Paolo Cugini
Il
filosofo tedesco Hans Joas si è posto la domanda sul senso e il modo in cui la
secolarizzazione è da considerarsi un’innovazione storica significativa.
Secondo Joas il primo ostacolo è la vaghezza del termine. All’origine il
termine “secolare” significava il transito di una persona o di un bene da una
giurisdizione ecclesiastica ad una mondana. Successivamente il termine
secolarizzazione diventa sinonimo, da un lato del declino del trascendente a
vantaggio del mondano e, dall’altro, della riconciliazione del trascendente con
il mondano. In entrambi i casi rimane vago il significato del declino. Secondo
Joas non c’è nulla nella realtà ci può garantire che la secolarizzazione sia un
fenomeno storico ben demarcato. In ogni modo è importante tenere in considerazione
il fenomeno in questione perché: “superare la tesi della secolarizzazione non
significa ignorare la secolarizzazione, bensì percepirla nella su multiformità”.
Da un certo punto di vista secolarizzazione potrebbe sembrare un fenomeno di
liberazione, di emancipazione da una condizione di dipendenza. In ogni modo,
per poter essere un’innovazione storica, la secolarizzazione deve includere
anche la genesi di qualcosa di nuovo, nuovi valori. Secondo Joas, il modo più
corretto per descrivere la novità apportata dalla secolarizzazione è: l’opzione
secolare. Questa novità consiste nella diffusione di una pretesa di
autoaffermazione umana senza precedenti nella storia. Per questo motivo,
secondo il nostro autore, non esiste la “secolarizzazione” in quanto tale, ma
singoli episodi di secolarizzazione, la cui intensità e qualità dipendono da
diversi fattori (economici, sociali, politici, ecc.) che agiscono come campi di
tensione che s’interpongono sistematicamente tra le cause”. Pr comprendere
l’esito della religione all’interno del processo di secolarizzazione, non è
possibile prescindere dalle condizioni socio-politico-culturali locali in cui
le persone vivono concretamente. Più che indicare un concetto onnicomprensivo
con portata teleologica – è questa la critica sostanziale di Joas ai
sostenitori della secolarizzazione tout court – occorre verificare le
“ondate” che ne specifica il dato contingente e locale. Queste ondate, non
rappresentano mai l’ultima parola, ma sono seguite da: “un massiccio movimento
in senso contrario, una rivitalizzazione della fede, una modernizzazione della
dottrina e/o delle strutture organizzative, a volte anche un ritorno alla
tradizione, che rendono in generale difficile percepirne il carattere
innovativo”. La secolarizzazione, dunque, più che essere un fenomeno universale
per le ragioni sopra descritte, può essere circoscritto all’occidente europeo.
Joas
ad un ceto punto del discorso, per meglio comprendere la portata della
secolarizzazione, apre un confronto con quella che il filosofo tedesco Karl
Jaspers ha chiamato la “svolta assiale”, vale a dire l’età della scoperta della
trascendenza. Con questa svolta giunge alla fine l’epoca in cui alcune figure
significative come i profeti biblici, Socrate, Confucio e Budda reinterpretavano
la relazione tra divino e terreno, tra i quali viene scavato un solco come tra
finito e infinito. “Secondo la nuova prospettiva il punto discriminante è che
in quest’epoca il divino si trasforma nel Reale, nel Vero, nel totalmente
Altro, rispetto al quale ciò che è terreno non può che apparire deficitario,
manchevole”. E’ proprio questa amplificazione della tensione tra l’ideale e il
reale che costituisce il materiale per l’inizio del processo di
desacralizzazione di tutte le potenze mondane che si autoproclamano divine.
Infatti, come sostiene Joas, “con le innovazioni dell’epoca assiale si è
inserito un potenziale per la desacralizzazione del potere politico che non è
mai più ammutolito né sparito del tutto”. La tensione nel rapporto tra
religione e politica ha il suo inizio proprio in questo periodo analizzato da
Jaspers e che trova un esito significativo nella secolarizzazione. La storia
delle civiltà umane dopo la rivoluzione assiale è caratterizzata
dall’alternanza tra spinte alla desacralizzazione e alla risacralizzazione.
