venerdì 27 agosto 2021

UN MONDO SECOLARIZZATO? PARLIAMONE CON HANS JOAS

 

 

Paolo Cugini

 

Il filosofo tedesco Hans Joas si è posto la domanda sul senso e il modo in cui la secolarizzazione è da considerarsi un’innovazione storica significativa. Secondo Joas il primo ostacolo è la vaghezza del termine. All’origine il termine “secolare” significava il transito di una persona o di un bene da una giurisdizione ecclesiastica ad una mondana. Successivamente il termine secolarizzazione diventa sinonimo, da un lato del declino del trascendente a vantaggio del mondano e, dall’altro, della riconciliazione del trascendente con il mondano. In entrambi i casi rimane vago il significato del declino. Secondo Joas non c’è nulla nella realtà ci può garantire che la secolarizzazione sia un fenomeno storico ben demarcato. In ogni modo è importante tenere in considerazione il fenomeno in questione perché: “superare la tesi della secolarizzazione non significa ignorare la secolarizzazione, bensì percepirla nella su multiformità”. Da un certo punto di vista secolarizzazione potrebbe sembrare un fenomeno di liberazione, di emancipazione da una condizione di dipendenza. In ogni modo, per poter essere un’innovazione storica, la secolarizzazione deve includere anche la genesi di qualcosa di nuovo, nuovi valori. Secondo Joas, il modo più corretto per descrivere la novità apportata dalla secolarizzazione è: l’opzione secolare. Questa novità consiste nella diffusione di una pretesa di autoaffermazione umana senza precedenti nella storia. Per questo motivo, secondo il nostro autore, non esiste la “secolarizzazione” in quanto tale, ma singoli episodi di secolarizzazione, la cui intensità e qualità dipendono da diversi fattori (economici, sociali, politici, ecc.) che agiscono come campi di tensione che s’interpongono sistematicamente tra le cause”. Pr comprendere l’esito della religione all’interno del processo di secolarizzazione, non è possibile prescindere dalle condizioni socio-politico-culturali locali in cui le persone vivono concretamente. Più che indicare un concetto onnicomprensivo con portata teleologica – è questa la critica sostanziale di Joas ai sostenitori della secolarizzazione tout court – occorre verificare le “ondate” che ne specifica il dato contingente e locale. Queste ondate, non rappresentano mai l’ultima parola, ma sono seguite da: “un massiccio movimento in senso contrario, una rivitalizzazione della fede, una modernizzazione della dottrina e/o delle strutture organizzative, a volte anche un ritorno alla tradizione, che rendono in generale difficile percepirne il carattere innovativo”. La secolarizzazione, dunque, più che essere un fenomeno universale per le ragioni sopra descritte, può essere circoscritto all’occidente europeo.

Joas ad un ceto punto del discorso, per meglio comprendere la portata della secolarizzazione, apre un confronto con quella che il filosofo tedesco Karl Jaspers ha chiamato la “svolta assiale”, vale a dire l’età della scoperta della trascendenza. Con questa svolta giunge alla fine l’epoca in cui alcune figure significative come i profeti biblici, Socrate, Confucio e Budda reinterpretavano la relazione tra divino e terreno, tra i quali viene scavato un solco come tra finito e infinito. “Secondo la nuova prospettiva il punto discriminante è che in quest’epoca il divino si trasforma nel Reale, nel Vero, nel totalmente Altro, rispetto al quale ciò che è terreno non può che apparire deficitario, manchevole”. E’ proprio questa amplificazione della tensione tra l’ideale e il reale che costituisce il materiale per l’inizio del processo di desacralizzazione di tutte le potenze mondane che si autoproclamano divine. Infatti, come sostiene Joas, “con le innovazioni dell’epoca assiale si è inserito un potenziale per la desacralizzazione del potere politico che non è mai più ammutolito né sparito del tutto”. La tensione nel rapporto tra religione e politica ha il suo inizio proprio in questo periodo analizzato da Jaspers e che trova un esito significativo nella secolarizzazione. La storia delle civiltà umane dopo la rivoluzione assiale è caratterizzata dall’alternanza tra spinte alla desacralizzazione e alla risacralizzazione. Secondo Joas dopo la nascita delle religioni universali, lo sviluppo della cultura dei diritti umani rappresenta la seconda grande ondata storica di una radicale desacralizzazione del potere ed essa s’intreccia con la genesi dell’opzione secolare. La secolarità moderna non mette fuori gioco le religioni, ma comporta comunque una ristrutturazione del campo di forze ideali entro cui si dispiega la creatività dell’agire umano. Conseguenza di questa trasformazione è la crescente consapevolezza che la fede e la religione non sono universali antropologici, ma opzioni significative offerte all’iniziativa individuale e collettiva. La religione, dunque, non può rappresentare il destino dell’umanità. A questo punto diventano di grande importanza le riflessioni dei Hans Joas:

