Una recensione ruspante, firmata da un inguaribile bibliofilo non teologo.
“Una recensione e non un riassunto!”
Quel “piu” in piu’ rispetto al titolo “Il nome di Dio non e’ Dio” che Don Paolo, di seguito A., mi aveva proposto in origine (o “in principio”…?) devo dire che mi ha spaesato in prima battuta: cosa voleva dire? Che dapprima il nome di Dio era Dio e poi aveva smesso di esserlo?! E perche’ mai ??
Poi, una volta ricompostomi, ho deciso di andare oltre il titolo; e di applicare una tecnica recensoria gia’ sperimentata in passato con altri tomi o articoli, magari di Medicina, materia piu’ attinente alla mia professione: una sorta di tecnica inversa consistente nel prima leggere tutto e tutto d’un fiato, ma parola per parola, e solo dopo skimmare ossia rileggere, scorrendo il testo e saltellandoci dentro, soffermandomi soprattutto sui passaggi evidenziati nella prima lettura ( di solito faccio il contrario).
E l‘ho fatto.
Prima ancora di rimboccarmi le maniche per analizzare lo scritto mi sono ovviamente dovuto chiedere, conoscendo A.:”Chissa’ cos’altro di sovversivo avra’ escogitato stavolta il Nostro?!”.
Nessuna escogitazione, invece, piuttosto un profluvio di “incogitazioni”, mai contorte, sempre dannatamente energiche e purtuttavia dannatamente accettabili, incogitazioni incardinate si badi bene nel pivot noetico centrale che sorregge tutto cio’ che A. scrive fin dai tempi del suo percorso formativo seminariale: il paradosso, certamente intrippante e per alcuni imbarazzante, del prete che dice male, senza pero’ “male-dirla”, della Chiesa alla cui struttura egli stesso appartiene!
Ed eccola qui la mia libera ANALISI TESTUALE.
I refusi sono ubiquitari nelle produzioni letterarie di A.: non e’ infatti il suo primo libro che leggo. Ce ne sono parecchi qui, specie all’inizio. Refusi veniali, intendiamoci, ma sempre refusi.
I refusi sono la sua firma.
Dunque sopprimo ed archivio l’impulso ad offrirmi volontario per la correzione di bozze del prossimo libro che son sicuro A. ci sfornera’ tra non molto tempo se e ‘ vero che l’altro suo distintivo personologico e’ l’incontenibile graforrea: perche’ mai impedire la sua firma ?!
Le citazioni dei versetti biblici arrivano subito e lasciano un segno diverso ( oggigiorno citare la Bibbia e’ divenuto un “esercizio letterario diffuso” tra intellettuali, vedi Massimo Recalcati con la sua comunque interessante uscita “bibbiofila” in questi giorni nelle edicole) perche’ capisci bene che qui esse sgorgano dal di dentro della sua esperienza “in trincea”. Citazioni viscerali e collaudate; non libresche, insomma.
Idem per le metafore che “attaccano” nel senso di fare presa perche’ anche loro sono DENTRO il racconto. Sono citazioni e metafore a mio avviso provviste di uno stile e finanche di una sostanza di gran lunga piu’ convincenti rispetto ad altri Biblisti e divulgatori di chiara fama. Mi viene in mente il Mons. Ravasi ad esempio della sua comunque splendida “Breve storia dell’anima” : li’ la metafora del fiume non funziona e le citazioni delle Sacre Scritture risultano appropriate ed incontestabili si’, ma un po’ freddine.
La parola “cammino” ricorrente piu’ e piu’ volte in tutto il testo non trova a mio avviso corrispondenza con il RITMO del testo, un ritmo house con rewind tanto improvvisi quanto bruscamente godibili; sono rewind o sterzate che ti fanno sentire su di una bicicletta piu’ che a piedi. Una bici muscolare, sibbene ( e questo richiama il suo peculiare dato biografico di prete pedalante fuor di metafora in qualunque strada del Mondo terreno … e pedalera’ siam sicuri anche nell’Aldila’, tra molti decenni …). Una bici non certo elettrica, ma caso mai “eclettica”, rigorosamente adoperata rifuggendo la pedalata normale e prediligendo l’impennata.
Sempre dritti, su di una ruota sola.
Ma il libro in parola a ben vedere e’ tutto un’impennata !
Anche quando A. ci tiene per mano, all’inizio , sulla riva del fiume e nel camminare sente sul suo volto il fruscio del vento, quel fruscio lo sente si’, ma non perche’ cammina, ma perche’, e noi lo sappiamo, lui sta pedalando, veloce, inarrestabile…
Nel capitolo 2 eccoci regalata un minimo di alfabetizzazione; e allora e’ preziosa la definizione dell’Intuizione come “partecipazione alla forza creatrice” (e qui a me non puo’ non tornare in mente C.G. Jung ed il suo conoscere prima di sapere). A seguire qualche discrasia: a pagina 39, nona riga, quel “visoni” non piacera’ agli animalisti, ok (!). E poi alla pagina successiva, in fondo, ho sperato davvero (solo per pochi secondi perche’ ho capito ben presto che non sarebbe arrivato) nell’aneddoto, che avrebbe certamente spezzato una dissertazione teoretica credo un po’ troppo lunga. Dopo quel promettente “un giorno” sarebbe bastato insomma un aneddotino, una metaforina... e invece niente di niente! Sigh!!
