sabato 26 settembre 2020

INIZIO E SVILUPPO DELL'IMMIGRAZIONE IN ITALIA

 MASTER MIGRAZIONI - UNIVERSITÀ DI BERGAMO



SABATO 26 SETTEMBRE 2020

Prof.: Paolo Barcella

Sintesi: Paolo Cugini

Come sono andate le cose a partire dagli anni ’70 in Italia?

 L’Italia è un vero e proprio caso di studio per l’intreccio impressionante di dinamiche di mobilità di massa che si sono mosse nel tempo. ’45-73: sono stati periodizzanti anche per la migrazione, anche perché l’anno ’73 i flussi migratori subiscono un arresto. Contemporaneamente tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 si avviano nuovi flussi di mobilità internazionale extra lavoro. Nel momento in cui l’Asia e l’Africa cominciano ad entrare in Europa è la fine degli anni ’60. Una nuova fase periodizzante è il 2008-2009, anno della grande crisi economica, che produce nuovi flussi migratori. È in questo periodo che l’Italia torno ad essere una terra di migrazioni.

I flussi migratori della fine degli anni ’60 investono anche l’Italia. C’era un documento del ’63 che regolava il lavoro degli stranieri in Italia. Le migrazioni in quella fase anni ’60 sono composte da diverse categorie di soggetti di cui gli apripista erano stati in parte gli immigrati post coloniali; esuli politici, studenti stranieri. Il lavoro domestico è il primo segmento al quale fanno riferimento lavoratrici che provengono soprattutto da paesi africani legati all’Italia da un trascorso coloniale. Alla fine degli anni ’60 abbiamo già una presenza migratoria consistenza in Friuli e Sicilia. Le altre regioni fanno i conti con la migrazione interna in modo sempre più massiccio. All’inizio degli anni ’60 viene abolita la legge fascista che proibiva il trasferimento nelle città. Altra forma migratoria è la migrazione a rimbalzo: dalle città del Nord Italia, i migranti provenienti dal Sud passano ad altre città in Europa. Si creano flussi di mobilità estremamente complesso.

Ci sono comunità in Sicilia che vendono prodotti che si trovano solo in Germania. Questo perché i migranti transitati dalla Germania hanno preso l’abitudine a consumare queste bevande e le esigono sui loro scaffali in Sicilia.

Polemiche antimeridionali. Roberto Sala ha scritto studi sugli stereotipi dei lavoratori degli immigrati del Sud in Baviera, che erano gli stessi di coloro che andavano a lavorare a Torino.

A partire dalla fine degli anni ’60 la situazione si modifica, i flussi cominciano a divenire senza più consistenti. C’è una prima fase di crescita con l’immigrazione che inizia anche a diffondersi in tutto il paese e a partire dagli anni ’70 si diffonde e cominciano gli immigrati ad entrare nei nuovi segmenti del mercato del lavoro. Peculiarità italiana: negli anni’70 l’emigrazione verso l’Italia non era derivata dalla richiesta di forza lavoro da parte del settore industriale. Arrivano migrazioni che entrano in settori economici marginali e produttivamente arretrati. Migrazione che viene impiegata alla pesca, agricoltura, domestica. Si lavoro tanto male e si guadagna poco. Queste ondate migratorie in Italia avvengono mentre il tasso di disoccupazione è ancora alto. 

Disoccupati provenienti dal mondo rurale del Centro Sud che volevano trovare un altro tipo di impiego. L’Italia era un Paese che aveva educato la sua popolazione all’idea di meritare degli standard di vita molto più alti di quelli che il lavoro in agricoltura potesse consentire. Si cercava lavoro nel settore industriale per poter vivere uno stile di vita, che era quello che la televisione diffondeva. Nascono i tormentoni dell’estate. C’è un mondo nuovo al quale si vuole partecipare. L’obiettivo delle vacanze al mare è l’immaginario che si vuole vivere. Restavano altre professionalità vuote, che venivano riempite da quei soggetti disponibili a fare una prima tappa. In quel periodo il valore della moneta italiana era alto e permetteva di costruirsi un gruzzolo per ritornare poi in Africa. Questo aspetto è decisivo per capire la storia della migrazione italiana.



