Paolo Cugini
Un
conto sono le ferite lievi, quelle che le curi anche leccandotele, quelle
ferite che lo vedi subito che non saranno troppo dannose e quasi ci ridi sopra.
Poi, ci sono quelle un po' più profonde, quelle che lasciano il segno e un po'
ti spaventano perché ti costringono a fermarti e non le puoi curare solamente
con una leccata. Esigono una visita, un medico, delle cuciture: insomma, una
cosa seria.
Poi,
a volte, arriva il giorno della ferita, che capisci subito che sembra senza
cura, sembra qualcosa d’irreversibile e che farai fatica a saltarci fuori. Ci
sono degli eventi, che alcune persone vivono nella vita, che producono ferite
di una tale forza, con una tale violenza, che non hanno cura, sono senza
ritorno, definitive. Con il tempo, per chi sopravvive, si possono cicatrizzare,
lenire, ma faranno per sempre male. Quante notti piangerai, quanti giorni
passerai pensando a quegli eventi, a quel dolore che ti prende l’anima e non ti
lascia in pace. In quanti momenti cercherai di capire com’è potuto succedere.
Quanta disperazione invaderà il cuore, per la percezione che non c’è cura, non
c’è rimedio, che il dolore sarà infinito, per sempre.
E
allora c’è chi non resite, che non riesce ad aspettare. Come biasimarli. Anche
perché è facile parlare del dolore dell’altro, dare consigli sul dolore altrui,
quando tu non sai nemmeno che cos’è, non capisci neanche di che cosa si sta
parlando. Se almeno tacessi, faresti meno male e farebbe meno male! C’è chi invece,
ed è la maggioranza, cerca il cammino della dimenticanza, dello stordimento, proprio
perché ha capito che non c’è cura ed è stufo di sentire il dolore venire su
dall’anima.
Ci sono altri, infine, che proprio dentro questo cammino di eterno dolore, percepiscono la presenza di colui che solo può guarire le ferite mortali ed arrivano a gridare: felice ferita che mi ha permesso di rinascere!
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