Paolo Cugini
Lo stanno dicendo in tanti che
il Sinodo Pan-amazzonico, che si svolgerà nel mese di ottobre a Roma, non
riguarda solamente l’Amazzonia ma, per tanti motivi, il cammino di tuta la
Chiesa. Tra i vari temi trattati nel testo preparatorio ce n’è uno che è al
centro del dibattito teologico nei vari incontri preparatori al Sinodo, vale a
dire il tema dei ministeri. Per la Chiesa in Amazzonia è uno dei temi centrali.
La scarsità numerica del clero locale non permette che alle comunità di base
giunga in modo regolare l’Eucarestia. Non è questo dell’Eucarestia un problema
da poco perché, nel cammino della Chiesa cattolica, è proprio l’Eucarestia che
fa la Chiesa, perché la Chiesa si alimenta della presenza di Cristo e,
nell'Eucarestia, lo incontriamo nella forma più significativa.
Nelle tante comunità di base
dell’immenso territorio amazzonico, l’eucarestia arriva raramente. C’è un senso
di ingiustizia che si respira visitando queste comunità, provenendo
dall’occidente sempre più scristianizzato e secolarizzato, ma che può offrire
moltissime eucaristie nelle sue comunità sia in città che in periferia.
Il problema dell’accesso
all’eucarestia, soprattutto nelle tante comunità ecclesiali dell’immenso
territorio amazzonico è delicato e, rimanendo all’interno di questo paradigma
ecclesiale che lo fa identificare con i presbiteri celibatari, di difficile
soluzione. Come è emerso nel recente corso d’inculturazione nella realtà
amazzonica tenuto a Manaus nel mese di febbraio, rivolto ai missionari che
andranno a lavorare pastoralmente in questa regione, per una persona
celibataria è molto duro resistere alla tanta solitudine che il ministero
prevede in questa regione. Parrocchie con molte comunità seminate su un
territorio immenso, molte delle quali raggiungibili solo sul fiume, senza
contare lo stile di vita austero richiesto. Mentre diversi presbiteri, dopo
alcuni anni del ministero in queste zone chiedono di essere trasferiti in
città, oppure abbandonano il ministero (ci sono molti casi di dipendenza
dall'alcool), dall'altra parte i pastori delle chiese neo-pentecostali,
riescono ad inserirsi in ogni luogo. La forza attuale delle chiese protestanti
di recente fondazione è tanta che si pensa di fare di Manaus la capitale
protestante dell’America Latina.
Occorre ripensare il ministero
presbiterale a partire dall’ascolto delle realtà locali e, in questo caso, dai
popoli indigeni dell’Amazzonia. Sembra che ci sia stato un’imposizione di un
modello di Chiesa in un contesto in cui questo modello non funziona. Mons.
Edson Damian, vescovo di san Gabriel da Cachoeira, una delle diocesi
dell’Amazzonia, diceva in un recente incontro sui temi del Sinodo che: “Noi vescovi dobbiamo portare a questo Sinodo
quello che viene dalla base, ciò che le comunità rappresentano e soprattutto i
popoli indigeni, i popoli che vivono lungo il fiume, i popoli tradizionali,
perché sono loro i principali protagonisti di questo Sinodo e noi vogliamo
ascoltarli con molto rispetto e sensibilità pastorale”. È certamente questa
una grande sfida del Sinodo: offrire risposte pastorali preoccupandosi del
cammino delle comunità ecclesiali dell’Amazzonia, più che pensare a far
rispettare delle tradizioni e delle rubriche.
Dello stesso
parere è suor
Guaracema Tupinambá, Provinciale delle Cônegas di Santo Agostinho, che ha
lavorato pastoralmente per molti anni nella regione amazzonica, intervistata
dal giornalista spagnolo Luis Miguel Modino, che dallo scorso anno lavora
presso la REPAM – Rete Ecclesiale Panamazzonica –, quando riflette sui
ministeri ritiene che non si tratta di
portare ministeri alle comunità, ma di "uno scambio molto rispettoso e questo scambio è un processo molto lento
di riflessione e apertura di tutte le parti. È necessario, secondo i religiosi,
spogliarci dei modelli che abbiamo, imparare da esperienze che hanno promosso
una convivenza dal rispetto e dalla volontà di imparare gli uni dagli altri.
Anche per raggiungere tutti, specialmente le pecore che sono del gregge, che
non erano incluse nel gregge". È senza dubbio un modo diverso di
pensare la Chiesa, il suo cammino assieme al popolo di Dio, che si aspetta dai
suoi ministri quell’attenzione e quella capacità di ascolto che lo stesso
Signore Gesù ha mostrato nelle narrazioni dei vangeli. Per certi aspetti,
possiamo affermare che nell’ascolto del popolo di Dio ci viene suggerito quello
che lo Spirito sta indicando per il cammino della sua Chiesa.
