Paolo
Cugini
Ci sono delle situazioni che si ripetono nel tempo, con modalità
diverse, ma si ripetono, anche perché la struttura umana, o se volgiamo
antropologica, è sostanzialmente la stessa. Cambiano le situazioni culturali, i
contesti socio-politici, ma l’uomo, la donna, permangono strutturalmente
identici nel tempo. Siamo mossi dagli istinti e sono proprio loro a stimolare
il nostro pensiero e le nostre scelte. La forza della spiritualità autentica è
capace di modificare questa forza istintuale e dirigerla verso significati
nuovi, antitetici all’istinto. Amare il nemico è uno di questi significati
antitetici all’istinto si sopravvivenza, che solo una grandissima forza
spirituale può inserire nella struttura antropologica. Quando parliamo di
conversione intendiamo proprio questo cambiamento radicale e, allo stesso
tempo, strutturale, al punto che i contenuti dello spirito sono più forti
dell’istinto. Un esempio di questa forza di cambiamento la troviamo in Gesù. Al
momento della morte sulla croce, in una situazione di grande sofferenza, invece
di chiudersi in sé stesso, la sua umanità si dirige non solo verso gli altri,
ma trova parole di perdono per coloro che lo stanno uccidendo. La forza
spirituale che viene da Gesù produce un cammino di cambiamento capace di trasformare
la struttura antropologica della persona e, in questo modo cambiare la storia.
Quello che è visibile in Gesù era già
stato annunciato dai profeti. Isaia, ad esempio, si scaglia duramente contro un
tipo di liturgia che non produce un cambiamento nelle persone, una liturgia
sterile e formale che, più che avvicinare a Dio, serve per garantire sé stessi.
“Smettete di presentare offerte inutili; l'incenso per me è un abominio, i
noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità” (Is
1, 13). È un Dio che implora il popolo di smettere di celebrare
liturgie che non traducono nella vita quello che celebrano nei riti, un Dio che
non può sopportare delle persone che celebrano solennemente con incenso la
gloria di Dio e poi si macchiano di delitti. Interessante questo aspetto che
lega insieme la liturgia con la vita, perché rivela che la liturgia non può
essere considerata come un corpo a sé stante, che funziona per conto proprio e
regole proprie. Da questo passaggio del profeta Isaia comprendiamo che se la
liturgia non si traduce nella vita in ciò che esprime con la bocca, è vana. “Quando
stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le
preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi,
purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate
di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete
l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della
vedova" (Isaia, 1,22-23).
È vero che c’è tutta una letteratura
nell’Antico Testamento che determina le regole della validità dei riti
liturgici. È il pensiero profetico, comunque, che rivela il senso autentico
della liturgia, sia nella sua dimensione comunitaria, che di relazione con ciò
che è sacro. Se è vero, infatti, che nella liturgia attraverso riti specifici
entriamo in contatto con il Sacro, è altrettanto vero che questo incontro
dev’essere preceduto da uno stile di vita conforme a ciò he si desidera
incontrare.
Il pensiero profetico c’insegna un altro
aspetto importante della liturgia che spesso perdiamo di vista.
.
Le liturgie celebrate in occidente sembrano
caratterizzate da un’esigenza formale, come se la liturgia derivasse la sua
forza e autenticità dall’esecuzione di norme scritte. Ancora una volta, si ha
l’impressione che ci sia un tipo d’insegnamento che identifichi la liturgia con
aspetti esteriori, identificandoli con l’efficacia del rito. I profeti, invece,
c’insegnano che è vero esattamente il contrario. “Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse
questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto
questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del
giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?” (Is 58, 4-6).
