La
Tenda di Gionata (a cura di), Genitori fortunati. Vivere da credenti il
coming out dei figli, Effatà, Torino 2022.
Recensione
di: Paolo Cugini
Non c’è verità più grande che
quella sperimentata di persona. La forza della testimonianza personale non
ammette discorsi che tentino di confutarla: è la forza dell’evidenza. È questo
dato che si percepisce leggendo le testimonianze di alcuni genitori “fortunati”,
per dirla con il titolo del libro, testimonianza che ribalta il modo di sentire
comune, impastato di pregiudizi a basso prezzo. È il principio di realtà che è
capace di scardinare le presunte certezze, che sembrano invincibili quando sono
sorrette da dottrine religiose e supportate dalla cultura patriarcale. È il
cuore di una mamma, l’amore di un padre che sono capaci di cogliere la realtà
delle cose, comprendere la verità di un figlio, una figlia che fa coming out,
liberandoli, così, dal dolore provocato dall’isolamento e dal giudizio del
mondo circostante. Le testimonianze di Mara e Agostino, Dea, Corrado e Michela,
Maria Rosaria, Anna, Serenella e Salvatore, in modi diversi sono rivelative,
nel senso che manifestano la presenza del Mistero nelle situazioni più
impensabili. Leggendo queste pagine si coglie tutta la sofferenza e il timore
dei giovani che vanno dai loro genitori per dire-rivelare la propria identità
e, dall’altra parte, la sofferenza, lo smarrimento di adulti impreparati
dinanzi a tali rivelazioni. Pagine cariche di amore, di persone che decidono di
lasciarsi guidare dal cuore, di dar valore ai propri sentimenti, le proprie
sensazioni, di ascoltare la propria coscienza, per mettere in grado
l’intelligenza di riconoscere ciò che è autentico e, in questo modo, iniziare
il processo di smascheramento e di decostruzione delle pseudo verità assimilate
inconsciamente dalla cultura e dalla religione. Accettare il coming out dei
figl*, soprattutto per chi vive in un ambito religioso, esiger coraggio, amor
proprio, fiducia in se stessi, fede in Dio e nei suoi progetti misteriosi, la
percezione che non si è mai arrivati e che le verità più profonde esigono
umiltà, disponibilità all’ascolto, la decisione intelligente di dedicare tempo
alla novità emersa. Tutto questo percorso non è segnato esclusivamente dalla
sofferenza interiore, da un malessere generalizzato, dalla sensazione di aver
sbagliato tutto. Il cammino intrapreso da questi genitori li conduce ad essere
persone nuove, a scoprire mondi nuovi e, così, a giungere a ringraziare Dio per
il dono di una figlia lesbica, di un figlio omosessuale e di essere, in fin dei
conti, dei genitori fortunati, sommamente fortunati, benedetti da Dio. C’è di
più. Leggendo queste testimonianze e ascoltandole di persona, come in alcuni
casi mi è capitato, c’è la percezione che questi genitori avvertono la
responsabilità di non tenere solamente per sé questa gioia, questa preziosa
scoperta inaudita, ma di comunicarla, di aiutare altri genitori ad avere
l’umiltà e la pazienza di mettersi in cammino con i propri figl*.
Il volume, che era nato come
raccolta di alcune testimonianze di genitori con figl* LGBT+, è stato in
seguito arricchito da alcuni contributi significativi, che aiutano i credenti a
cogliere più in profondità il fenomeno in questione. Tra questi, intendo
evidenziarne due. Il primo, è del biblista di Torino Gian Luca Carrega, da anni
impegnato ad accompagnare i cristiani LGBT+ della sua diocesi, analizza i testi
che parlano nella Bibbia di omosessualità. In modo particolare, sono da
segnalare l’analisi proposta per i due brani più famosi, che spesso vengono
utilizzati dai cattolici tradizionalisti per sostenere tesi omofobe. Il primo è
Genesi 19,1-11, che narra il tentativo da parte degli abitanti di Sodoma di
abusare sessualmente di due ospiti della casa di Lot. Carrega fa notare che:
“lo stupro degli ospiti non è legato ad una attrazione nei loro confronti, ma
al desiderio di sottometterli fisicamente e di esprimere il dominio sugli
stranieri” (p.70). L’analisi comparata
con un altro testo della Scrittura, vale a dire Giudici 19,15-28, mostra come i
violentatori non fanno alcuna differenza tra maschi e femmine, “ma desiderano
soltanto imporre la legge del branco che non tollera la presenza di stranieri
nel proprio territorio” (p. 71). Uno dei grandi insegnamenti della Dei
Verbum, il documento del Concilio Vaticano II sulla Parola di Dio, è stato
proprio quello di uscire da una lettura fondamentalista della Scrittura, per
imparare a contestualizzare i testi, per cercare di cogliere quello che Dio
voleva dire alla comunità in quel determinato contesto culturale. Spesso il
rischio, nelle comunità cristiane, abituate a leggere la Parola alla lettera, consiste
nel far passare come parola di Dio ciò che, invece, ad una lettura attenta,
emerge come dato culturale dell’epoca dell’autore. È proprio ciò che viene
messo in risalto dall’analisi di Carrega del brano indicato e anche dall’altro
brano famoso: Romani 1, 26-27. In questi versetti c’è un’affermazione piuttosto
dura di Paolo nei confronti delle donne “che hanno cambiano i rapporti naturali
in quelli contro natura”. Secondo Carrega, anche in questo caso occorre
inquadrare il testo all’interno del contesto culturale del tempo di Paolo.
