Editoriale
Insieme ottobre 2017
Paolo Cugini
Il
mese missionario ci offre la possibilità di riflettere sulla comune indole
missionaria dei battezzati. Missionarietà che siamo soliti pensarla come
qualcosa di specifico, di una vocazione specifica di qualcuno che esce dal
proprio paese per annunciare il Vangelo altrove. Missione significa desiderio
di annunciare il Vangelo alle persone che vivono accanto a noi. Per fare questo
è necessario, in primo luogo, trovarsi insieme a pregare, a chiedere allo
Spirito Santo un’ispirazione, un’idea che orienti il nostro desiderio. E poi
bisognerebbe cominciare, passare dall’idea all’azione, per ascoltare la realtà
e da lì elaborare un progetto missionario da attuare nel nostro territorio.
Lo
slancio missionario fa bene alla comunità, perché la libera dalle paure e, soprattutto,
dalla tentazione di chiudersi in se stessa. Quando la comunità si preoccupa
d’annunciare il Vangelo sul territorio, ha meno tempo da perdere per curare
l’arredo interno, divenendo quindi più essenziale. Come ci farebbe bene questo
slancio di uscita all’esterno, per lasciare le comode poltrone e così stare un
po' sulla strada! Forse ci aiuterebbe anche nel cammino che stiamo realizzando
nell’unità pastorale, a scoprire il dono della diversità dell’altro, ad
imparare a vedere il bicchiere mezzo pieno, ad abbandonare il cronico
atteggiamento di giudizio negativo verso tutto ciò che non collima con i nostri
gusti e desideri.
È
bello leggere nei vangeli lo sforzo che faceva Gesù per agganciare gli
interlocutori e inserirli in un cammino di salvezza. Gli itinerari di
evangelizzazione difficilmente escono fuori a tavolino, frutto esclusivo delle
nostre proiezioni. L’uscire per andare verso coloro che non frequentano i
nostri spazi, stimola la creatività pastorale e ci libera dall’ossessione di
ripetere sempre le stesse proposte, allo stesso modo. La creatività pastorale
sgorga dal contatto con la realtà, perché, come c’insegna papa Francesco, la
realtà deve sempre precedere l’idea.
Senza
dubbio lo sforzo missionario delle nostre comunità porterebbe materiale nuovo
sul tavolo dei nostri consigli pastorali. Ci aiuterebbe a scoprire la
situazione sociale di tante famiglie di immigrati e anche di italiani che
vivono in pessime condizioni sul nostro territorio. Ci aiuterebbe a comprendere
meglio la situazione giovanile dei nostri quartieri, per elaborare una
pastorale giovanile meno di élite e più in sintonia con la realtà circostante. Uscire
dai nostri spazi potrebbe produrre un pensiero nuovo nei nostri consigli
pastorali, un’attenzione nuova, più sensibile e misericordiosa, nei confronti
di tutti coloro che sotto la nostra “tenda da campo” – così come simpaticamente
chiama la chiesa papa Francesco – ci stanno ancora molto stretti. Aquele abraço
carinhoso.
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