Non è nel modo in cui mettiamo le mani o nel numero di volte che ci
inginocchiamo che si decide il nostro rapporto con Dio: se fosse così sarebbe
un gioco da ragazzi! Si tratta invece, di ben altro, di qualcosa di così
profondo che arriva al nostro cuore e si manifesta in atteggiamenti
significativi. Se, allora, la caratteristica dell’uomo e della donna che si
contrappongono a Dio è l’egoismo, il pensare a sé stessi, coloro invece che
aprono il cuore al Signore accogliendo la sua misericordia e la sua giustizia,
sentono il desiderio di comunicarlo alle persone che incontrano, soprattutto i
più poveri. Perché è questo che il Signore desidera: “sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare
liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?” (Is 58,6). La liturgia, dunque,
non è alla mercé dell’uomo, nel senso che non è lui che la comanda – come
vorrebbero gli amanti delle rubriche, che la cercano di controllare con le loro
regole – ma è dono di Dio affinché le persone che lo amano si avvicinino a Lui
con cuore sincero.
Altro
grande rischio in cui ci si può imbattere nella liturgia è l’identificazione
delle parole con il suo effetto, nel senso che non basta ripetere delle formule
per ottenere quello che desideriamo. Ci sono esempi interessanti che troviamo
nei profeti di questa tentazione. Il primo esempio lo troviamo nel profeta
Osea. Al capitolo 6 Osea deride una celebrazione penitenziale del popolo
d’Israele che esternamente esegue una celebrazione impeccabile, ma che non
funziona, perché non produce gli effetti sperati. Nei primi tre versetti sono
indicati implicitamente i motivi di un fallimento liturgico annunciato. Il
popolo, infatti, non entra nella liturgia penitenziale con un cuore penitente:
non si mette in discussione, ma pensa già al perdono che sarà ottenuto
attraverso la celebrazione. E’, dunque, una celebrazione penitenziale senza
contrizione del cuore, senza pentimento e, quindi, senza la disponibilità alla
conversione, al cambiamento. «Venite,
ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha
percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci
farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. Affrettiamoci a conoscere il
Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia di
autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra» (Os 6, 1-3). È
un popolo che sa già come andrà a finire e, di conseguenza, annulla
l’intervento misericordioso di Dio. C’è quindi, la possibilità di realizzare
celebrazione liturgiche che non funzionano perché, più che celebrare Dio, viene
celebrato l’uomo, la donna, la sua autosufficienza, il fatto che sa già tutto.
Per
questo, per mezzo del profeta Osea, l’intervento di Dio sarà piuttosto duro: Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò
fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la
rugiada che all'alba svanisce. Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti,
li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la
luce: poiché voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli
olocausti” (Os 6,4-6). Siamo dinanzi ad un semitismo e quindi, più che
negare l’olocausto, vale a dire la liturgia penitenziale citata, Dio esprime il
desiderio di un olocausto, un sacrificio che produca la misericordia, la
conoscenza del Signore. Le parole della liturgia non sono delle formule
magiche, ma devono poter incontrare il cuore dell’uomo e della donna che si
riuniscono come popolo per esprimere il desiderio che sgorga dal loro cuore di
una vita conforme alla Parola del Signore. Ancora una volta viene manifestato
il senso e l’importanza della liturgia come possibilità del popolo d’incontrare
Dio, possibilità che viene da un cammino che nasce dal desiderio di una vita
differente, attratti dall’amore misericordioso del Padre manifestato nella vita
di Gesù. Partecipiamo alla liturgia non per mettere il cuore in pace recitando
alla perfezione riti e formule magiche, ma per continuare il nostro cammino con
Lui, autore e perfezionatore della nostra fede, il cui incontro ci aiuta ad
essere persone diverse, meno egoiste e più misericordiose.
Concordo pienamente. Ormai non riesco più a partecipare a liturgie formali, dove tutto è programmato, dove tutto ruota intorno ad un celebrante a volte vestito come un faraone egiziano ed attorniato da vassalli che gli fanno gli inchini...Non c'è spazio per lo Spirito e per le sue sorprese.
RispondiEliminaLa liturgia che non evolve in conversione e in attuazione pratica del Vangelo è inutile.
