Paolo
Cugini
Leggere
i testi dei profeti d’Israele è un’esperienza che lascia l’animo inquieto.
Sfogliando le pagine di questi personaggi unici nel loro genere, ci s’imbatte
in una serie di espressioni letterarie a dir poco originali. Troviamo, infatti, oracoli, profezie e,
soprattutto, visioni. I profeti vedevano cose che gli altri non riuscivano a
percepire: come mai? Da dove veniva questa capacità? Come facevano a vedere al
di là del presente? È difficile rispondere a questa domanda, anche perché spesso
i dati sulla loro vita sono scarsi. Oltre a ciò, oggi non esistono personaggi
come i profeti dell’Antico Testamento.
Parlare di visioni non vuol
dire spingere la riflessione su un terreno irreale. La visione non è
un’illusione, ma esprime la capacità di vedere al di là dei dati materiali e
del presente storico, pur rimanendo sul piano della storia. Essa è un modo di
cogliere la realtà in una prospettiva storica, che solamente colui che vive e
sente la storia può avere. Non a caso i profeti erano persone molto attente ai
problemi del loro tempo. Venivano consultati dai re sui problemi economici e
politici. Interpretavano gli eventi storici del tempo alla luce della Parola di
Dio, che meditavano continuamente. I profeti erano persone che provenivano da
un’esperienza profonda di Dio e per questo offrivano ai loro contemporanei ciò
che loro stessi vivevano in prima persona pur non cogliendolo, vale a dire il
senso della storia e della vita. Avevano appreso a considerare gli eventi
storici non come semplici accadimenti, ma come portatori di un significato,
come spazio di una rivelazione. Sono i profeti che colgono la storia come
manifestazione della volontà di Dio. C’è un Dio che comunica agli uomini la sua
volontà e lo fa utilizzando lo stesso linguaggio che l’uomo può comprendere,
vale a dire gli eventi storici. E’ nell’evento storico che Dio dona sé stesso,
che si rivela.
La profezia per poter esprimere
il proprio contenuto non passa sopra la realtà, ma la penetra. La profezia si
alimenta della realtà perché dice qualcosa che non è sopra la realtà, ma la
interpreta. Ecco perché il profeta come uomo di Dio è profondamente incarnato
nel suo tempo. Quello che lui riesce a vedere e ad esprimere è frutto da una
parte del suo radicamento profondo ad un territorio e ad una storia e, dall’altro,
dal suo rapporto originalissimo con Dio. Certamente una vita così porta con sé molta
solitudine. Il profeta però, non disprezza la solitudine, non la tema, ma la
esige. Ne ha bisogno come l’aria per poter sprofondarsi indisturbato nel suo
rapporto personalissimo con Dio. La cerca per poter penetrare la scorza dura
del tempo materiale, che non permette di cogliere ciò che gli eventi
contengono. La desidera per non essere travolto dalla superficialità che il
mondo materiale porta con sé e che potrebbe intaccare la sua capacità di vedere
al di là delle cose. Non è facile l’equilibro richiesto dal profeta. Da una
parte la necessità di essere profondamente legato al suo tempo, immerso nella
storia; dall’altra uomo di Dio, bisognoso di solitudine per captare la voce del
Signore.
Riflettendo sulla vita dei
profeti si capisce molto bene il perché oggi questi personaggi non esistano
più. Ci manca la loro attenzione al presente, il loro attaccamento alla realtà,
il loro desiderio di Dio. C’è troppa distrazione intorno a noi per poter vedere
cose diverse da quelle che i nostri occhi vedono. Sono troppo veloci le
sollecitazioni sensoriali per lasciar spazio a ciò che è sopra sensibile. Per
questo anche la religione non sempre è spazio, nel nostro mondo post moderno,
per l’incontro con Dio. Se l’attaccamento alla storia è fondamentale per
captare il suo cammino, la sua direzione, allora siamo destinati a rimanere
chiusi nella nostra cecità. La nostra cultura Occidentale vive schiacciata in
un presente che non mostra nessun futuro. C’è un’eccessiva provocazione delle
percezioni sensoriali e pochissimo spazio e, soprattutto, pochissimo tempo che
viene concesso per l’elaborazione e interiorizzazione delle esperienze
realizzate.
Eppure se c’è una cosa di cui
oggi abbiamo più che mai bisogno è proprio questa, vale a dire la capacità di
vedere al di là dei dati materiali, la capacità di avere visioni. Ne hanno
bisogno i padri e le madri nei confronti dei loro figli. Ne hanno bisogno tutti
coloro che esercitano una funzione educativa nella società. Forse è questa
capacità posseduta dai profeti, il prezzo più alto che la società post moderna
sta pagando, accettando di essere guidata dalle logiche neo liberali, dai
mercati finanziari, dalla logica del denaro che massifica e quantifica tutto.
Poter vedere al di là delle cose e comunicare queste visioni immette speranza
nelle nuove generazioni, le aiuta soprattutto a organizzare il proprio vissuto
attorno a dei significati che durano nel tempo. La durata, la resistenza, il
rimanere attaccati ai sogni pensati sono elementi fondamentali dell’esistenza, perché
permettono di dare un significato alle scelte fatte. Trasmettere visioni è
forse uno dei compiti più importanti di un padre e di una made. Creare le
condizioni affinché sia coltivata questa capacità è forse uno dei compiti più importanti
che la Chiesa ha dinanzi in questo mondo postmoderno.
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