, esattamente il contrario di quello che accadeva con le
prime comunità cristiane. Vogliamo essere chiesa con la mentalità e con i soldi
del mondo: non funziona.
Basterebbero alcuni
piccoli accorgimenti per fare in modo che il Vangelo predicato dall’altare
contagiasse le scelte economiche delle nostre parrocchie e delle nostre
diocesi. In primo luogo un modo più
dialogico (non ho scritto democratico, perché è una termine che in ambito
ecclesiale suscita molte perplessità e antipatie: anche questo è già tutto un
programma!) di prendere le decisioni, soprattutto quando si tratta di decidere
su edifici sia di uso dei fedeli che di raccolte di denaro che li coinvolge.
Perché i vescovi e anche molti preti fanno così fatica ad ascoltare i fedeli?
Perché è così difficile creare degli spazi di ascolto su quei problemi che i
laici sanno gestire molto meglio dei chierici? Quanti pasticci economici
abbiamo dovuto accompagnare a causa di quell’incompetenza che poteva essere
risolta fidandosi di quei tanti generosi e competenti laici che abbiamo nelle
diocesi e nelle parrocchie! E si sa in mezzo ai pasticci i furbi (corrotti)
gongolano. In secondo luogo, basterebbe
mettere in fondo alla chiesa tutti i mesi un foglietto con scritto quello che è
entrato e quello che è uscito. Piccoli accorgimenti che, però, possono
costituire passi enormi nel segno di quella trasparenza che invochiamo nella
società e che ci permetterebbe di testimoniare con più vigore quel Vangelo che
a volte, anche a causa delle nostre incoerenze, sembra un libro di fiabe per
bambini.
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