Nel
nome del Signore
VITO
MANCUSO - LA STAMPA, 25 Maggio 2022
Il cardinale, arcivescovo di Bologna, Matteo
Maria Zuppi, neo Presidente Cei
Credo che la maniera
migliore di commentare la nomina del cardinale Matteo Zuppi a presidente della
Conferenza episcopale italiana sia di istituire un confronto tra lui e coloro
che l’hanno preceduto in quella carica. Assumendo il governo del cardinal
Bassetti come un periodo che definirei di transizione, penso che il vero
confronto vada istituito con il duo Ruini-Bagnasco che per ben 26 anni,
precisamente dal 1991 al 2017, hanno guidato la Cei in stretta continuità tra
loro. Ebbene, se mettiamo in parallelo le personalità Ruini-Bagnasco e quella
del neopresidente Zuppi il risultato che emerge, a mio avviso, è il seguente:
da un lato l’istituzione, dall'altro il movimento; da un lato la politica,
spesso declinata anche come “partitica”, dall’altro la società; da un lato la
forma e talora la formalità, dall’altro la spontaneità e la fantasia; da un
lato la tradizione, dall’altro l’innovazione; da un lato la sicurezza,
dall'altro la volontà di infondere coraggio (il che è un’altra cosa dal dare
sicurezza, perché chi dà sicurezza toglie la libertà, mentre chi infonde
coraggio toglie la paura mantenendo la libertà). Insomma, da un lato il potere
della Chiesa gerarchica, dall’altro il servizio della Chiesa comunità. Da un
lato la Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, dall’altra quella di
Francesco. So bene che in ambito ecclesiale non si amano queste
contrapposizioni e si tende a sottolineare ovunque lo svilupparsi lineare e
concorde dell’unica tradizione e dell’unico carisma, ma ci sono duemila anni di
storia ecclesiastica a mostrare nel modo più evidente che le differenze
esistono e che spesso si esplicitano proprio nelle contrapposizioni sopra
evidenziate. E come l’elezione di Bergoglio ha determinato la leadership
dell’ala profetica e progressista nella Chiesa cattolica, così la nomina di
Zuppi fortemente voluta da Bergoglio è destinata a introdurre anche nella
Chiesa italiana il primato della profezia e di quelle evoluzioni che
genericamente chiamiamo progresso.
Non
è facile il compito della Chiesa italiana oggi, come non è facile in genere il
compito di essere cristiani in Occidente. Non lo è perché le nostre società
apprezzano l’anti-istituzionalità, la ribellione, il no più del sì, premiano le
alternative e gli alternativi, e quindi istintivamente non amano le istituzioni
portatrici di una lunga e pesante tradizione, tra le quali primeggia la Chiesa
cattolica. Papa Francesco risulta tanto popolare esattamente per la sua carica
alternativa, un Papa non papale, quasi laico con quelle sue scarpe nere del tutto
normali, e il cardinal Zuppi oggi alla guida della Chiesa italiana ha uno stile
personale del tutto simile, senza minimamente atteggiarsi a “bergogliano”
perché egli è proprio così di suo, e anzi complessivamente è più dolce e più
mite di Bergoglio che invece, da antico gesuita, sa essere talora aspro e
direttivo.
Ma
il punto vero riguarda il mondo, non la Chiesa, perché la Chiesa esiste per il
mondo, non per sé, e anzi quando è in funzione di sé e non del mondo tradisce
la missione per cui venne fondata. E all’interno di un mondo come l’attuale
risentito verso il passato e spaventato ancora più del futuro, un mondo privo
di certezze se non quelle del denaro e del piacere che nulla hanno a che fare
con l’etica e che per questo non sanno infondere il bene più prezioso che è la
pace interiore, un mondo in cui sono sempre di più coloro che risultano
completamente analfabeti in materia religiosa, in questo mondo delle pandemie e
delle guerre, dell’emergenza climatica e delle migrazioni, in questo mondo che
sembra appartenere più al diavolo che di Dio, qual è il contributo che può dare
la Chiesa? Me lo chiedo pensando a Matteo Zuppi che da anni conosco
personalmente e con il quale ogni tanto andavo nella trattoria a due passi
dall’arcivescovado bolognese osservando come in quei quattro passi per strada
fossero numerose le persone che lo fermavano e lo salutavano, e come egli
avesse uno sguardo e una parola per tutti. Ma ecco il primo contributo della
Chiesa: umanità, fraternità, superamento delle solitudini, senso di comunità,
gentilezza, calore umano, genuina accoglienza. L’evangelizzazione passa da qui,
senza umanità e comunità non c’è oggi nessun Vangelo che tenga. È esattamente
quello che papa Francesco vuole dei vescovi e dei preti: che abbiano “l’odore
delle pecore”, metafora evangelica per dire la capacità di vicinanza dei
sacerdoti alla gente.