"..fate questo in memoria di me", ovvero: non ricordatevi di Me, ma rendere presente Cristo in mezzo a noi in ogni celebrazione, sappiate che Io sono presente in mezzo a voi. Questo è ciò che traspare anche dalla tua riflessione. È un passaggio, una trasformazione ancora difficile per me ma credo per gran parte del popolo di Dio. Un passaggio che deve trasformare il canone, il messale da una routine e da una regola fissa ad un evento da vivere ogni volta come dono e come miracolo! Mi diventa difficile ogni volta percepire e toccare la Sua presenza nella liturgia. Vi è un aspetto umano, emozionale importante che non viene citato. Un aspetto che coinvolge l'uomo, i sentimenti, le sue reazioni: questo pur essendo secondario rispetto al Mistero, ed alla Sua presenza, rende ancora determinante la mia partecipazione alla liturgia. Le mie difficoltà nel lasciarmi trasportare (monte Tabor) sono legate all'aspetto umano, alla relazione con chi mi è vicino, al modo più o meno coinvolgente,più o meno standardizzato del celebrante (che impersona Cristo); la tua riflessione esprime una persona che nel Gesto della Consacrazione, nella intera celebrazione liturgica si lascia trasportare, vive in una dimensione spirituale alta. (Vivo è il ricordo della tua difficoltà nel celebrare alla presenza di bimbi che disturbano): descrive e rispecchia una situazione ideale, difficilmente raggiungibile per me. Nella lettera che il vescovo ci ha scritto, noto un freddo monito alla regola, al canone; quasi un vivere per il sabato e non viceversa.Una lettera, quasi un monito che non esprime la gioia della Fede, non esprime l'ignorante con il cuore, ma onorare con le labbra. Non lascia aperta la possibilità di parlare in parabole per raggiungere il cuore di tutti, ma invita a parlare secondo legge. La tua riflessione parte non da uno scritto, da una regola, ma da un trasporto fisico ad una realtà spirituale frutto di una conversione ed un cammino che per me è "di là da venire"... E questo è invidiabile! La tua partecipazione è alla presenza di Cristo!ma credo manchi ancora una cosa, che aiuterebbe a ciò che viene detto dal sig. Dazzi: la liturgia che non evolve in conversione ed in attuazione pratica del Vangelo è inutile. Bellissimo! Quindi manca l'aspettiamo ed emozionale! L'aspetto che porta a condividere i grandi gesti che la Liturgia offre e sui quali occorrerebbe soffermarsi maggiormente. È difficile emozionarsi per una acclamazione"amen" se non si è ascoltato bene l'invocazione. È difficile cantare un alleluja o un santo se non si è vissuto il prima ed il dopo di una preghiera o della Parola di Dio. Ci sono parti e gesti che potrebbero evolvere in conversione ed attuazione del Vangelo che facciamo come routine ed ai quali diamo poca importanza: accoglienza, preghiera dei fedeli, scambio della pace: momenti prettamente dell'assemblea! Se io ti invito a cena,la centralità è il pasto, ma il contorno è altrettanto importante ed è il "come stai?" " cosa stai facendo?" "Ti ho trascurato?" È tutta quella umanità che è necessaria per la condivisione del pasto.
RispondiEliminaE guardo oltre...San Paolo nella lettera ci ricorda di offrire i nostri corpi come sacrifici viventi, santi e graditi a Dio.La vera liturgia è nella nostra vita celebrata e spezzata ogni giorno per il Padre ed i fratelli...E noi, la nostra vita e la realtà intera altro non siamo che simboli e segnavia della verità...e il simbolo e il segnavia della verità (e la liturgia è linguaggio simbolico altissimo) guardano oltre...mentre noi ci fermiamo spesso a loro che non sono meta,ma semplici punti di partenza. In un libro, solo apparentemente per bambini una volpe cerca di spiegare a un capriccioso piccolo principe biondo a cosa servono i riti nella vita di un uomo e dice che servono a preparare i cuori...a preparare a qualcosa che è oltre...Allora buon cammino a tutti verso un aldilà che ha la sua pienezza e concretezza solo in un al di qua...ciao Pablo
RispondiEliminaIl Signore è eternamente innamorato di noi e come tale non si accontenta nel nostro servilismo, Lui vuole il nostro amore. Quando vedo due innamorati mi rendo conto di come ognuno di noi dovrebbe sentirsi nel proprio rapporto con il Signore. L'Amore non ha schemi, non ha regole, è irrazionale è spontaneo e accogliente. Solo innamorandoci del Signore possiamo diventare "contagiosi" nella fede.
