mercoledì 30 novembre 2016

PREGIUDIZIO E VANGELO




Paolo Cugini

Lo dice la parola stessa: il pregiudizio è qualcosa che precede. Prima di conoscere l’oggetto lo precedo con un giudizio. Il pregiudizio è dunque, innanzi tutto, un difetto di conoscenza, vale a dire un’affermazione d’ignoranza nei confronti di qualcosa. Il pregiudizio è il modo di affrontare la realtà di colui che si accontenta del poco che sa o del nulla che presuppone di sapere e non ha intenzione di compiere alcun passo verso la conoscenza dell’oggetto in questione. Il pregiudizio si appoggia sulla pigrizia, che va a braccetto con la stupidità. Il problema è che, con l’andar del tempo, il pregiudizio si consolida, diventa rigido e viene confuso con la verità. È in questa fase che, la persona abitata dal pregiudizio, si scatena per difenderlo contro qualsiasi forma di posizione contraria.

Perché Il pregiudizio è così duro a morire? Soprattutto è bene chiedersi, perché la persona abitata dal pregiudizio, fa fatica a prendere le distanze da questo difetto di conoscenza? Il pregiudizio dice di un modo ben preciso di porsi dinanzi alla realtà. È un modo di essere, in un certo senso, uno stile di vita. Il pregiudizio, infatti, non è mai isolato. Quando trova spazio in una persona, non è a caso. C’è già tutto un terreno preparato, coltivato da anni di pigrizia, di chiusure mentali, di barriere alzate contro ogni tipo di novità, di resistenze sistematiche su tutti i fronti. Non si tratta, quindi, di una presa di posizione isolata nei confronti di qualcosa o di qualcuno, ma di uno schema di riferimento, di un modo di porsi. Il pregiudizio trova dunque spazio nelle vite adagiate, tranquille, nelle persone che non vogliono nessun problema, in una parola, nelle persone abituate. Non è che l’abitudine sia qualcosa di negativo, ma l’abitudine a qualcosa dev’essere continuamente verificata, rinnovata per non correre il rischio di vivere su schemi anchilosati e che non riflettono più la realtà. La persona abitata dal pregiudizio vive proteggendosi dalla realtà, perché questa con la sua dinamicità e pluralità provoca la persona al cambiamento, che esige fatica, sforzo di adattamento al nuovo contesto. Il pregiudizio è il contrario della novità: non l’accetta proprio.

In un certo senso il pregiudizio è una forma grezza d’idealismo. Come l’idealismo, infatti, il pregiudizio non ascolta la realtà, ma la precede con un giudizio. L’idealismo elabora un sistema di pensiero a partire da alcuni presupposti teoretici e con questo sistema interpreta la realtà, ne orienta il cammino. Molto meno elaborato e sofisticato è il processo di formazione del pregiudizio, che si alimenta di ciò che trova e non fa il minimo sforzo per approfondire il contenuto trovato. Sia l’idealismo che il pregiudizio sorvolano la realtà, non la considerano come fonte del pensiero e, quindi, della vita. Semplicemente la interpretano, la anticipano. C’è un pensiero bell’e fatto, come direbbe Péguy, che fa comodo a coloro che si lasciano guidare dal bisogno di sicurezza e non c’è nulla di più sicuro che le verità eterne, che i giudizi consolidati nel tempo, che non cambiano mai. La realtà, in questa prospettiva, diventa un problema perché muta continuamente, è soggetta a divenire del tempo e della storia. Per sua costituzione la realtà non è univoca, ma plurale, dinamica: tutte caratteristiche che si trovano agli antipodi con il pensiero fisso dell’idealismo o delle sue forme grezze come il pregiudizio.


Il Vangelo offre la cura per ogni forma di pregiudizio. Nel Vangelo, infatti, la realtà precede l’idea, nel senso che Gesù, la Verità definitiva del Padre, si fa uomo ed entra nella storia, nell’oggi degli uomini e delle donne. A partire da Lui, la Verità smette di essere un concetto astratto, ma diviene concreto, e per coglierla occorre mettersi in ascolto della realtà e non precederla. La Verità di Gesù che si manifesta nella storia è l’annichilimento di ogni forma di pregiudizio e di verità astratta. San Pietro nella sua prima lettera ci ricorda che i cristiani sono pellegrini nel mondo e quindi in continuo movimento: non si fermano mai. Negli atti degli Apostoli le prime comunità cristiane vengono definite il Cammino. C’è una percezione nella chiesa delle origini che il farsi discepolo e discepola del Signore esige la disponibilità a lasciarsi guidare, a camminare, ad alzarsi ed uscire dalle sicurezze precostituite di cui si alimenta l’anima. Seguire il Vangelo richiede l’attitudine al cambiamento, alla costante verifica delle proprie posizioni, alla disponibilità a mettersi in discussione. Il Vangelo non è fatto per persone adagiate, che cercano la tranquillità. La fede in Gesù significa inquietudine, desiderio di autenticità, desiderio di uscire dai cammini torbidi del pensiero precostituito. 

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