Quello che mi preoccupa non è il fatto che la secolarizzazione possa distruggere la morale in quanto tale, ma che un indebolimento del cristianesimo mini uno dei pilastri dell’universalismo morale e giuridico. Se come sostiene la tesi di Karl Jaspers relativa all’epoca assiale, questo universalismo è venuto storicamente alla luce in connessione con l’idea di trascendenza, allora non è certo che esso sopravviverà in modo duraturo alla scomparsa del suo fondamento originario. Ma una preoccupazione è qualcosa di diverso da un grido di battaglia”.

Nella conclusione di La fede come opzione, Hans Joas suggerisce di guardare fuori dall’Europa per comprendere meglio quale sarà il futuro del cristianesimo. Occorre, cioè, porsi da un punto di vista globale e non eurocentrico, spostando, quindi, il focus dell’analisi dal mondo occidentale al resto del mondo. Per cogliere meglio in profondità il significato socio-culturale del fenomeno della secolarizzazione. In questa prospettiva, vengono in nostro aiuto quelli che sono stati definiti i postcolonial studies che hanno apportato un notevole contributo allo smantellamento del teorema della secolarizzazione. Come ha sottolineato il teologo Paolo Costa, anche in questo caso, “il post di post-coloniale non denota semplicemente il superamento di una configurazione culturale di cui viene proclamato il compimento della parabola storica. Il post, infatti, allo stesso tempo afferma e contesta la centralità di ciò che viene oltrepassato. Spesso il risultato di questi studi post-coloniali consiste nel marginalizzare l’Europa a scapito dell’innalzamento di altre proposte culturali. In ogni modo, è proprio dalla marginalizzazione del modello culturale eurocentrico, che si sviluppa l’interesse per tutto ciò che questo modello ha scartato nella propria produzione culturale, tutto ciò che non è stato ritenuto degno di essere considerato storia significativa. Per certi aspetti, è la continuazione del lavoro iniziato dalla Nouvelle histoire, nella ricerca di una documentazione marginale, per una ricostruzione della storia a partire dalle periferie, da ciò che il centro politico e autoreferenziale, tralasciava. Elemento chiave nel processo di smantellamento del teorema della secolarizzazione è lo sforzo scrupoloso di ricontestualizzazione storica. Del resto, lo stesso Charles Taylor intitolava la sua opera più significativa sul tema in qeustione: A Secular Age, vale a dire un’età secolare, nel senso che di età secolari ce ne possono essere diverse, oltre a quella sviluppatasi all’interno della cristianità europea. Se le secolarità sono per l’analisi post-coloniale molteplici, diventa fondamentale contestualizzarle per coglierne la portata e i differenti significati, oltre che agli esiti. In questa prospettiva, è importante comprendere come la secolarizzazione prima di essere un processo culturale sia soprattutto un progetto storico, per cui è facile comprendere come: “il processo attraverso cui la cristianità latina è diventata secolare è lo stesso processo mediante cui essa è diventata coloniale”. Attraverso l’incontro di popoli non cristiani gli europei hanno trasformato la loro comprensione della religione, del valore dei riti e dei culti locali, del rapporto tra la storia religiosa dei popoli e il progresso umano. Questa trasformazione non è stata indolore, ma ha portato con sé un carico di violenza inaudita, anche perché il processo di secolarizzazione come progetto onnicomprensivo non accetta resistenze da quelle culture ritenute inferiori. Gli studi post-secolari muovendosi in una prospettiva internazionale sulla storia politico-religiosa degli ultimi due secoli, hanno analizzato in modo specifico il caso indiano e cinese giungendo ad alcune considerazioni significative. La prima è che la secolarizzazione è il cambiamento autoritario della grammatica di una forma di vita tradizionale “che consolida il potere di un particolare tipo di stato negando legittimità di certi modi di essere cittadino-soggetto, che sono ritenuti incompatibili con esso, poiché non condividono valori tradizionali fondamentali”. Secondo l’antropologo saudita Talal Asad sulla base di un’interpretazione essenzialistica del secolare viene negato a priori ai subalterni il diritto di esplorare varietà di secolarità che non prevedano la privatizzazione della religione e della moralità e, soprattutto, non facciano leva “sul dispositivo governamentale assicurato dallo Stato moderno e dal suo impulso ordinatore”.

La lezione storica generale che i pensatori postcoloniali ricavano dalla crisi del teorema della secolarizzazione è che non solo è erroneo, ma semplicistico, nei termini di un conflitto tra società moderne e società tradizionali.

 

 

 

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