EliminaCiao
RispondiEliminacaro don Paolo, tante volte ci hai parlato del devozionismo per cui questi concetti ci sono conosciuti. Ho pensato a due vecchie esperienze molto diverse della mia gioventù, le Messe al Preziosissimo Sangue piene di entusiasmo, giovani, canti a tutta voce, abbracci di pace ...... e le liturgie a Monteveglio con don Giuseppe Dossetti e don Neri, con una attenzione infinita a ogni parola, a ogni gesto, canti in gregoriano però una grande essenzialità. Due modi molto diversi che mi coinvolgevano entrambi perchè molto veri, molto sinceri, autentici. Faccio anche un esempio che mi è chiaro in quanto musicista, cantare bene non vuole dire fare spettacolo ma cantare con cura, credo dipenda dalle persone, dalla limpidezza del loro cuore lasciar emergere la sostanza attraverso una forma bella. Credo anche che gli orpelli, gli ori, i paramenti ecc. possano soffocare la sostanza.
RispondiEliminaComunque Gesù è stato chiaro nell' indicarci la strada della sostanza e criticare aspramente i formalismi farisaici.
don Paolo, la formazione e la testimonianza che ci hai dato, ci rende responsabili poiché consapevoli dei significati delle nostre scelte. Sinceramente sono sbigottita di fronte a richieste di formalismi e ingessamenti nei riti. Non so cosa ci sia ancora da dire: le chiese sono ormai vuote, le persone atee o disorientate e viene riproposto lo stesso distacco da Dio che ha allontanato il Messaggio dalla vita delle persone. Inutile sedurle con prediche cariche di emozioni, sentimentalismi e professioni di stili che poi vengono disattesi nella sostanza. Mi dispiace anche per chi é ancora schiavo di questa mentalità schizzofrenica, certo é che chi é entrato in contatto con Dio almeno una volta, non ha più voglia di perdere tempo con i teatrini.
RispondiEliminaÈ vero. La liturgia deve esprimere l'incontro col sacro ma è anche momento comunitario. Molto dipende dalla nostra disposizione interiore, che dobbiamo perfezionare non solo durante la liturgia ma in ogni momento della vita quotidiana. È il difficile è affascinante cammino del "convertendo". Uso il gerundio perché la conversione è e avviene in via continuativa, è un presente continuato. Altrimenti diventa presunzione.
RispondiEliminacerto, grazie per l'integrazione.
Eliminasiamo solo stanchi di proposte e imposizioni vecchie che affaticano e ostacolano il bel cammino che si intuisce
Il dilemma è sempre il solito: la liturgia serve per avvicinarci a Dio o è solo formalismo ? Quante volte ho sentito queste argomentazioni dai miei ragazzi , che tu conosci bene, alla ricerca del modo autentico di avvicinarsi a Dio. Io non sono stata un esempio , ma sono ancora qui che mi interrogo su questi temi. Quando ero giovane si diceva che assolutamente la liturgia era l'unico e il migliore modo posssibile di avvicinarsi a Dio e di avviarsi verso la concversione, poi il concilio vaticano II e tutto ciò che è successo dopo hanno messo in discussione questa certezza granitica. Leggendo le tue riflessioni mi è anche venuto in mente che , forse, un pò di "improvvisazione" nella liturgia non sarebbe male. E' chiaro che non voglio dire che si entra in chiesa e si inventa lì per lì il da farsi, ma che i laici motivati e preparati trovano ogni volta qualcosa da inserire nel contesto, sempre in accordo con il celebrante. e così sono tornata la punto: la liturgia esprime la vita che si vive ogni giorno. Se la vita è nel segno del Signore , anche la liturgia è tale. Spero di essere stata sufficientemente chiara. Ciao Paolo.
