MASTER MIGRAZIONI BERGAMO
Prof: Paolo
Barcella
Sintesi: Paolo
Cugini
Migrazione
italiana del II dopoguerra. Un libro importante sul tema è quello di Michele
Colucci. Siamo negli anni della guerra fredda. È interessante questo periodo perché
ci dice molto delle modalità di ridefinizione delle comunità migranti all’interno
di territori in cui si ha una mobilità organizzata dal mercato del lavoro. È
interessante questo periodo per capire delle dinamiche migratorie.
Cosa
fondamentale da sottolineare è che al di là della percezione del fenomeno
migratorio come fenomeno che riguarda l’ambito dei rifugiati, che fa storia delle
migrazioni contemporaneamente fa storia del lavoro. Qualunque fenomeno
migratorio abbia assunto fenomeno di massa, è una storia di spostamento di mano
d’opera che si sposta per le ragioni più varie. Le migrazioni per molti aspetti
hanno a che fare con la mobilità dentro i mercati del lavoro quando avviene in
una prospettiva di permanenza.
Giliola
Cinguetti vince il Festival di Sanremo nel 1964 a 16 anni, riceve più di 140
mila lettere da immigrati italiani. Per loro rappresentava una sorte d’interlocutore
imaginario, era un’icona di successo, d’italianità. Per l’emigrazione italiana
in giro per il mondo rappresenta una sorta di aggregatore culturale.
Guardando
la vicenda della Cinguetti e alle lettere si ottengono molti spunti. Sono
lettere che trasudano una cultura del paese delle origini di chi scrive. Persone che
provenivano dall’Italia rurale, cattolica, nata negli anni ’20-30. Lettere che
rivelano un mondo di persone che si sta incontrando con la modernità. Dentro
alle lettere si vede anche un forte elemento religioso e anche dei problemi
della società in cui stavano vivendo. Chiedono alla Cinguetti di aiutarli a
risolvere i problemi incontrati.
Altro
elemento di riflesso riguarda la dimensione della dinamica incontro-conflitto
che si produce a livello culturale quando si vive un fenomeno di migrazione di
massa. Per 20 anni in giro per l’Europa si conosceva la cultura italiana grazia
a queste masse migranti appassionate del Festival di San Remo, nato nel ’51,
divenuto subito un fenomeno significativo. Leonardo Campus, non solo
canzonette, L’Italia di… Significativa è la frequente presenza di canzoni dedicate alla
figura della mamma lontana. Un orecchio attento si rende conto di come letti
e studiati con attenzione, quei prodotti sono stati anche degli agenti di
trasmissione culturale in lingua italiana a delle masse migranti che cercavano
nella musica di San Remo una sorta di memoria, insegnando loro a parlare italiano e un
linguaggio emotivo, li rendeva diffusori di tutto questo nei contesti dove
loro si radicavano. Il successo del Festival di San Remo è stato tale che alla
fine degli anni '50 si era arrivati ad avere 30 milioni di radioamatori connessi.
Veniva trasmesso anche nei cinema e nei teatri. Un innesto di questa italianità
si diffondeva in Europa a partire da questo discorso musicale. Il fatto che
avesse successo in modo particolare in Svizzera è dovuto ad alcune ragioni.
Le
politiche migratorie dei diversi paesi erano differenziate. La migrazione è
sempre un agente di trasformazione di cambiamento culturale anche dei paesi di
arrivo. Dove arriva una massa di persone è chiaro che contagiano e lasciano una
traccia importante.
C’è una periodizzazione più precisa che vale la pena tenere in considerazione e guarda ad un’epoca chiamata Golden age: 1945-1973. Sono gli anni del grande bum economico, che a livello euro-americano ha visto un’accelerazione di processi messi in moto dopo la prima guerra, che ha portato ad un’industrializzazione e ad un inurbamento massiccio e la conseguente fuga dalle campagne. È l’epoca in cui finisce il mondo rurale cattolico. C’è un trasferimento nei grandi centri urbani. È un processo di pressione in uscita dalle campagne verso i centri urbani. Genova, Torino, Milano: conoscono in pochi anni un processo di trasformazione impressionante. Tutto ciò avveniva a partire da uno spostamento massiccio di spostamento di contadini. È un processo di mobilità interna italiana. Il cambiamento nelle città è enorme. C’è poi il fenomeno della ricerca del lavoro in grandi centri in Europa.
1958-63: anni del bum economico in Italia. L’Europa
conosce la crescita economica prima dell’Italia e a questi paesi attraggono e
hanno bisogno di mano d’opera. L’Italia ha una riserva importante di lavoratori
disoccupati, di mano d’opera agricola disponibile a tutto.
Nascono
tensioni sociali a causa della disoccupazione. Al crocevia di questi fenomeni
succede che i Governi dei paesi europei esprimono questa loro esigenza di
andare incontro alla richiesta di mano d’opera nelle loro fabbriche rendendosi
disponibili a firmare accordi bilaterali per portare mano d’opera all’interno,
e quindi a dare permessi di soggiorno e di lavoro. L’Italia in quel momento
trova e sente la necessità di firmare accordi bilaterali che favoriscano l’uscita.