A pagina 41 l’invocazione implicita: i limiti non solo non maltrattiamoli, ma ...AMIAMOLI! Caspita: ce ne vuole di coraggio, pero’!
E poi la magia irrompe al paragrafo successivo con la scommessa di “sopravvivere alle ferite mortali”, impresa per definizione inesorabilmente impensabile perche’ se e’ mortale muori, punto!
Di seguito colpisce il caveat pedagogico sull’allevare giovani “smidollati “ “nel mondo della borghesia” ed altre immagini forti cone le “idee anchilosate”; e poi il warning sui social che, gioco di parole, “non ti fanno stare nel sociale”.
Il Capitolo 4 tratta delle sovrastrutture sociali e lo fa pero’ con una brutta partenza laddove ad A. scappa l’espressione eccessivamente pantoclastica e un pelino birichina del “perdersi nell’entusiasmo della demolizione”. Poi A. si ravvede ed usa opportunamente la diplomazia camuffando le parole demolizione/distruzione con “decostruzione”, lemma che riprende e sviluppa egregiamente piu’ avanti: ok, perdonato !
E’ nel Capitolo 1 della II parte che si raggiunge l’acme della profondita’ teologica almeno per chi teologo non e’, io penso. Li’ si giunge alla negazione della negazione: “la negazione della dimensione personale di Dio non conduce all’ateismo”.
D’accordo.
E’ da pagina 88 a 93 che troviamo il nucleo del libro: sono pagine dense, da leggere 2 volte se si eà digiuni di Teologia (io le ho lette 3 volte). Ma se lo fai poi vai in discesa.
Qui la crisi inarrestabile del clero viene ben descritta, senza pieta’ ne’ peli sulla lingua, da chi di clero ne sa qualcosa, anzi di “cleri” ne sa qualcosa per averne girati ed abitati, tra gioie e sofferenze, di tutti i colori: cleri occidentali e cleri latino-americani, a volonta’. Viene descritta detta crisi da chi non inorridisce affatto di fronte all’ipotesi di potenziare le “guide di comunita’”, di eleggere direttamente i Vescovi partendo dalla base ossia dal Popolo di Dio, ecc. ecc.
Il Capitolo successivo, il “Mondo Interconnesso”, cala la Teologia nel mondo reale.
Vi sono recuperati e posti l’uno accanto all’altro pensatori classici Ellenici, Autori innovativi come Leonardo Boff e si cita, per me a sorpresa, il grande (e cinico) “non Teologo” Eduardo Galeano (pagina 160, cit.2); sempre li’, spinti dall’amore per un sapere (la filosofia) che e’ anche sapere scientifico-astronomico-fisico, si toccano argomenti affascinanti come l’infinitezza dell’Universo.
Ci si avvia, con qualche ripetizione di concetti teorici pero’ cosi’ potenti e cosi’ dirompenti che la loro ripetizione non solo giova, ma piace pure, verso il secondo ganglio vitale del libro, quello che dalle pagine 202 in avanti tratta dei concetti di sinodo e di misericordia in chiave dichiaratamente Bergogliana.
Ed e’ a questo punto, conoscendo Don Paolo, che aumenta la suspence: quanto sara’ grande e nel contempo acuminata la sua sintesi, o meglio il superamento alias “momento speculativo” Hegeliano (l’Aufhebung) del dilemma sollevato finora ?
Quale esattamente sara’ in concreto la sua proposta di riforma della Chiesa Cattolica, una riforma che indoviniamo sara’ ponderata, ma inevitabilmente concreta nonche’ fortemente innovativa ?
Beh, diciamolo subito e a gran voce: nessuna delusione, perche’ la soluzione eco-teologicamente sostenibile, esposta energicamente alla fine del testo, insiste niente di meno e niente di piu’ che nel raccoglimento, nel ritorno alle origini.
Bisogna leggerle bene le ultime pagine del libro e beninteso avendo prima assimilato il distillato ideico di quelle precedenti per poter cogliere appieno una proposta “altro che dirompente” ! Francamente deflagrante, esplosiva se letta nel senso del modello alternativo al modo di fare Chiesa e possibilmente di essere Chiesa oggi nel nostro paese; e comunque conturbante ed impegnativa se considerata invece solo come stimolo non a sostituire, ma a curare, arricchendola, umanizzandola ed integrandola, una Chiesa stanca e davvero, come A. ripete fino all’ultimo, in via di estinzione.
La declinazione “nel nome di Dio” del cambiamento della Chiesa che alberga nella testa di A. non e’ utopistica: rivoluzioni come l’abolizione da una parte della gerarchia ecclesiastica e delle relative cointeressenze , direi, con le Istituzioni “materiche” e con le leve del potere politico, e dall’altra dei divieti di includere frange marginali di un Popolo di Dio che comunque non puo’ piu’ essere recintato solo nelle Parrocchie comunemente intese, sono rivoluzioni realizzabili.
Lo sono e lo saranno, e pare di intendere che sia questo il messaggio che Don Paolo Cugini ci chiede di portare a casa, a patto che ci convinciamo profondamente, e questo suo libro col faticoso, ma proficuo rovistamento nel profondo della nostra coscienza che ci impone ci da’ una grossa mano a farlo, che la nostra Chiesa piu’ che di una stampella ha un bisogno sanguinante di una solida e nuova architrave.
Reggio Emilia 15 aprile 2025 Fulvio Fantozzi
esperto in Medicina Legale e Medicina delle Dipendenze
flu_fantibus@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento