Charles
Taylor è convinto che la visione cristiana dell’amore oblativo a Dio resta
anche ai nostri giorni un bene per molte persone. L’idea di agape che troviamo
nei vangeli e nelle lettere di Paolo è senza alcun dubbio, l’unica fonte o
risorsa morale che dà senso alle azioni filantropiche e altruiste di tante
persone. Questa fiducia nella promessa teista contenuta nella proposta giudaico
cristiana, ha provocato molte critiche all’autore di A Secular Age. In
virtù di questa fiducia Taylor teorizza la tesi del declino inevitabile della
modernità. La transizione secolare così auspicata dai teorici della
secolarizzazione, non è né ovvia, né compiuta, anche perché è evidente sul
piano della cultura occidentale il logoramento del paradigma scientifico,
incapace di offrire strumenti ermeneutici che vadano al di là dei meri dati
scientifici. Uno delle conseguenze più significative causate dalla lettura
secolare del mondo consiste nell’incapacità di dare un senso compiuto al
lessico che veniva utilizzato per indicare una vita i cui ideali non erano di
natura biologica o matematica, ma metafisica. Il dato interessante che Taylor
annota nella sua ricostruzione storica del processo di secolarizzazione è
l’intreccio tra le due storie, quella religiosa e quella secolare.
Tutti
gli attuali dibattiti sul secolarismo e la credenza sono influenzati da una
duplice storicità, un riferimento al passato bi-stratificato. Da un lato,
l’incredulità e l’umanesimo esclusivo si sono definiti in relazione a
precedenti forme di credenza, sia il teismo ortodosso sia le concezioni
incantate del mondo; e attualmente tale definizione è inseparabile
dall’incredulità. Dall’altro lato, le forme posteriori di non credenza, come
pure tutti i tentativi di ridefinire e recuperare la credenza, si definiscono
in relazione a questo primo pioneristico umanesimo della libertà, della
disciplina e dell’ordine.
C’è
secondo Taylor, una tensione di fondo nella cristianità medievale tra esigenze
di radicalità religiosa e spinte di generalizzazione delle credenze, che
prepara il terreno al processo di secolarizzazione attivato nell’epoca moderna,
per cui la nascita di una mentalità secolare è uno degli effetti. della critica
della religione popolare. “Da un’epoca nella quale la vita religiosa era più
incarnata e dove la presenza del sacro poteva essere rappresentata nei riti, o
vista, percepita, toccata, persino avvicinata (nel pellegrinaggio), a un’epoca
in cui la vita religiosa è più un fatto mentale e dove il rapporto con Dio
passa soprattutto attraverso la nostra adesione a interpretazioni contestate”.
Il mondo occidentale assiste, dunque, in epoca
moderna, all’avvento di una cornice immanente che plasma la cultura. Taylor
individua nelle guerre di religione del XVII secolo, scatenatesi in Europa dopo
le tensioni causate con la riforma, uno dei motivi del calo d’intensità della
credenza e della pratica religiosa e, quindi, dell’indifferenza crescente verso
il sacro. Elemento significativo di questo processo confluisce nel tema della
laicità, non solo come atteggiamento individuale, ma anche politico. “Lo scopo
della laicità dello Stato è precisamente quello di evitare di privilegiare o
sfavorire non solo posizioni religiose, ma qualsiasi posizione fondamentale,
siano esse religiose o meno”. Ciò significa che il fine non consiste nel
rendere la religione meno rilevante per la vita, ma impedire che lo Stato
privilegi una confessione rispetto ad altre. L’obiettivo dell’epoca moderna,
che vede in Europa la formazione degli stati, è sganciarsi dall’identificazione
con una religione, per rendere lo Stato imparziale, equidistante tra le varie
entità religiose. In questo senso l’epoca moderna è un periodo di rottura con
il precedente, caratterizzato dall’identificazione tra religione e potere, tra
impero e cristianesimo. Questo percorso implica un secondo livello di
liberazione politica, vale a dire il modello di etica politica indipendente,
che consiste, secondo Taylor, nella necessità di definire un’etica slegata da
ogni credenza religiosa. In questo modo, viene richiesto ai cittadini di
prescindere dalle loro convinzioni religiose ogni volta che sono chiamati a
deliberare su questioni d’interesse generale. È chiaro che questo atteggiamento
richiesto, apre le porte per un vissuto religioso relegato nella sfera
individuale o, come direbbe Taylor, “tra gli accessori opzionali che spesso
disturbano il corso della vita mondana”.
Anche se questa soluzione ha l’apparenza di creare
lo spazio pubblico favorevole alla formazione di un clima di pace, togliendo
sul nascere, il materiale per possibili tensioni, in realtà dai credenti viene
vissuta come una vera e propria esclusione della religione. Taylor individua
due modelli che si sono affermati nel mondo occidentale come esempi di stili di
laicità. Da una parte c’è il modello americano, imperniato su una religione
civile; dall’altro, quello francese in cui è visibile una morale indipendente.
A detta del filosofo canadese, l’obiettivo più realistico in un contesto
culturale significativamente pluralistico, com’è quello raggiunto dalla società
occidentale, sarebbe un consenso su una serie di principi politici comuni,
anche se giustificati in maniera diversa. Taylor è convinto che, nonostante gli
sforzi irenici, nella società secolare il disaccordo continuerà e: “dovremo
convivere con compromessi tra le varie visioni del mondo. Anziché con un
espediente abnorme, scandaloso e sperabilmente temporaneo, questa condizione
dovrà, cioè, essere vissuta come lo stato di cose normale per un lasso di tempo
indefinito” (TAYLOR, 2014, p. 51). E’ questa variante aperta di laicità che può
aspirare ad essere riproposta in contesti culturali anche molto diversi.
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