Gli accordi bilaterali era la forma storica da studiare del fenomeno
migratorio. Questi accordi avevano delle finalità:
1. Regolare i flussi dal punto di vista della quantità di persone che si legittimavano ad attraversare le frontiere in un determinato periodo. Era necessario sapere quante persone potessero entrare e in numero adeguato ai posti di lavoro disponibili.
2. Gli accordi bilaterali indicavano le condizioni necessarie da rispettare per i migranti essere autorizzati all’attraversamento.
3.
Indicare quali enti, istituzioni dovessero
essere coinvolti nell’organizzazione dei flussi migratori.
4. Indicavano le condizioni di lavoro. Problema dei livelli salariali e le condizioni di vita.
5.
I termini dello scambio tra i due paesi. Era
possibile uno scambio di uomini in senso strettamente economico. L’Italia, ad
esempio, inviava in Belgio uomini in cambio di carbone. Era un lavoro ad un
altissimo tasso di pericolo. Era un lavoro da affidare alla manovalanza
straniera. Ecco perché i belgi erano favorevoli che gli italiani arrivassero
per le miniere.
la
situazione e di accordi l’Italia non ne firma più, se non l’accordo con la
Svizzere del 1964. In alcuni paesi rimangono in vigore gli accordi fatti. L’Italia
in questi 10 anni firma 14 accordi bilaterali, che significa la grande esigenza
di esportare mano d’opera. Quello del Belgio del ’46 è il più terribile dal
punto di vista delle condizioni. Gli stesi migranti tendevano a scappare. Treni
che rientravano dal Belgio lavoratori e avvisavano chi stava andando in Belgio
e alcuni scendevano.
Marcinelle: catastrofe avvenuta all’interno di una miniera in Belgio dove erano impiegati molti lavoratori italiani.
Quello con la Svizzera è molto importante perché in Svizzere si è trasferita la grandissima parte di lavoratori italiani.
L’ultimo nel ’55 è stato fatto con la Germania.
Ci sono paesi che hanno
fatto numerosi accordi con i paesi importatori. La Germania firma 8 accordi da
paesi importatori di mano d’opera. L’Italia alla metà degli anni ’50 era un
paese a cui l’Europa si rivolgeva come al Marocco, Turchia, ecc.
Gli Stati che firmavano questi accordi bilaterali si
organizzavano e sceglievano gli Enti che potessero occuparsi della regolazione
dei flussi secondo gli accordi presi con i singoli paesi. L’Italia affidò al
Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e al Ministero degli Esteri. È
indicativo del punto di vista sull’immaginario legate al concetto di migrante
il tipo di enti scelti.
Negli uffici
del lavoro si trovavano nelle bacheche la propaganda del lavoro nei vari paesi.
In questi uffici il personale italiano possedeva dei dossier che arrivavano
dall’Estero direttamente selezionati dai ministeri. Le singole imprese consegnavano
i loro dossier dando delle indicazioni sulla tipologia dei lavoratori. Si possono
comprendere gli stereotipi dei lavoratori italiani. I Paesi richiedevano
lavoratori di certe provincie (non meridionali). Gli uffici italiani rifiutavano
queste indicazioni e mandavano quelle che volevano. A questo punto le imprese
si muovevano in modo loro senza rispettare le regole degli accordi. Si attivano
modalità di reclutamento irregolare. I reclutatori assunti da imprenditori stranieri
che venivano mandati a reclutare lavoratori di fiducia provenienti dalla loro
stessa provincia.
Missioni
cattoliche italiane. Oltre alla pastorale migratoria, vengono attivati questi
servizi per i migranti. La Chiesa cattolica italiana si è occupata delle
migrazioni italiane dalla fine dell’800. Opera del Vescovo Scalabrini e
Monsignor Bolomelli. Sviluppano una rete impressionante di aiuti. Facevano in
parte gli assistenti sociali. Questi ordini hanno avuto la lungimiranza di
fondare dei grossi centri studi. Negli anni ’60 e ’70 questi ordini sono tra i
primi ad avere strumenti per discutere d’immigrazione. Le missioni cattoliche
facevano anche reclutamento di lavoratori. La dinamica del reclutamento è
quindi una dinamica complessa.
Quando
gli italiani varcavano la frontiera da quel momento erano sotto la tutela del
Ministero degli Affari Esteri. Scoppiavano conflitti tra imprenditori e
lavoratori perché trovavano condizioni diverse da quelle dichiarate in
partenza. Esempio: la baracca che non aveva caratteristiche come era stato
stipulato nel contratto. Molti si adattavano e altri no. I conflitti erano
gestiti entrando in relazione con le ambasciate.
