Ripropongo
un brano preso da una bellissima poesia dello scrittore francese Charles Péguy
sul tema della speranza. Penso ci possa aiutare per comprendere che la fatica
di credere in un mondo migliore non è solo nostra: anche Dio spera per noi e
con noi. Così si esprimeva Péguy nel 1911:
La fede non mi stupisce
Non è stupefacente
Risplendo talmente nella mia
creazione.
Nel sole e nella luna e nelle
stelle.
In tutte le mie creature…
La carità va da sé. Per amare il prossimo c’è solo da
lasciarsi andare, c’è solo da guardare una simile desolazione. Per non amare il
prossimo bisognerebbe farsi violenza, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi.
Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio.
Riprendersi. La carità è tutta
naturale, tutta zampillante, tutta semplice, tutta alla buona. È il primo
movimento del cuore. È il primo movimento che è quello buono. La carità è una
madre e una sorella…
Per non amare il prossimo,
bambina, bisognerebbe tapparsi
gli occhi e gli orecchi. A tante
grida di desolazione…
Ma la speranza, dice Dio, ecco
quello che mi stupisce.
Me stesso. Questo è stupefacente.
Che quei poveri figli vedano come
vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina.
Che vedano come vanno le cose
oggi e che credano che andrà meglio domattina.
Questo è stupefacente ed è
proprio la più grande meraviglia della nostra grazia.
E io stesso ne sono stupito.
E bisogna che la mia grazia sia
in effetti di una forza incredibile.
E che sgorghi da una fonte e come
un fiume inesauribile. Da quella prima volta che sgorgò e da sempre che sgorga.
Perché le mie tre virtù, dice Dio. Le tre virtù mie creature.
(Charles Péguy, da Il
portico del mistero della seconda virtù, 1911)
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