[Articolo di Luciano Moia e pubblicata sul
quotidiano Avvenire il 22 settembre 2021, p.16]
«Aiutare le comunità a camminare in una prospettiva
sinodale vuol dire anche aiutare a comprendere il significato della pastorale
per le persone lgbt nel cammino della Chiesa». L’ha spiegato nei giorni scorsi
il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, intervenendo al Corso di
formazione per operatori pastorali di persone e gruppi di cristiani omosessuali
che per tre giorni ha radunato alcune decine di sacerdoti, religiosi e laici,
al centro di spiritualità Villa San Giuseppe, accanto al santuario di San Luca,
proprio nel capoluogo petroniano.
Zuppi ha sollecitato ad affrontare ‘serenamente’
questo cammino perché il prezzo da pagare non affrontandolo sarebbe troppo
alto: la sofferenza di tante persone. «Persone che sono fatte così – ha
osservato l’arcivescovo di Bologna – e che sono parte della comunità».
Con l’auspicio che, anche grazie alla pastorale per e con le persone
omosessuali, arrivi un po’ d’entusiasmo per il cammino sinodale e si abbia il
coraggio di andare ovunque: «C’è una marea di gente che sta aspettando, che
pone domande, dobbiamo rispondere in modo vero, concreto, generativo».
Zuppi ha poi proposto un parallelo tra la pastorale per le persone lgbt e
l’impegno per le periferie esistenziali.
«Tra gli inviti di papa Francesco – ha fatto
notare – quello sull’impegno di andare verso le periferie esistenziali è
insieme il più citato e il più disatteso. È un impegno certamente difficile.
Spesso si tratta di andare verso le periferie del nostro cuore, quelle non
chiarite perché troppo complicate, che rendono faticoso andare fino in fondo».
Allo stesso modo la pastorale con le persone omosessuali che, secondo
l’arcivescovo di Bologna, non può essere definita pastorale di frontiera perché
«tutta la pastorale è di frontiera, è nella natura di Cristo andare oltre,
superare i confini». Scomodo sì, ma occorre farlo, superando i pregiudizi,
come appunto quando si affrontano questioni legate alle persone lgbt. Temi, in
ogni caso, che sia dall’intervento di Zuppi, sia dalle riflessioni degli altri
relatori, appaiono non più eludibili perché ritardi e indifferenza si traducono
in altrettante ferite per persone già a lungo ai margini della vita delle
comunità.
Concetti che si ritrovano anche nel testo inviato dal
cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le cause dei
santi, che ricordando il suo incontro con una coppia di genitori con un figlio
gay, ha condiviso la loro sofferenza nel vedere la scarsa accoglienza da parte
della comunità cristiana. «Come è possibile – si chiede Semeraro –
che invece di accompagnare situazioni già di per sé estremamente complesse, noi
rendiamo addirittura più pesante tanta complessità?». Da qui l’invito
all’accoglienza autentica con un approccio che sappia mettere al primo posto
«la maternità e paternità pastorale della Chiesa, perché si tratta innanzi
tutto di figlie e di figli nostri, che vanno accolti prima di tutto come tali,
al di là di aggettivi e definizioni che pure descrivono la loro condizione di
vita».
Ma, ha ribadito il porporato, solo dopo «una sincera
accoglienza si potrà parlare di integrazione nella comunità cristiana, tenendo
conto della particolare condizione di vita, come insegna il Papa in Amoris
laetitia. E l’accoglienza, scrive ancora Semeraro, deve tradursi nella
disponibilità ad ascoltare il loro vissuto, lenire le ferite, accettare la
disponibilità ad avventurarci nelle zone di frontiera «fuori dai nostri confini
culturali, sociali, e perfino ecclesiali».
Ma come tradurre queste indicazioni in prassi
pastorale per le persone omosessuali? Durante il corso di formazione ne hanno parlato
don Gabriele Davalli, direttore dell’Ufficio famiglia della diocesi di Bologna
e responsabile per la pastorale con persone lgbt e don Gianluca Carrega, che ha
lo stesso incarico per la diocesi di Torino (esperienze che riferiamo
nell’articolo qui a fianco). E poi padre Victor De Luna, responsabile
dell’apostolato Courage, che ha spiegato i capisaldi di una proposta che mette
al primo posto castità, testimonianza, amicizia, comunione e servizio.
Un approccio quindi tutto pastorale che, come è
apparso da tutti contributi – tale anche lo spirito del Corso di formazione –
preferisce lasciare sullo sfondo le questioni dottrinali. Perché solo uno
sguardo pastorale – hanno spiegato nelle conclusioni padre Pino Piva, gesuita
esperto di pastorale di frontiera e Gianni Geraci – può favore l’integrazione
delle persone omosessuali nella comunità cristiana.
«Due le prospettive considerate urgenti: quella dei
‘single’ lgbt, perché la loro condizione nella Chiesa li pone in una situazione
di ‘regolarità’ nei confronti delle norme ecclesiastiche e quindi dovrebbe
permettere loro di inserirsi apertamente e pienamente nella comunità cristiana
anche a partire dal loro orientamento».
Più problematica la questione delle coppie
omosessuali. A questo proposito Piva e Geraci hanno proposto un parallelo con
le coppie divorziate in seconda unione, secondo quanto spiegato nel capitolo
VIII di Amoris Laetitia che affronta la questione in modo inclusivo. «Se
anche per le persone omosessuali vale l’obiettivo di accogliere, discernere e
integrare, perché non estendere anche a loro gli stessi criteri pastorali
dell’Esortazione postsinodale?».
Il Tema del corso
La proposta del cardinale Zuppi al Corso per operatori
con persone omosessuali: sono periferia esistenziale Il cardinale Semeraro:
invece di accoglierli troppo spesso rendiamo più̀ pesante questa complessità̀.
Al Corso di formazione anche l’intervento di don Gianluca Carrega (Torino): «Queste
persone chiedono di essere accompagnate e formate. È ora di uscire da una
pastorale di nicchia»
Il Vescovo Russo: segno del volto materno della Chiesa
Al
Corso di formazione per accompagnatori spirituali e operatori pastorali per
gruppi e persone omosessuali è arrivato anche il messaggio del vescovo Stefano
Russo, segretario generale della Cei che, rivolgendosi a padre Pino Piva,
organizzatore dell’evento, ringrazia per l’impegno profuso «segno di quel
volto materno della Chiesa a tutti caro» e auspica in un prossimo incontro
di «condividere quanto di prezioso state facendo». Nei mesi scorsi agli
operatori pastorali impegnati con persone e gruppi omosessuali si era rivolto
anche il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, con una lettera
riservata in cui esprime grande vicinanza e condivisione per le persone
impegnate in questo apostolato, assicurando gli aiuti necessari per questi
itinerari di integrazione ecclesiale.
Il Corso concluso nei giorni scorsi fa parte di un
progetto che ha già visto un modulo di approfondimento teologico svoltosi a
febbraio con gli interventi di Damiano Migliorini, don Stefano Guarinelli,
Chiara D’Urbano e padre Giovanni Salonia. Mentre a giugno il modulo proposto ha
approfondito gli aspetti teologici con don Aristide Fumagalli, Cristina
Simonelli, don Basilio Petrà e don Gianluca Carrega.