“L’apostolo non biasima le donne che si concedono a questi rapporti, ma censura
i loro mariti che permettono questi comportamenti” (p.75). In una società
maschilista è l’uomo che deve vigilare sulla condotta della donna e, le sue
eventuali trasgressioni, ricadono sotto la sua diretta responsabilità. Carrega
aiuta il lettore, dunque, a leggere in modo più attento e approfondito questi e
altri passi biblici, per imparare ad uscire dalla logica di forzare la Bibbia
per ottenere un sostegno alle proprie presunte ragioni e immettersi, così, in
un cammino di ascolto, che è l’unico modo per permettere alla Parola di
penetrare nel cuore e cambiarlo.
L’altro contributo che desidero
indicare come apporto significativo per la comprensione delle testimonianze,
che si trovano nella prima parte del libro, è quello del giovane filosofo
Damiano Migliorini: spunti di antropologia relazionale. Il tema
dell’omosessualità chiama in causa non solo la prospettiva religiosa, ma anche
l’idea di uomo, donna, in una parola: la prospettiva antropologica. Anche in
questo caso, come per la Bibbia, molte idee strane ce le facciamo assorbendo
dal contesto culturale e sociale in cui viviamo e, con questo armamentario
superficiale, pronunciamo sentenze inappellabili su realtà che a mala pena
conosciamo. Nonostante la giovane età, sono ormai alcuni anni che Migliorini
sta proponendo una riflessione antropologica che prenda le distanze dal
dualismo di tipo platonico, che ha modellato la cultura occidentale, per
sperimentare il cammino della relazionalità, vale a dire, della percezione che
la nostra identità si modella a partire dalle relazioni che vive. “Il soggetto
è costitutivamente relazionale: dai gesti, alle esperienze nel grembo,
attraverso tutte le interazioni soggettive” (p. 95). Facendo riferimento alla
filosofa Martha Nussbaum, Migliorini ci ricorda che nelle relazioni entrano in
gioco le emozioni che, a differenza di ciò che si pensa, non sono mai pure, ma
anch’esse vengono costruite socialmente già al tempo dell’infanzia. C’è un
cammino che compiamo nel quale abbiamo la possibilità di apprendere dalle
nostre emozioni, provocate anche dalle relazioni che ci troviamo a vivere.
Dalla complessa interazione di fattori corporei e psicologici “si determinano molte
esistenze umane, varianti naturali dell’unica umanità: intersessuali,
transessuali, omosessuali, eterosessuali…e la lista sarebbe piuttosto lunga” (p.102).
La riflessione antropologica deve, a sua volta, aiutare l’etica a non formulare
indicazioni astratte, ma che sappiano tener conto che, la definizione di ciò
che è normale e patologico “è sempre legata al momento storico e ai dispositivi
di potere in essi presenti”. Il discorso sull’omosessualità coinvolge aspetti
culturali che, se non analizzati in profondità, rischiano di essere
assolutizzati e condizionare il dibattito antropologico a scapito di una
comprensione distorta della realtà delle cose. Questo pericolo è ben evidente
tutte le volte che si entra nel campo della determinazione della natura
dell’uomo. Spesso si spaccia come verità assoluta sulla natura umana, ciò che,
in realtà, non è altro che, come ricorda Migliorini, un “deposito culturale”,
una “curvatura epistemica” (p.105). Il contributo dell’antropologia culturale
da una parte e delle scienze storiche dall’altra, hanno permesso al dibattito
sul tema della natura umana, di non scivolare nelle sabbie mobili delle
culture, per riuscire a portare il discorso sulla natura nell’ambito
dell’antropologia relazionale, svincolandolo, in questo modo, da presupposti
metafisici ormai obsoleti.
Il libro contiene anche alcune
sagge raccomandazioni ai genitori con figli LGBT+, di Gianni Geraci, che da
decenni accompagna il cammino ecclesiale di tanti cristiani LGBT+; le
riflessioni della pedagogista Alessandra Bialetti sul coming out in famiglia e
la toccante testimonianza di suor Jeannine Gramick, che condivide alcune
considerazioni sull’esperienza fatta assieme a padre Robert Nugent con un
gruppo di lesbiche e gay a Philadelphia. Si tratta, dunque, di un testo nuovo
nel suo genere, che offre spunti di riflessione e un materiale approfondito,
utile sia per la lettura personale che per cammini formativi con gruppi.
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