RispondiEliminaConcordo con Giovanni (ciao Giovanni!). Le liturgie che ho vissuto in pienezza sono sempre state quelle dove in semplicità ero in comunione con le persone presenti, non mi sentivo osservato, giudicato. Che nostalgia per le messe brasiliane del mercoledì a S. Bartolomeo, nonostante abbiamo partecipato in poche occasioni! In quei casi la liturgia aveva, a mio sentire, piena efficacia. Si realizzava quanto Paolo ha descritto nella riflessione.
RispondiEliminaConcordo sostanzialmente con tutti voi, che avete evidenziato, secondo la vostra sensibilità ed esperienza, vari aspetti negativi del nostro essere cristiani e quindi degli errori che ci impediscono di rendere efficace la liturgia. Purtroppo molti sacerdoti e altrettanti fedeli restano attaccati alla liturgia come se fosse un insieme di magie da eseguire correttamente, pena la mancanza del risultato (pensate ad Harry Potter: se non si eseguivano correttamente gli incantesimi poteva accedere di tutto!). Dai tempi dei profeti citati ad oggi non è cambiato molto, quindi la domanda è: che fare?
Provo una grande tristezza, quasi una lacerazione quando vedo comportamenti farisaici, vuoti o quando vedo persone "assatanate" che snocciolano rosari sennò non si ottempera alla richiesta della Madonna! E' la conversione del cuore e l'impegno concreto, nei fatti, che ci viene richiesto! Come già evidenziato dai profeti qualche migliaio di anni fa....
Grazie a tutti voi: Giovanni, Ferruccio, Anto, Unknown (mi piacerebbe conoscerti/conoscervi), Vincenzo, Giuliana. Le vostre riflessioni mi hanno fatto sentire meno solo, anzi, tra amici e compagni di cammino! (concordo con il gerundio)
Grazie Paolo...
Scusami ma pensavo che apparisse il nome e non un anonimo "unknown". Sono Pier Giuseppe Fontanili.
EliminaEccomi!Come si fa a trattenersi dal commentare caro don Paolo,
RispondiEliminaho un fiume di pensieri e parole che cerco di riordinare.
A volte temo mi verranno a mancare quei gesti ricchi di significati un misto di rito e di spontaneità che son stati segno e nutrimento della mia crescita nella prima comunità parrocchiale che è stata,come per Vincenzo,il Preziosissimo Sangue che mi ha vista lì dai miei quattro anni di vita fino ai trenta.Lo scambio della pace era un abbraccio che i celebranti consegnavano ai diaconi e che loro portavano al capofila del banco e che poi veniva scambiato,l'attesa della pace era bellissima,uno stuolo di bambini correva incontro ai celebranti per portare la pace;non si muoveva il celebrante,si muoveva l'assemblea e non ricordo imbarazzi.La processione offertoriale coinvolgeva tutti dai bimbi agli anziani a rotazione e prevedeva ogni domenica di apparecchiare l'altare indiretta poco prima che vi venissero deposti il pane e il vino,i fiori,i ceri,i doni,le offerte.Le musiche e i canti molto curati perchè da piccolissimi ci veniva insegnato che cantare è pregare due volte (S.Agostino)e venivano messi in comune le doti che ciascuno aveva,ma cantavano anche gli stonati,c'erano molti musicisti e strumenti musicali insoliti da essere suonati in chiesa per l'epoca (sto parlando di più di quarant'anni fa),questo era molto folk e attraente per i giovani,per i bimbi ma anche per gli adulti,tutta l'assemblea cantava spesso a memoria.Come scrive Vincenzo eravamo felici di farlo bene e non per dare spettacolo.
