domenica 4 dicembre 2016

VISIONI




Paolo Cugini

Leggere i testi dei profeti d’Israele è un’esperienza che lascia l’animo inquieto. Sfogliando le pagine di questi personaggi unici nel loro genere, ci s’imbatte in una serie di espressioni letterarie a dir poco originali.  Troviamo, infatti, oracoli, profezie e, soprattutto, visioni. I profeti vedevano cose che gli altri non riuscivano a percepire: come mai? Da dove veniva questa capacità? Come facevano a vedere al di là del presente? È difficile rispondere a questa domanda, anche perché spesso i dati sulla loro vita sono scarsi. Oltre a ciò, oggi non esistono personaggi come i profeti dell’Antico Testamento.
Parlare di visioni non vuol dire spingere la riflessione su un terreno irreale. La visione non è un’illusione, ma esprime la capacità di vedere al di là dei dati materiali e del presente storico, pur rimanendo sul piano della storia. Essa è un modo di cogliere la realtà in una prospettiva storica, che solamente colui che vive e sente la storia può avere. Non a caso i profeti erano persone molto attente ai problemi del loro tempo. Venivano consultati dai re sui problemi economici e politici. Interpretavano gli eventi storici del tempo alla luce della Parola di Dio, che meditavano continuamente. I profeti erano persone che provenivano da un’esperienza profonda di Dio e per questo offrivano ai loro contemporanei ciò che loro stessi vivevano in prima persona pur non cogliendolo, vale a dire il senso della storia e della vita. Avevano appreso a considerare gli eventi storici non come semplici accadimenti, ma come portatori di un significato, come spazio di una rivelazione. Sono i profeti che colgono la storia come manifestazione della volontà di Dio. C’è un Dio che comunica agli uomini la sua volontà e lo fa utilizzando lo stesso linguaggio che l’uomo può comprendere, vale a dire gli eventi storici. E’ nell’evento storico che Dio dona sé stesso, che si rivela.
La profezia per poter esprimere il proprio contenuto non passa sopra la realtà, ma la penetra. La profezia si alimenta della realtà perché dice qualcosa che non è sopra la realtà, ma la interpreta. Ecco perché il profeta come uomo di Dio è profondamente incarnato nel suo tempo. Quello che lui riesce a vedere e ad esprimere è frutto da una parte del suo radicamento profondo ad un territorio e ad una storia e, dall’altro, dal suo rapporto originalissimo con Dio. Certamente una vita così porta con sé molta solitudine. Il profeta però, non disprezza la solitudine, non la tema, ma la esige. Ne ha bisogno come l’aria per poter sprofondarsi indisturbato nel suo rapporto personalissimo con Dio. La cerca per poter penetrare la scorza dura del tempo materiale, che non permette di cogliere ciò che gli eventi contengono. La desidera per non essere travolto dalla superficialità che il mondo materiale porta con sé e che potrebbe intaccare la sua capacità di vedere al di là delle cose. Non è facile l’equilibro richiesto dal profeta. Da una parte la necessità di essere profondamente legato al suo tempo, immerso nella storia; dall’altra uomo di Dio, bisognoso di solitudine per captare la voce del Signore.
Riflettendo sulla vita dei profeti si capisce molto bene il perché oggi questi personaggi non esistano più. Ci manca la loro attenzione al presente, il loro attaccamento alla realtà, il loro desiderio di Dio. C’è troppa distrazione intorno a noi per poter vedere cose diverse da quelle che i nostri occhi vedono. Sono troppo veloci le sollecitazioni sensoriali per lasciar spazio a ciò che è sopra sensibile. Per questo anche la religione non sempre è spazio, nel nostro mondo post moderno, per l’incontro con Dio. Se l’attaccamento alla storia è fondamentale per captare il suo cammino, la sua direzione, allora siamo destinati a rimanere chiusi nella nostra cecità. La nostra cultura Occidentale vive schiacciata in un presente che non mostra nessun futuro. C’è un’eccessiva provocazione delle percezioni sensoriali e pochissimo spazio e, soprattutto, pochissimo tempo che viene concesso per l’elaborazione e interiorizzazione delle esperienze realizzate.
Eppure se c’è una cosa di cui oggi abbiamo più che mai bisogno è proprio questa, vale a dire la capacità di vedere al di là dei dati materiali, la capacità di avere visioni. Ne hanno bisogno i padri e le madri nei confronti dei loro figli. Ne hanno bisogno tutti coloro che esercitano una funzione educativa nella società. Forse è questa capacità posseduta dai profeti, il prezzo più alto che la società post moderna sta pagando, accettando di essere guidata dalle logiche neo liberali, dai mercati finanziari, dalla logica del denaro che massifica e quantifica tutto. Poter vedere al di là delle cose e comunicare queste visioni immette speranza nelle nuove generazioni, le aiuta soprattutto a organizzare il proprio vissuto attorno a dei significati che durano nel tempo. La durata, la resistenza, il rimanere attaccati ai sogni pensati sono elementi fondamentali dell’esistenza, perché permettono di dare un significato alle scelte fatte. Trasmettere visioni è forse uno dei compiti più importanti di un padre e di una made. Creare le condizioni affinché sia coltivata questa capacità è forse uno dei compiti più importanti che la Chiesa ha dinanzi in questo mondo postmoderno. 

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