Alla fine degli anni ’70 si sviluppa un dibattito sempre più acceso sul fenomeno migratorio da una prospettiva rovesciata. Si comincia a dibattere di migrazione in arrivo, di mobilità in entrata. Questo dibattito coinvolgeva politici, giornalisti, sindacati, studenti. I sindacati sono i primi a fare pressioni sul Governo Italiano per elaborare una nuova organizzazione. C’è il dilemma dei posti di lavoro. Per i lavoratori stranieri il primo lavoro in Italia era un trampolino. Cercano lavoro nel settore industriale. Marocchini, Senegalesi che entrano nell’industria metalmeccanica, regolati con contratti.

Il sindacato è il primo ad accorgersi. I sindacati vedevano la mobilità come una cosa lecita perché gli stessi italiani si muovevano. Fanno pressione e il Governo comincia ad occuparsi di questi lavoratori, anche perché il sindacato fa presente che ce n’erano molti in modo irregolare, usati come strumenti a ribasso sui salari.

Tra il ’78 e l’81 si passa da 200 mila lavoratori immigrati a 300 mila. Secondo i sindacati sono più di mezzo milione e per la maggior parte irregolari.

Il ’78 è l’anno in cui si riunisce per la prima volta il Comitato interministeriale per le migrazioni per riflettere sull’immigrazione. È il sintomo di una peculiarità italiana nel senso che sono gli organi che si sono occupati della migrazione a gestire l’immigrazione nella sua fase iniziale. Sono le persone che lavorano in quegli organismi che sono gli stessi che lavoravano nella fase antecedente quando si trattava di gestire l'emigrazione italiana. Sono le stesse chiavi di lettura che vengono applicate. Anche l’atteggiamento internazionalista e di apertura che aveva caratterizzato l’atteggiamento fino a quel punto, lì rimane. Dove i cambiamenti sono più fragili è dove la trasformazione non tocca i funzionari. Esempio di questo è stato Cuba dove tutti i quadri sono stati cambiati da Fidel Castro. Morales in Bolivia per esempio non è riuscito a sostituire tutti. L’Italia dell’epoca gestiva l’immigrazione con la testa che aveva gestito l’emigrazione italiana all’estero.

La legge Foschi, lui era stato ministro del lavoro. Foschi nel suo lavoro recepisce le osservazioni che provengono dal mondo associativo italiano che proprio perché si era mosso sul terreno dell’emigrazione aveva una prospettiva della mobilità in entrata, aveva principi di giustizia sociale.

Anni successivi. Tutto cambia molto rapidamente perché il tema dell’immigrazione inizia a diventare un tema rilevante anche per la stampa. Alla fine degli anni ’90 l’immigrazione diventa notiziabile. Non se ne parlava mai. Sono anni in cui inizia a comparire sempre più articoli sui giornali che raccontano di queste vicende di uomini e donne che arrivano in Italia., ’88-‘89: c’è un momento di svolta è il biennio in cui iniziano ad esplodere casi di conflittualità sociale forte e iniziano ad essere scritti libri (Bocca, gli italiani sono razzisti?). Si comincia a problematizzare la presenza degli immigrati in Italia. C’è la percezione di un’invasione. Si percepisce un’invasione povera, pacifica, non assimilabile. “Questi arrivano con il miraggio di una vita migliore. L’Italia non deve essere sembrata paradisiaca" (Bocca). Nuovo razzismo degli italiani.

L’attenzione popolare comincia a crescere molto e il dibattito non è più solo di tecnici e comincia ad essere affiancato dal discorso pubblico. Il momento in cui la piena realizzazione di questo nuovo immaginario dell’immigrazione tra il popolo italiano si trova al Festival di San Remo del 1983. “Dove sei nato tu il sole brucia la pelle”. Il racconto di una canzone che narra di una massa di gente con la speranza di trovare fortuna però si dice che sarà amaro quello che troveranno.