L'Eucarestia sempre sotto le due specie e per chi lo voleva (ma tutti e tutte lo volevano) si beveva direttamente dal calice il vino divenuto Sangue di Cristo (insolito per allora,poco attuabile oggi);a volte il pane non era la particola bianca ma un pane azzimo a tocchetti,chiaro e compatto che non lasciava briciole (quanto era buono quel pane),il nostro curato ci insegnava fin da piccoli e lo ricordava spesso durante le celebrazioni di formare un trono con le mani ,la mano destra sotto,la sinistra sopra e di stare attenti perchè lì veniva adagiato il Corpo di Cristo,poi ci si comunicava e ci si dirigeva verso l'altare dove direttamente dalle mani del sacerdote o del diacono a quelle dei fedeli ci si accostava al Calice.Si,c'era chi si lamentava della messa lunga ma era molto partecipata,sembrava una festa come dovrebbe essere.
Poi c'erano le diaconie,le messe familiari nelle case,il catechismo nelle case,c'era già un po' l'aria di Unità Pastorale dove comunità ricche di giovani catechisti "prestavano" gli stessi per rendere quel prezioso servizio alle parrocchie vicine meno ricche di risorse umane e si aveva uno sguardo per il territorio che comprendeva una casa di riposo,una casa di cura,l'allora opera pia orfanotrofi e gli Artigianelli...tanta roba!Un fulcro importante per tutte le parrocchie della zona per la preghiera e la settimana Santa era la chiesa vescovile di San Lorenzo,lo è stato per molte generazioni di persone e ancora lo è.segue
Poi andando ad abitare in centro, ho errato tra Duomo e Ghiara,nell'anonimato con "la famosa rosa di orari di celebrazioni" da scegliere in base a cosa faccio questa domenica,vado a quell'ora perchè riordino la casa,perchè danzo,perchè mi è più comodo,perchè mi vedo col fidanzato che è ateo,perchè così non vengo coinvolta in nessuna attività che è faticoso impegnarsi (quante volte don ci hai detto dell'importanza di essere una comunità..) per ritrovarmi dopo un po'di anni ad abitare a S.Bartolomeo dove ho ritrovato parte di quei gesti e di riti un po'modificati per diventare più accoglienti che mi erano stati cari compreso il ritrovarsi nelle case per pregare non sempre insieme al prete impegnato altrove.L'impronta era già quella di un prete missionario e alternativo tuo predecessore.La Messa a volte un tantino sgangherata ma siamo migliorati.Ho trovato chi ci ha mostrato che tutti i Battezzati in Cristo sono Re,Sacerdoti e Profeti e che c'è bisogno di segni forti,tangibili e abituali come lo stare intorno all'altare o portare lo stesso in mezzo all'assemblea e poco importa se la tovaglia che adorna l'altare è di pizzo o è etnica(anzi se ha una storia è un valore aggiunto) o imparare a fare insieme la Liturgia della Parola tra noi popolo di Dio in cammino almeno in quell'ora e un quarto che ci ritroviamo la domenica,c'è un desiderio importante di sentirsi famiglia e di sentirsi liberi per fraternizzare e lasciarci accogliere e accogliere e magari essere anche attraenti per le nuove generazioni e per coloro che difficilmente entrano in chiesa.Solo condividendo gesti autentici "scrollati" dai fronzoli riusciamo a nutrirci l'un l'altro di quell'Amore che possiamo portare fuori dalle chiese.Il risultato del nostro nutrimento è da condividere nel mondo.Non giudichiamo chi non ha queste ampie vedute ma manifestiamoci come esempio...il resto,come mi dicono Mara e Annamaria per tranquillizzarmi,lo farà lo Spirito Santo.