Anche mons. Pedro Conti, vescovo
di Macapà nella regione amazzonica è dello stesso parere, azzardando anche
qualche proposta. Mons Conti sostiene che tutte le volte che si spera in un
aumento del clero diocesano, significa avere la mente ancora rivolta a quella
mentalità clericale, così criticata da Papa Francesco, in cui il prete è colui
che realizza i sacramenti. Nel suo modo di vedere il cammino della chiesa in
Amazzonia, il prete dovrebbe essere colui che, per gli studi fatti, si occupa
della formazione dei laici nelle comunità, mentre l’eucarestia e lo stesso
sacramento della confessione potrebbe essere affidata agli stessi laici, a
persone che vivono nella comunità. Anche ai diaconi permanenti potrebbe essere
affidato il compito di celebrare l’eucarestia nelle comunità in cui vivono. Mons
Conti insiste sullo stile del presbitero inserito nella comunità, che lavora in
collaborazione con i laici che assumono vari ministeri. “In questo modo non è più necessaria una dedicazione totale e, quindi,
non è necessario il celibato. Il presbitero della comunità potrebbe lavorare
come insegnate nella scuola e occuparsi della formazione. Bisogna rifarsi
continuamente allo stile di Gesù, che non organizzò nulla, ma camminava assieme
alla gente”.
Occorre imparare a guardare
all’eucarestia come un dono legato alla vita della comunità, più che
all’esercizio di un ministero specifico. L’Amazzonia ci aiuta a vedere il tema
dell’Eucarestia da una prospettiva differente e, di conseguenza, ci invita a
cambiare paradigma, mettendo al centro la comunità, più che il ministro che la
celebra. Mons Conti riflette sul fatto che nelle comunità dell’immensa
Amazzonia, i fedeli desiderano dal presbitero una persona che si fermi con loro
a dialogare, più che quello di essere un organizzatore meraviglioso e un
celebrante di riti. Per questo, la riflessione sulla ministerialità nelle
comunità locali pensata sul campo, più che imposta da Roma, aiuterebbe a vivere
la creatività dello Spirito e a pensare uno stile di Chiesa in sintonia con la
vita del popolo di Dio. Solo in questo modo, vale a dire ascoltando la base
delle comunità, è possibile realizzare un cammino ecclesiale nel quale il popolo
di Dio si identifica.
Su questa linea si è mosso il
Documento preparatorio del Sinodo che, rifacendosi alla dottrina del Concilio
Vaticano II, ci ricorda che tutto il
Popolo di Dio partecipa al sacerdozio di Cristo, benché distinguendo tra
sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale (cf. LG 10). “Per questo, è urgente valutare e ripensare i ministeri che oggi sono
necessari per rispondere agli obiettivi di «una Chiesa con un volto amazzonico
e una Chiesa con un volto indigeno” (Doc. Prep. N.14). Ancora una volta il
Sinodo di ottobre avrà qualcosa da dire non solo per la Chiesa in Amazzonia, ma
per tutto il popolo di Dio. Vale la pena accompagnare il dibattito in corso.
molto interessante e arricchente, come ogni volta che riusciamo ad allargare lo sguardo e ancor di più, il cuore. bisogna resistere alla tentazione di irrigidirsi e chiudersi perché quello che noi chiamiamo conservare porta alla morte dell'anima e all'allontanamento del Messaggio.
RispondiEliminaGrazie per la testimonianza da un angolo di mondo così lontano da noi che può anche significare quanto noi ci siamo allontanati da un mondo semplice che vive nella Vita Vera, nell'Essenza.
Noi occidentali così dopati di benessere e sicurezze, pieni di malizie e di voglia di sentirci buoni, bravi e superiori agli altri, ci stiamo perdendo nel labirinto egoico che ci fa vedere il pericolo fuori da noi stessi.
Spero con tutto il cuore che la Chiesa continui il cammino di coraggio che ha intrapreso e realizzi ciò che Cristo ci ha manifestato, incurante di non-problemi come quello del celibato.
le resistenze sono forti, preghiamo perché non si debba assistere ad un'altra guerra causata da chi ha la certezza della sua superiorità e di detenere la verità.
Buona quaresima a tutti noi
Condivido tutto quanto ci hai comunicato! Specialmente quanto detto dai vescovi sulla ridefinizione della figura del presbitero e delle ministerialità. Sarebbe davvero "il" modo di fare chiesa più vicino alle intenzioni di Gesù. Mi riconosco pienamente anche in quanto scritto da Giuliana. Utilizziamo la Quaresima per riflettere e poi abbandonare le nostre presunzioni, i nostri egoismi e la nostra convinzione di superiorità. La conversione esige proprio la volontà di abbandonare ciò che siamo.
RispondiEliminaGrazie Paolo e grazie Giuliana.
Buona quaresima a tutti