Cambia completamente il paradigma, la modalità di narrare il fenomeno. Si consolida un canone narrativo: la dimensione dell’invasione era entrata in modo decisivo. Arriva molta gente dall’Est Europa. Nel 2001 in Italia abbiamo già 1 milione e 335 mila immigrati. L’Italia è un paese in cui gli immigrati sono una presenza significativa. Nel 2008 il numero raddoppia. Nel 2020 ci sono 5 milioni di presenza.

È una presenza lunga di 60 anni e strutturale nel Paese e si è diffusa in tutti i settori economici e, in parte, regge alcuni settori economici. Il nostro sistema previdenziale si regge in buona parte grazie ai lavoratori di origine straniera. Il nostro sistema previdenziale recupera una grande quantità di denaro dal lavoro straniero. Il nostro sistema previdenziale sino ai primi anni ’90 erogava una minima pensione ai lavoratori stranieri. L’immigrazione Senegalese è stata all’inizio, la più consistente. A Dakar c’erano gli uffici dell’INPS. È stata abolita perché era denaro che usciva dal Paese, creando situazioni problematiche, favorendo il lavoro nero.

Lavoro domestico. Si capisce la migrazione in Italia negli anni 2000. In particolare questo segmento e la forte presenza di lavoratrici straniere ci aiuta a comprendere la dimensione di genere che hanno alcune comunità migrante in Italia. Alessandra Gissi, Le estere. Immigrazione femminile e lavoro domestico in Italia. Ragiona sulla prima stagione.

Negli anni’70 la presenza di lavoratrici donne impiegate come colf era importante. Secondo il Censis risultavano attive alla fine degli anni ’70 100 mila lavoratrici domestiche straniere, di cui solo il 20% era stata regolarizzata. Si capiva dal fatto che l’INPS ne captava solo 20 mila, Fenomeno che ha continuato essere molto consistente ed è un settore facile all’occultamento.

Questo lavoro intercetta alcune caratteristiche della società italiana. Da un lato il nostro modello di welfare, dall’altro i rapporti di genere, relazioni tra le classi sociali e il rapporto tra pubblico e privato.

Modello di welfare: alcune attività non sono considerati servizi di cui lo Stato si deve occupare, perché sono a carico delle donne di casa. L’Italia non ha un sistema di asili dai 3 ai 6 anni, perché è un paese dove si conta sulle donne. C’è l’ambito del privato cattolico.

Rapporto tra le classi. In Italia l’emancipazione delle donne di classe media avveniva caricando la funzione di cura della casa su donne di classe inferiore. Abbiamo avuto una classe media che è andata nella direzione in cui l’uomo e la donna lavoravano fuori. Emanciparsi dal lavoro domestico era un modo per emanciparsi.




Il lavoro domestico salariato è stato sempre un settore di passaggio: chi veniva impiegato lo faceva per una fase breve, legato alla mobilità. La donna che faceva i lavori domestici nell’800 era una ragazzina.

Negli anni ’70 inizia in Italia una sostituzione nel senso che le donne italiane impiegate sono divenute di meno, mentre entravano sempre più le donne straniere, inizialmente provenienti dalle ex colonie. 

 Altre fuggivano dalle guerre civili (Eritrea), oppure per evitare lo stigma provocato dal fatto di avere avuto figli illegittimi.

Si andava dove si aveva un’amica. Al 33% erano agenzie che si occupavano di inserimento di donne lavoratrici che reclutavano donne che volevano partire, Le altre partivano attraverso contatti diretti con i datori di lavoro, con strutture cattoliche, parrocchie, ecc.

Siamo negli anni ’80-’90 quando le donne sono oramai parte del panorama urbano italiano. Importante sono le modalità d’inserimento. Donne che non avevano compagni appresso e che costruiano le proprie reti di socialità femminile, che si andavano ad innestare sul territorio. Reti sbilanciate sul versante di genere, che agivano a diversi livelli, come centri di organizzazione, animazione del loro tempo libero. Reti di relazione che funzionavano come agenzie di reclutamento. All’interno di quelle reti di donne si creavano le condizioni a contattare altre donne del loro paese di origine. Ci deve essere un rapporto di fiducia. Hai bisogno di conoscere le persone visto che andranno a vivere in casa.