Gli stati esteri dovevano scegliere i loro enti che dovevano occuparsi della mano d’opera che arrivava. La Germania Ovest, per esempio, era un Paese che nei primi anni ’50 non vuole immigrazione italiana. Dal ’52 inizia un dibattito acceso tra il Ministero dell’Economia e Ministero del Lavoro tedesco. C’era bisogno di lavoratori, ma bisognava fare attenzione perché avrebbe creato tensioni interne. Obiettivo di arrivare ad un punto di mediazione: dobbiamo avere lavoratori che arrivano a certe condizioni e fare in modo che non diventino concorrenziali con bassi salari. Si arriva all’idea che il Governo dovesse controllare il processo migratorio dalle origini fino all’arrivo in fabbrica. Nasce il fenomeno della migrazione assistita. Il migrante veniva assistito dal Governo in ogni tappa del processo. Dell’immigrazione in Germania si occupa l’Ente Federale per il lavoro e per l’assicurazione contro la disoccupazione. La dichiarazione implicita: faremo attenzione che importeremo mano d’opera senza creare disoccupati in loco. Immigrazione che non deve diventare concorrenziale. La Germania favorisce in Italia dei centri dove c’è un personale tedesco: Napoli, Verona, Milano. Luoghi dove gli italiani arrivano dopo aver ottenuto un documento dall’ufficio provinciale del lavoro della loro città.
Le scene dell’immigrazione hanno ricordato le scene della
deportazione: li caricavano sui treni e li spedivano. C’era quindi un forte
intervento statale con l’obiettivo di regolazione del mercato del lavoro
tedesco.
Nell’ottica
del Governo tedesco la mano d’opera italiana doveva essere solo temporanea. Si
favoriva la stipula di contratti di lavori temporanei, che potevano essere
rinnovati fino ad un tot di anni e dopo ci poteva essere la richiesta di un
lavoro a tempo indeterminato.
Questi
accordi vengono firmati nel ’55. Nel ’57 viene firmato il trattato Ceca, il
principio della libera circolazione delle persone. Nel ’68 viene attuata questa
libera circolazione e sino a questa data i lavoratori italiani vanno in
Germania con gli accordi definiti nel ’55. Ad un certo punto la Germania firma
accordi con la Jugoslavia.
La
Jugoslavia all’epoca era un paese comunista. Il regime di Tito consentiva la
migrazione verso la Germania a carattere temporario.
La DC all’epoca nelle sue componenti più conservatrici affermava il diritto alla migrazione. Bisogna riconoscere alle persone il diritto ad attraversare le frontiere.
La
sinistra dell’epoca era molto più problematica rispetto alla migrazione perché diceva
che occorreva migliorare le condizioni dei lavoratori nelle loro regioni,
voleva dei piani di sviluppo del territorio.
Svizzera. Le cose in Svizzera funzionavano in modo apparentemente analogo. Spesso si fa confusione perché la politica migratoria vedeva negli immigrati dei lavoratori ospiti, come in Germania. Però, poi, per quanto riguarda il ruolo dello Stato, l’attività effettiva dello Stato nel processo di reclutamento è tutta un’altra storia. Responsabile dell’immigrazione era l’Ufficio Federale che si occupava delle attività produttive in ottica industriale e a fianco di questo, l’Ufficio Cantonale di Polizia. Già nel ’48 in Svizzera la migrazione era vista nella prospettiva di controllo dell’ordine pubblico. Il Governo Svizzero dichiara da subito di volersi tener fuori dalla selezione del reclutamento e fa una professione di fede liberale. Lo Stato non sa quale possa essere il lavoratore migliore per una determinata fabbrica, devono essere gli imprenditori.
Problema: perché dal punto di
vista delle imprese Svizzere una modalità come quella adottata dalla Germania
diventava problematica? Incide sui tempi. Le aziende svizzere passavano attraverso
i canali personali. Gli immigrati dovevano sostenere delle visite come in
Germania, ma a differenza che le visite venissero realizzate in frontiera. C’era
la preoccupazione di essere rispediti. C’era anche l’umiliazione della visita
medica.
Gli
accordi bilaterali tra Italia e Svizzera introducevano nell’articolo 4 il
principio della sanatoria individuale permanente per l’imprenditore. Qualora un
imprenditore svizzero avesse un rapporto personale con un lavoratore straniero
e volesse assumerlo bastava che andasse all’ufficio di polizia e lo manifestasse.
Bastava la dichiarazione alla disponibilità all’assunzione. Era uno strumento
molto importante a disposizione dell’imprenditoria elvetica a sanare le
irregolarità in qualsiasi momento. Strumento che consentiva alla polizia di
essere sempre tutelata ogni volta che veniva trovata mano d’opera clandestina. Non
funzionava il rovescio. Gli immigrati subivano questi processi. Fenomeno del
tentativo di reclutamento localizzati era forte in Svizzera. Volontà da parte
dell’Italia di controllare gli espatri. La Svizzera aveva una tipologia
articolata di permessi.
Gli annuali
non potevano ottenere il ricongiungimento dei famigliari facilmente. Gli stagionali dovevano andare a vivere nel luogo indicato dal datore di lavoro. Il
permesso di lavoro stagionale era usato in modo irregolare dalle imprese.
Venivano stipulati contratti da 11 mesi e una settimana. Erano dei falsi
stagionali.
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