lunedì 25 marzo 2019

ULTIMISSIMA TAPPA: ATALAIA DEL NORD



La chiesa di Atalaia del Nord


Domenica, 24 marzo. È un giorno speciale, è il ricordo del martirio di mons. Oscar Romero, martire della Chiesa, dichiarato santo nell’ottobre dello scorso anno. Per tanti motivi sono particolarmente legato a questo santo al punto da dedicare l’Unità Pastorale a cui ero stato affidato proprio a lui. Le reiterate proteste, però, di alcuni laici e soprattutto, con mia grande sorpresa, di alcuni giovani, mi condussero a decidere di non insistere su questo nome davvero scomodo, ma segno della Chiesa che amo, quella che si sporca le mani e si schiera senza mezzi termini dalla parte dei poveri. Lo scorso anno, alla fine di agosto, ho trascorso una decina di giorni a san Salvador con un gruppo di preti e suore, guidati da Maria Soave Buscemi, sulle orme della Chiesa dei martiri salvadoregni. Romero è, infatti, il personaggio più conosciuto di una Chiesa che è stata letteralmente massacrata durante dodici lunghissimi anni di dittatura militare, che ha visto la morte di circa settantamila persone, tra i quali preti, suore, laici impegnati nelle comunità di base e, soprattutto, tantissimo contadini poveri. Il martirio di Romero va ricordato perché la sua santificazione rischia di annacquare la forza del suo messaggio, di vescovo e pastore assassinato durante una messa per il suo impegno a favore dei contadini poveri della sua diocesi di San Salvador.
Un giovane Oscar Romero


 Forse il suo martirio più profondo è avvenuto dopo la sua morte, quando una fetta significativa della Chiesa salvadoregna ha imposto un vero e proprio ostracismo sulla vita e la morte di mons. Romero, ostracismo spezzato solamente da papa Francesco pochi anni fa. La sua morte è un grido dentro alla storia contro tutti gli impostori, tutti i potenti che non hanno il minor scrupolo a schiacciare i poveri indifesi e senza parole. Romero è morto per questo, perché ha dato voce con il suo esempio e il suo impegno a quelli che non hanno voce, è stato l’anima di un popolo povero e umiliato. La morte di Romero è anche il grido di Dio contro quella Chiesa che non si fa scrupolo di abbandonare il gregge, soprattutto le sue pecorelle più indifese, per andare a braccetto con i potenti, per trarne qualche beneficio. Romero con il suo sangue sparso per i poveri dice al mondo e alla Chiesa che è Cristo il Signore della storia, è a Lui che bisogna guardare ed è Lui solo che occorre seguire e dinnanzi al quale dobbiamo piegare le ginocchia: a Lui solo.

Le "scorciatoie" di Tebito

Giornata trascorsa nell’ultima parrocchia della diocesi di Alto Solimões: Atalaia del Nord. Il viaggio in barca per giungere ad Atalaia è stato il più suggestivo realizzato sino ad ora. Siamo partiti alle sei del mattino per riuscire ad essere presenti per la messa delle otto del mattino. Per arrivare in tempo ci siamo affidati all’esperienza di Tebito, l’autista della lancia-barca della diocesi che ci ha fatto passare in mezzo alla foresta amazzonica, attraversando ben sei scorciatoie. All’arrivo ci hanno accolti i due preti saveriani- Alberto e Pino – che da pochi mesi sono a servizio della parrocchia di Atalaia. Pino è una figura incredibile che ho conosciuto lo scorso anno nel mese di agosto a san Bartolomeo. 

Padre Pino (si intravede in fondo alla foto), padre Alberto e padre Gabriel

Padre Pino Leoni è un saveriano che è arrivato in Brasile nel 1968 e dopo 46 anno era stato richiamato in Italia dal suo ordine. In Italia è durato poco, sino a quando il Vescovo Adolfo, anche lui saveriano, conoscendo la “fibra” di padre Pino, gli ha chiesto di venirlo ad aiutare. Dicevo che Pino l’ho conosciuto lo scorso anno a san Bartolomeo in un modo stranissimo. Ci eravamo messaggiati alcune volte nei mesi precedenti perché padre Pino era venuto a sapere che stavo preparando le valige per l’Amazzonia. Una mattina presto padre Pino mi telefona dicendomi che sarebbe arrivato a Reggio verso le 11, per venirmi a trovare a san Bartolomeo. Verso le 9,30 sento suonare il campanello della canonica. Mi affaccio e che c’è alla porta? Proprio lui, padre Pino che dalla stazione di Reggio prese un tram per arrivare a Coviolo e da lì è venuto a piedi – sì proprio a piedi – a san Bartolomeo. Padre Pino ha 77 anni. Questa storia la riporto volentieri perché è un grande insegnamento. Quando vedo ragazzi di 16-18 anni pretendere dai loro genitori di scarrozzarli qua e là, mi viene in mente questo missionario sorridente che bussa alla mia porta dopo essersi fatto 5 km a piedi senza tante balle.