RispondiEliminaSpesso pensiamo al fratello bisognoso come lontano da noi e che amare il nostro nemico non riguardi noi da vicino,capita di avere poca attenzione gli uni verso gli altri,c'è bisogno di preghiera ma anche di appartenenza a una comunità,i gesti che facciamo anche se non sempre perfetti nella loro espressione ,ci aiutano ad aprire il cuore e gli occhi liberati con umiltà dalla trave cominciando dal vicino di banco,dal saluto prima e dopo la celebrazione che non dovrebbe conoscere la fretta almeno la domenica.Non siamo nell'anonimato,è scritto che Dio ci chiama per nome.Camminando,pregando e agendo (gerundi) insieme ai nostri nuovi pastori , troviamo un modo per essere chiesa in uscita mettendo insieme carismi diversi ,figli dell'Unico Padre-Madre che dà Vita e misericordioso,ieri a Messa il nostro parroco lo ha chiamato proprio così "Padre uterino",a mio parere è una espressione meravigliosa e che dona molta speranza.Lo scambio di pace è stato libero,questo che può sembrare piccola cosa,nel mio piccolo alimenta l'ottimismo e mi riempie di gioia.
Mi hanno molta colpita i vostri commenti,soprattutto il suo Ferruccio.Anche grazie a questo blog don Paolo riesci ad esacerbare il buono che esce da noi e a metterci a confronto.Credo di non aver mai scritto così tanto e senza timore di essere giudicata.Mi preparo così al prossima assemblea pastorale...pensare don che non partecipavo quasi mai quando c'eri tu perchè spesso ti arrabbiavi,i primi tempi almeno.
Quindi anche io come Enrico ringrazio tutti voi,chi conosco come chi no.Anche io così mi sento meno sola.
Quando volete venite a San Bartolomeo il mercoledì,in casa di accoglienza la Liturgia della Parola c'è sempre in alternanza con la Messa e ognuno può liberamente partecipare all'omelia.
Ciao.Teresa
Tutti questi pensieri io li condivido e li ho condivisi in passato, quando ero "dentro" la chiesa e la frequentavo abitualmente. Ora che mi sento, e sono, più al di fuori, senza nessuna polemica né amarezza, vi riporto le mie impressioni da "outsider". Spesso le messe mi sembrano incontri tra amici: sicuramente bel senso di appartenenza per chi é della famiglia...qui c'è tutto un valore aggiunto di appartenenza,di camminare insieme per chi già si riconosce in un cammino comune. Per queste persone non credo che formalismo o meno possa fare grande differenza...sarebbe un peccato se lo facesse..voglio dire, se uno ha già avvertito Dio, non é la forma che puó allontanare...abbiamo giá toccato la sostanza. Ma mi chiedo, che male c'è nello snocciolare rosari alla Madonna o nell'inginocchiarsi davanti a una statua? Voi forse ridete di queste persone, forse vi sembrano ingenue, o poco evolute.. Ma che male c'è in questo "formalismo"? Un formalismo che tutto sommato io vedo come una via semplice, innocua, immediata di chiedere...tutto sommato abbiamotutti una nostra spiritualità, e non vedo motivo di condannare chi sente il bisogno di pregare in un certo modo piuttosto che di meditare...cone non mi sento di disprezzare certe liturgie formali, che a volte sono BELLE. Perché a mio parere la liturgia é appunto anche un rito, e certi gesti, una certa solennità possono avere la funzione di preparare o meramente, essere una forma di rispetto. Tutti coloro che pensano di essere arrivati a percepire/ possedere un'idea, una persona, un modo di sentire, un credo...sostengono sempre che la forma non conti. Ma io penso che talvolta la forma sia anche sostanza, o che possa esser mezzo per giungere alla sostanza. Tutto sommato siamo anche prodotti della nostra cultura...lo dico un pó per ridere e un pó per davvero, rischiamo di essere ridicoli quando animiamo una messa ballando, (siamo goffi e ingessati!) e più credibili nella versione "canti gregoriani"...Se poi abbiamo il cuore sordo, quello rimane sordo sia al xanto gregoriano che al gospel.