L’Italia vede proliferare realtà di associazioni di donne straniere. Per alcune donne che provenivano da comunità cattoliche è stato rilevante un rapporto nuovo con il mondo cattolico italiano. Ci sono state congregazioni religiose femminili nate con l’obiettivo di occuparsi di queste donne straniere.

A partire dagli anni 2000 si assiste ad un cambiamento demografico in Italia che ha inciso sulla tipologia del lavoro domestico. L’Italia nel dopoguerra esplodeva di giovani.

Nigeria ci sono 300 milioni di abitanti e in Italia 60. L’età mediana in Nigeria è di 18 anni, l’Italia 45. Oggi l’Italia è un popolo che va invecchiando. Ad una certa età si comincia a perdere autonomia mano a mano che si presentano malattie. L’Italia è divenuto un Paese di anziani benestanti.

Italia del dopoguerra aspettativa di vita era 62 anni. Oggi passa di 80.

Il modello di welfare familiare basato sulla donna che si occupa dei piccoli e degli anziani è stato messo in discussione. Oggi le donne non intendono badare dei loro genitori anziani. Pagare qualcuno che fa assistenza 24 ore al giorno ad un anziano costa molto. I ricoveri hanno dei costi alti. Per questo, diventano sempre più presenti le donne dell’Est, anche per problemi razziali. Alla maggior parte delle famiglie italiane una presenza africana fa problema. Entrano a migliaia tanto che dopo la Bossi-Fini si fa la sanatoria per regolarizzare 700 mila badanti. Erano presenti in modo irregolare perché in casa non metti il primo che passa, ma lo vuoi conoscere prima di fare il contratto. Il meccanismo che si crea è che le donne entravano nelle case, ci restavano un tot di mesi sino a quando si creavano una condizione di fiducia. Diventano visibili anche se clandestine. Non rappresentano un problema di ordine pubblico. Era evidente che la funzione che svolgevano era importante. Diventavano a far parte della famiglia. Senza contratto voleva dire senza ferie, una condizione di subalternità totale ai loro datori di lavoro. Sono stati anni in cui abbiamo avuto in Italia un brulicare di figure femminile che vivevano una condizione di vita non molto diverso da quello delle schiave africane che lavoravano nelle case dei padroni americane.




Sono registrati anche tutti i conflitti anche quando queste donne provavano a chiedere una regolarizzazione. Ciò significava pagare le tasse e poi occorreva garantire le ferie. Alcune di queste donne hanno sperimentato periodi di semireclusione. Vivevano da mattino a sera per anni recluse in casa, lontano dalla famiglia di origine, dai figli. Le loro regioni di origini si trovano nuclei famigliari composti da padri con figli.

Quando moriva un anziano e la donna che lavorava in casa lavorava in nero, finiva sulla strada.

Qualche dato. Se andiamo a studiare le comunità migranti troviamo delle composizioni di genere sbilanciate in relazione al segmento professionale di riferimento principale di quella nazionalità. Ci sono comunità migrante a prevalenza maschile perché il segmento di lavoro predilige il maschile. Ci sono, invece, alcune comunità come la Moldavia, Ucraina e Brasiliana, sono prevalentemente femminile. La componente femminile è bassa per i cittadini egiziani, tunisini, e del Bangladesh. Nel 2016 la comunità ucraina era composta da donne per l’80%. 

Prospettiva che riguarda la migrazione e lo studio della migrazione dal punto di vista della storia dei luoghi, della trasformazione dei luoghi, che sono trasformazioni subite dai luoghi stessi. La storia della migrazione è anche storia delle trasformazioni di spazi, luoghi, anche perché sono fenomeni che originano qualche squilibrio. Le migrazioni sono fenomeni antichi – l’Europa nel ‘500 aveva una mobilità del 10% - che producono una sedimentazione di strati di spazio che in qualche modo è testimone di passaggi. Lo si coglie nell’urbanistica. Occorre anche ricordarsi dei luoghi di partenza che mutano anche loro. Ci sono migrazioni funzionali al mantenimento ai luoghi di partenza, Ci sono invece migrazioni che contribuiscono alla desertificazione economica e sociale.

