giovedì 26 agosto 2021

L'ETA' SECOLARE DI CHARLES TAYLOR

 





Charles Taylor è convinto che la visione cristiana dell’amore oblativo a Dio resta anche ai nostri giorni un bene per molte persone. L’idea di agape che troviamo nei vangeli e nelle lettere di Paolo è senza alcun dubbio, l’unica fonte o risorsa morale che dà senso alle azioni filantropiche e altruiste di tante persone. Questa fiducia nella promessa teista contenuta nella proposta giudaico cristiana, ha provocato molte critiche all’autore di A Secular Age. In virtù di questa fiducia Taylor teorizza la tesi del declino inevitabile della modernità. La transizione secolare così auspicata dai teorici della secolarizzazione, non è né ovvia, né compiuta, anche perché è evidente sul piano della cultura occidentale il logoramento del paradigma scientifico, incapace di offrire strumenti ermeneutici che vadano al di là dei meri dati scientifici. Uno delle conseguenze più significative causate dalla lettura secolare del mondo consiste nell’incapacità di dare un senso compiuto al lessico che veniva utilizzato per indicare una vita i cui ideali non erano di natura biologica o matematica, ma metafisica. Il dato interessante che Taylor annota nella sua ricostruzione storica del processo di secolarizzazione è l’intreccio tra le due storie, quella religiosa e quella secolare.

Tutti gli attuali dibattiti sul secolarismo e la credenza sono influenzati da una duplice storicità, un riferimento al passato bi-stratificato. Da un lato, l’incredulità e l’umanesimo esclusivo si sono definiti in relazione a precedenti forme di credenza, sia il teismo ortodosso sia le concezioni incantate del mondo; e attualmente tale definizione è inseparabile dall’incredulità. Dall’altro lato, le forme posteriori di non credenza, come pure tutti i tentativi di ridefinire e recuperare la credenza, si definiscono in relazione a questo primo pioneristico umanesimo della libertà, della disciplina e dell’ordine.

C’è secondo Taylor, una tensione di fondo nella cristianità medievale tra esigenze di radicalità religiosa e spinte di generalizzazione delle credenze, che prepara il terreno al processo di secolarizzazione attivato nell’epoca moderna, per cui la nascita di una mentalità secolare è uno degli effetti. della critica della religione popolare. “Da un’epoca nella quale la vita religiosa era più incarnata e dove la presenza del sacro poteva essere rappresentata nei riti, o vista, percepita, toccata, persino avvicinata (nel pellegrinaggio), a un’epoca in cui la vita religiosa è più un fatto mentale e dove il rapporto con Dio passa soprattutto attraverso la nostra adesione a interpretazioni contestate”.

Il mondo occidentale assiste, dunque, in epoca moderna, all’avvento di una cornice immanente che plasma la cultura. Taylor individua nelle guerre di religione del XVII secolo, scatenatesi in Europa dopo le tensioni causate con la riforma, uno dei motivi del calo d’intensità della credenza e della pratica religiosa e, quindi, dell’indifferenza crescente verso il sacro. Elemento significativo di questo processo confluisce nel tema della laicità, non solo come atteggiamento individuale, ma anche politico. “Lo scopo della laicità dello Stato è precisamente quello di evitare di privilegiare o sfavorire non solo posizioni religiose, ma qualsiasi posizione fondamentale, siano esse religiose o meno”. Ciò significa che il fine non consiste nel rendere la religione meno rilevante per la vita, ma impedire che lo Stato privilegi una confessione rispetto ad altre. L’obiettivo dell’epoca moderna, che vede in Europa la formazione degli stati, è sganciarsi dall’identificazione con una religione, per rendere lo Stato imparziale, equidistante tra le varie entità religiose. In questo senso l’epoca moderna è un periodo di rottura con il precedente, caratterizzato dall’identificazione tra religione e potere, tra impero e cristianesimo. Questo percorso implica un secondo livello di liberazione politica, vale a dire il modello di etica politica indipendente, che consiste, secondo Taylor, nella necessità di definire un’etica slegata da ogni credenza religiosa. In questo modo, viene richiesto ai cittadini di prescindere dalle loro convinzioni religiose ogni volta che sono chiamati a deliberare su questioni d’interesse generale. È chiaro che questo atteggiamento richiesto, apre le porte per un vissuto religioso relegato nella sfera individuale o, come direbbe Taylor, “tra gli accessori opzionali che spesso disturbano il corso della vita mondana”.  

Anche se questa soluzione ha l’apparenza di creare lo spazio pubblico favorevole alla formazione di un clima di pace, togliendo sul nascere, il materiale per possibili tensioni, in realtà dai credenti viene vissuta come una vera e propria esclusione della religione. Taylor individua due modelli che si sono affermati nel mondo occidentale come esempi di stili di laicità. Da una parte c’è il modello americano, imperniato su una religione civile; dall’altro, quello francese in cui è visibile una morale indipendente. A detta del filosofo canadese, l’obiettivo più realistico in un contesto culturale significativamente pluralistico, com’è quello raggiunto dalla società occidentale, sarebbe un consenso su una serie di principi politici comuni, anche se giustificati in maniera diversa. Taylor è convinto che, nonostante gli sforzi irenici, nella società secolare il disaccordo continuerà e: “dovremo convivere con compromessi tra le varie visioni del mondo. Anziché con un espediente abnorme, scandaloso e sperabilmente temporaneo, questa condizione dovrà, cioè, essere vissuta come lo stato di cose normale per un lasso di tempo indefinito” (TAYLOR, 2014, p. 51). E’ questa variante aperta di laicità che può aspirare ad essere riproposta in contesti culturali anche molto diversi.

 

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