ASPETTI DEL DISAGIO SOCIALE
Paolo
Cugini
Dodici
Morelli (FE), ottobre 2022
Mi
è capitato questa estate in alcune circostanze all’interno delle attività
pastorali organizzate dalle parrocchie per i bambini e i ragazzi delle
superiori, di avere la sensazione che alcuni genitori non avessero la capacità
di gestire i propri figli. Ciò avviene quando il genitore non riesce più a
guidare il proprio figlio, la propria figlia, non riesce più a farsi ubbidire.
In alcuni casi, ho assistito alla penosa scena del figlio che sgrida il
genitore, e quest’ultimo non reagisce dinanzi alle ingiurie del figlio. Che
cosa è successo? Come si può arrivare ad una simile situazione? Prima di dire
qualcosa sulle cause, vorrei soffermarmi sulla gravità del caso.
Quando
il genitore perde il controllo sui propri figli, a livello sociale si apre un
dramma. Viene, meno, infatti, la possibilità di un patto educativo, che
dovrebbe vedere coinvolte tutte le agenzie educative di un territorio: la
scuola, la famiglia, la chiesa, la società sportiva, la piazza. Venendo meno il
genitore, sparisce l’anello fondamentale e il ragazzo diviene una mina vagante
nel senso letterale del termine: può scoppiare in ogni momento.
In
questi anni vissuti in questo territorio, purtroppo ne ho isti parecchi di
ragazzi scoppiare. Son adolescenti fragili, ma che si atteggiano con arroganza
come se fossero i signori del territorio, per il fatto che hanno alle loro spalle
non genitori che li accompagnano in un cammino educativo, ma che sono loro
complici, oppure, e capita spesso, sono totalmente assenti. Un adolescente che
scoppia ne trascina con sé altri, anche perché il fascino della trasgressione negativa
è contagiante a questa età. Una bravata adolescenziale assume grandi
significati simbolici che, se non letti in tempo, possono generare, anzi
degenerare, in una serie di vandalismi che, con il tempo, diventano
incontrollati.
La
soluzione plausibile che intravedo in questi casi non sta nelle istituzioni, ma
in quegli adulti che in diversi campi come lo sport, l’associazionismo, la
religione, sono abituati a relazionarsi e ad agire in modo gratuito e
disinteressato. Tutti, infatti, vedono le situazioni negativi generate da
questi adolescenti a rischio, ma nessuno si muove e. questo non solo per paura,
ma soprattutto per menefreghismo. Chi fa un passo verso questi ragazzi fragili
è quell’adulto che è abituato a prendersi a cuore le persone più fragili, che
sa vedere dove la situazione può sfuggire di mano. Solitamente questi adulti
non agiscono da soli, ma sono parti di gruppi – sportivi, religiosi,
associativi, ecc.- e, di conseguenza, spesso riescono a coinvolgere altri in
questo lavoro di recupero sociale e individuale.
Un
aspetto importante che ho imparato nel tempo è che l’adolescente che fa delle
bravate, oltre a farlo per attrarre l’attenzione su di sé, che è una forma di
linguaggio non verbale, una sorta di grido di aiuto, non ha gli strumenti umani
per reggere un confronto con un adulto che prova ad accompagnarlo. Ciò
significa che, spesso e volentieri, l’adolescente cede alla distanza, soprattutto
quando incontra un adulto che cerca di comprenderlo, che si pone sul suo
cammino evitando il giudizio e, soprattutto, quando capisce che l’adulto non ci
molla. Nella mia storia di educatore di strada, mi è capitato speso d’incontrare
adolescenti estremamente aggressivi nei miei confronti e, alla distanza,
divenire miei amici o, addirittura, miei collaboratori.
Conclusione. Se nei nostri paesini incontriamo adolescenti che passano le giornate seminando il panico, cerchiamo di non perdere la pazienza e proviamo a metterci in cammino con loro. In fin dei conti, con quelle gesta scomposte, stanno semplicemente chiedendoci aiuto.
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