Paola e Ilaria


Mentre parliamo dopo la messa con le persone del posto, mi accorgo che ci sono due ragazze con l’accento italiano. Sono Ilaria di Firenze e Paola di Salerno. La mamma di quest’ultima è amica di vecchia data di padre Alberto e da parecchi anni desiderava fare un viaggio in Brasile. Quest’anno ha deciso di coinvolgere la sua amica di studi – Scienza della Pace a Pisa (facoltà che non avevo mai sentito nominare) – e così eccole qua a trascorre due mesi della loro giovane vita nella terra brasiliana. Dopo qualche giorno a San Paolo sono arrivate ad Atalaia del Nord, che è una città di 76 mila Kmq e conta circa 20 mila abitanti. Sono state Paola ed Ilaria a condurci sulla riva del fiume Yavarì per mostrarci le imbarcazioni di alcuni popoli indigeni che arrivano in città per ricevere i soldi del governo, fare la spesa, e altre attività, vivendo nel periodo che stanno in città sulle loro barche, che si trasformano in case ambulanti.

Le barche in cui vivono le famiglie dei popoli indigeni quando vengono in città


La caratteristica di questa parrocchia, che è la più grande del mondo, è il suo territorio immenso, percorsa dal fiume Yavarì che è lungo 1200 km. Chiaramente le tre suore e i due preti più una laica saveriana spagnola (Marta) non riescono a coprire con il lavoro di evangelizzazione tutto questo territorio immenso. Per ora, cercano di dare continuità al servizio pastorale avviato in città. L’immenso territorio che si trova sulle rive del fiume Yavari è abitato da sei popoli indigeni. Solamente gli agenti pastorali del CIMI (Consiglio Indigenista (pro Indios) Missionario) riescono ad entrare periodicamente a contatto con questi popoli, grazie ad un progetto di Mani Tese spagnolo. Il lavoro dei tre agenti del CIMI ha come obiettivi di aiutare i popoli indigeni ad avere coscienza dei loro diritti, ad offrire orientamenti sulla salute, oltre ad un accompagnamento sul modo di coltivare alcuni prodotti. È bene ricordare che in questo immenso territorio, oltre ai sei popoli indigeni ricordati prima, ce ne sono anche sedici che non voglio nessun contatto con il mondo
Nel ritorno breve visita all’esperienza delle quattro suore di tre congregazioni religiose, che avevamo visto nel mese di giugno nella comunità di Islandia che si trova in Perù. In casa ne abbiamo trovato solo due: Emilia e Fatima. Diversamente dal nostro primo incontro, in cui manifestavano una certa pesantezza del loro lavoro pastorale, a causa della resistenza dei popoli indigeni incontrati, ore le cose sembrano migliorate. “Primo del nostro arrivo – ci dice suor Emilia- le comunità indigene venivano vistate raramente: non c’era un accompagnamento religioso e pastorale regolare. Ora che andiamo almeno una volta al mese e a volte due, la gente si sta abituando alla nostra presenza: ci aspetta e ci riconosce”.

Andremo a lavorare in ina diocesi, se il Signore vorrà, dove non mancano le sfide. Credo sia importante per la Chiesa di Reggio mantenere aperta una finestra sul cammino della Chiesa latinoamericana e, in modo particolare, ora, sulla Chiesa in Amazzonia. La ministerialità della Chiesa ci interpella per la strutturazione di comunità che dovrebbero sempre più vedere la corresponsabilità di laici e laiche. L’incontro con i popoli indigeni, l’attenzione alla loro cultura e religiosità, ci stimola a confrontarci sempre con le diversità che incontriamo, per sfuggire alla tentazione di modellare la Chiesa a tinta unica, la tinta di coloro che sono la maggioranza, escludendo le minoranze. Infine, Il cammino con la Chiesa in Amazzonia ci ricorda ogni giorno che dobbiamo prenderci sempre cura di un pianeta che stiamo distruggendo e che l’attenzione con il creato, opera di Dio, è il primo modo di dire sì alla vita.

3 commenti:

  1. Grande Paolo, saluta i 2 Gabriele!

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  2. Oh, no..., pe Paolo!!! Due ragazze!! Chissà adesso che storia torbida potranno imbastire quelle subdole testate giornalistiche, quassù “in Città”, come sequel di tue “presunte” loves stories!!! Questo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che ogni tuo comportamento non teme esposizioni a letture “distorte” da parte dei mass-media, ma seguono la massima evangelica “la verità vi farà liberi”! AVE ATQUE VALE, AMICO MIO!!
    P.S. Ci terrei a specificare, a scanso di equivoci, che Ave e Vale non sono due donne.

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  3. Ave e Vale non sono due donne? E allora come fanno alle testate giornalistiche ad inventarsi qualcosa di cui riempire la testa di chi li legge? Grazie sempre Paolo dei tuoi aggiornamenti... Preziosi, grazie

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