RispondiEliminaScusate se sono stato inutilmente polemico, acido riguardo il formalismo. Certo, non c'è nulla di male nel pregare il rosario o nell'inginocchiarsi davanti ad una statua o nello stare in piedi guardando il celebrante durante la consacrazione piuttosto che in ginocchio a capo chino. Per me è importante che il gesto, il rito sia vissuto con sincerità e non sia fine a se stesso. Il rispetto per il Signore e per i fratelli è fondamentale. Spesso però vedo persone che impongono il rito sopra ad ogni altra cosa. Questo fatico ad accettarlo. Confesso che ho aspettato la fine della messa con ansia per anni, poi quando Don Enrico Mazza ci ha spiegato tutto il significato della liturgia mi è cambiata la vita. Il cardine resta però il significato, l'utilità del gesto non il contrario. Per me non sono gesti magici ma strumenti per cercare di avvicinarmi a Dio. Gli strumenti possono e devono cambiare perché restano strumenti utili ad un fine..... Ed ognuno di noi ha necessità di utilizzarli secondo la propria sensibilità e cultura senza imposizioni. Piuttosto dovremmo trasmettere la bellezza e il vero significato dei gesti per far si che altri li apprezzino senza sentirsi annoiati davanti ad una teatralità sterile. Allora impariamo a valorizzare la spontaneità e la gioia che altre culture esprimono durante la messa attraverso gesti per noi inusuali così, magari uscendo dalle nostre ingessature, riusciamo a manifestare la nostra gioia con gli strumenti che ci sono più congeniali. Concordo quindi che chi non vuol sentire resta sordo davanti a qualsiasi gesto o situazione.
RispondiEliminaAltro falso problema è quello dei tempi. Recentemente sembra che la messa debba per forza durare circa un'ora sennò i bambini si agitano, la gente si stufa, lo scambio della pace è troppo lungo e caotico, la distribuzione dell'Eucarestia sotto la doppia specie è troppo lunga, i canti sono troppi e troppo lunghi..... Quanti falsi problemi! Se davvero è così significa che non stiamo vivendo la Messa con gioia ma per dovere.
Grazie a tutti per i tutto quanto avete condiviso: è una grande ricchezza!
Rispondendo ad Anonimo/a,secondo me e non sono sola a pensarla così,le comunità che hanno consolidato per diversi anni molte libertà di espressione nei gesti nelle varie parti della Messa rischiano di perderle almeno in parte,cioè come dice Enrico, vedersi tagliate le preghiere dei fedeli,più corte e solo una per fedele,i bambini in chiesa al momento dell'offertorio dopo il loro catechismo perchè fanno rumore(confesso che anche a me alle volte danno fastidio),lo scambio della pace limitato ai vicini o "alla tua zona" che personalmente mi demoralizza in quanto si è condizionati da ciò che desiderano i nostri preti che non vorresti mai deludere(dovere),rischiano di confluire nel dimenticatoio a favore di una uniformità di comportamenti che potrebbe snaturare le caratteristiche peculiari di ogni singola comunità.Resta chiaro l'obbiettivo però:una Chiesa più attraente in particolare per i giovani.Desidero essere ottimista e lasciare tempo al tempo.
RispondiEliminaLa preghiera è bella in tutte le sue forme:rosari,messe,liturgie,ritiri,Adorazione e ho molto rispetto e non disprezzo le liturgie formali e solenni,io stessa partecipo a momenti di preghiera tra loro molto differenti:dalla lettura popolare della Bibbia,ai rosari per gli ammalati, alle preghiere di liberazione presso una comunità mariana,alla messa domenicale in parrocchia,alle liturgie della parola quando il prete non c'è.Credo che molte cose possano farci avvicinare all'Amore di Dio,ognuno "predilige" ciò che pensa faccia per sè sia per la preghiera personale che per quella comunitaria
Grazie per queste condivisioni