Migrazioni che non compromettono gli equilibri demografici, che non riducono la popolazione alle solo classi produttive. Quando ci troviamo di fronte a migrazioni che si muovono nell’ottica dello sganciamento totale dei migranti e di una desertificazione dell’area produttiva, si configura nel venir meno del territorio di partenza di tutte le forze produttive. Nei luoghi di arrivo le migrazioni contribuiscono a trasformare il territorio. Si assiste ad un rimescolamento della popolazione, attivazione di attività produttive nuove, sviluppo di particolare aree urbane; è sempre un fenomeno che produce una ridefinizione delle caratteristiche estetiche. Non esiste nessun territorio che non sia stato processo di un continuo mutamento dovuta agli spostamenti. Di questo c’è traccia nelle città. Ci sono stati di sedimentazione di masse migranti passate sul territorio. Una delle città più interessanti in questo senso è Milano, che anche vista della trasformazione dello spazio è molto interessante. Milano è una città è stata sempre nella sua storia un luogo di attrazione. Al centro di mobilità umane, sin dal medioevo. È sempre stata una città con forte attrattiva perché è sempre stata un centro di traffico, di commercio, ricca di mercati e così capace di attrarre forza lavoro. Le città che hanno un profilo come quelle di Milano offrono la possibilità di analizzare strati di sedimentazione umana. Già nel 1600 Milano ha al suo interno sistemi migratori molto ben definiti, che portavano in città migranti che provenivano da altre regioni d’Italia o da città del Canton Ticino, tedesche. Milano era già un territorio segmentato dal punto di vista della presenza etniche. Manovali che provenivano dalle vallate del Canton Ticino per svolgere lavori pesanti che era il facchino, cioè trasportatori di beni di vario genere, che dovevano essere trasportati da una parte all’altra della città. Sarebbe anacronistico pensare che questo tipo di mobilità non provocassero conflittualità con la popolazione locale. Già gli stessi Ticinesi erano soggetti visti con stereotipi diffusi tra la popolazione autoctona che vivevano a Milano, Erano considerati gente rozza, ignoranti, ecc. e con i quali la popolazione autoctona non voleva avere a che fare se non per motivi di lavoro. La città di Milano aveva sviluppato il quartiere per lavoratori ticinesi con le loro chiese di riferimento. Quella ticinese era una comunità prevalentemente maschile e si distinguevano con la loro modalità d’inserirsi nel mercato di lavoro.




Troviamo la componente delle classi sociali più elevate che hanno avuto influenza sui secoli precedenti. Erano soggetti legati al commercio e in seguito all’industria. Nell’ottica di una mesaa in discussione dell’immaginario su una presunta autenticità di alcune ulture, Milano è interessante vista dalla prospettiva che hanno avuto il modo di strutturarsi delle comunità inglesi, svizzere, tedesche. Gli svizzeri hanno contribuito in modo sostanziale allo sviluppo della città. Al primo censimento della città di Milano del 1961 solo metà dei residenti era nata a Milano. Questo fenomeno diventerà sempre più importante anche grazie all’industrializzazione. Le forme delle migrazione sono cambiate nel corso di questa stagione.

Effetto di cancellare i sistemi sociali precedenti, gli assetti culturali, gli equilibri. S’impongono nuove realtà, soggetti nuovi con caratteristiche diverse. Nella prima metà del ‘900 Sesto san Giovanni era descritta come una città divisa tra vecchia e nuova quella industriale, che veniva così definita per sottolineare l’estraneità. Era altra perché vissuta da operai che venivano da fuori. Interessante è il fatto che se leggiamo i giornali dell’epoca si vede già tutte le polemiche sui forestieri microcriminali; dove c’è migrante c’è più criminalità e danno la misura come alcune dinamiche siano strutturali e si producono all’interno di realtà che vivono certi processi. Tra il 1951 e 61 a Milano arrivano 300 mila persone. Con l’abolizione delle leggi sulla migrazione interna, nel solo ’62 arrivano 100 mila meridionali. Questo spiega anche le proteste dei milanesi. Tutta la cintura industriale milanese vive processi di questo genere. L’impatto sul territorio è impressionante. Esistevano vere e proprie baracche.


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