C’è
però anche bisogno di un altro odore, quello dell’incenso. Intendo il bisogno
di recuperare il senso del sacro e della liturgia perché troppo spesso le messe
sono celebrazioni formalistiche e chiassose dove il senso del mistero si perde,
dove non si prega, dove si ascoltano prediche scontate, non ci si raccoglie,
non si medita, e ci sono ben poche tracce di spiritualità. Qui passa a mio
avviso uno dei fronti più urgenti della missione della Chiesa italiana e
sarebbe un errore fatale trascurarlo, o peggio ancora rendere la liturgia
dominio dei tradizionalisti anticonciliari, gente non priva di forti
accentuazioni fasciste e antisemite. La Chiesa italiana deve lavorare per
ritrovare la sacralità e la bellezza antica della liturgia, e far riassaporare
il suo mistero non a dispetto del mondo contemporaneo ma donando a questo
mondo, ormai privo di riti degni di questo nome, ciò che esso ha perduto: il
sacro, il mistero, la solennità. Anche questo mi aspetto dal cardinale Zuppi
presidente della Cei e so che egli è in grado di lavorare al riguardo. Meno di
una settimana fa eravamo seduti insieme nella Sala Rossa del Lingotto a
ragionare sul teologo luterano Dietrich Bonhoeffer davanti al pubblico del
Salone del Libro di Torino. Il tema era: “Trovare Dio in ciò che conosciamo”,
una frase che Bonhoeffer scrisse in una lettera del 30 maggio 1944. Ebbene, io
mi attendo che il nuovo Presidente dei vescovi aiuti il nostro Paese a trovare
Dio. Sono sicuro che anche i laici ne trarrebbero beneficio, perché non si
tratta di tornare tutti in Chiesa in processione in fila per due, come forse
avrebbero voluto i precedenti presidenti della Cei. Si tratta piuttosto di
“mettere ordine nella propria vita”, per riprendere l’espressione di Ignazio di
Loyola che il cardinal Martini ricordava molto spesso, il che può avvenire solo
in presenza di un principio ordinatore – che poi lo si chiami Dio, o giustizia,
bellezza, verità, amore, bene, è una questione tutto sommato secondaria.
Dall’ordine
introdotto nella propria vita nasce il coraggio, ciò di cui il nostro tempo ha
un bisogno urgente, come dell’aria che si respira. Si tratta di dare coraggio a
questo nostro tempo spaventato, spaventatissimo. Una volta insieme in trattoria
gli proposi una grande assemblea sulla paura: tre, quattro, cinque giorni in
cui convocare le più interessanti personalità italiane, credenti e no, a
raccontare le loro paure. Mi ascoltò con interesse, poi non ne fece nulla,
immagino non trovò il tempo. Ora però ha a disposizione le leve del comando
della Chiesa italiana, non tanto, ovviamente, per fare l’assemblea, quanto per
infondere coraggio. Etimologicamente coraggio significa azione del cuore, con
il termine formato dal latino “cor-cordis” e dal suffisso -aggio che esprime
l’azione specifica del sostantivo (come spia-spionaggio,
vagabondo-vagabondaggio e così via). Zuppi ha un grande cuore, lo so, quindi le
carte in regola per la missione più importante che lo aspetta.
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