Secondo Joas dopo la nascita delle religioni universali, lo sviluppo della
cultura dei diritti umani rappresenta la seconda grande ondata storica di una
radicale desacralizzazione del potere ed essa s’intreccia con la genesi
dell’opzione secolare. La secolarità moderna non mette fuori gioco le
religioni, ma comporta comunque una ristrutturazione del campo di forze ideali
entro cui si dispiega la creatività dell’agire umano. Conseguenza di questa
trasformazione è la crescente consapevolezza che la fede e la religione non
sono universali antropologici, ma opzioni significative offerte all’iniziativa
individuale e collettiva. La religione, dunque, non può rappresentare il
destino dell’umanità. A questo punto diventano di grande importanza le
riflessioni dei Hans Joas:
“Quello
che mi preoccupa non è il fatto che la secolarizzazione possa distruggere la
morale in quanto tale, ma che un indebolimento del cristianesimo mini uno dei
pilastri dell’universalismo morale e giuridico. Se come sostiene la tesi di
Karl Jaspers relativa all’epoca assiale, questo universalismo è venuto
storicamente alla luce in connessione con l’idea di trascendenza, allora non è
certo che esso sopravviverà in modo duraturo alla scomparsa del suo fondamento
originario. Ma una preoccupazione è qualcosa di diverso da un grido di
battaglia”.
Nella
conclusione di La fede come opzione, Hans Joas suggerisce di guardare
fuori dall’Europa per comprendere meglio quale sarà il futuro del
cristianesimo. Occorre, cioè, porsi da un punto di vista globale e non
eurocentrico, spostando, quindi, il focus dell’analisi dal mondo
occidentale al resto del mondo. Per cogliere meglio in profondità il
significato socio-culturale del fenomeno della secolarizzazione. In questa
prospettiva, vengono in nostro aiuto quelli che sono stati definiti i postcolonial
studies che hanno apportato un notevole contributo allo smantellamento del
teorema della secolarizzazione. Come ha sottolineato il teologo Paolo Costa,
anche in questo caso, “il post di post-coloniale non denota semplicemente il
superamento di una configurazione culturale di cui viene proclamato il
compimento della parabola storica. Il post, infatti, allo stesso tempo afferma
e contesta la centralità di ciò che viene oltrepassato. Spesso il risultato di
questi studi post-coloniali consiste nel marginalizzare l’Europa a scapito
dell’innalzamento di altre proposte culturali. In ogni modo, è proprio dalla
marginalizzazione del modello culturale eurocentrico, che si sviluppa
l’interesse per tutto ciò che questo modello ha scartato nella propria
produzione culturale, tutto ciò che non è stato ritenuto degno di essere
considerato storia significativa. Per certi aspetti, è la continuazione del
lavoro iniziato dalla Nouvelle histoire, nella ricerca di una
documentazione marginale, per una ricostruzione della storia a partire dalle
periferie, da ciò che il centro politico e autoreferenziale, tralasciava. Elemento
chiave nel processo di smantellamento del teorema della secolarizzazione è lo
sforzo scrupoloso di ricontestualizzazione storica. Del resto, lo stesso
Charles Taylor intitolava la sua opera più significativa sul tema in qeustione:
A Secular Age, vale a dire un’età secolare, nel senso che di età
secolari ce ne possono essere diverse, oltre a quella sviluppatasi all’interno
della cristianità europea. Se le secolarità sono per l’analisi post-coloniale
molteplici, diventa fondamentale contestualizzarle per coglierne la portata e i
differenti significati, oltre che agli esiti. In questa prospettiva, è
importante comprendere come la secolarizzazione prima di essere un processo
culturale sia soprattutto un progetto storico, per cui è facile comprendere
come: “il processo attraverso cui la cristianità latina è diventata secolare è
lo stesso processo mediante cui essa è diventata coloniale”. Attraverso
l’incontro di popoli non cristiani gli europei hanno trasformato la loro
comprensione della religione, del valore dei riti e dei culti locali, del
rapporto tra la storia religiosa dei popoli e il progresso umano. Questa
trasformazione non è stata indolore, ma ha portato con sé un carico di violenza
inaudita, anche perché il processo di secolarizzazione come progetto
onnicomprensivo non accetta resistenze da quelle culture ritenute inferiori.
Gli studi post-secolari muovendosi in una prospettiva internazionale sulla
storia politico-religiosa degli ultimi due secoli, hanno analizzato in modo
specifico il caso indiano e cinese giungendo ad alcune considerazioni
significative. La prima è che la secolarizzazione è il cambiamento autoritario
della grammatica di una forma di vita tradizionale “che consolida il potere di
un particolare tipo di stato negando legittimità di certi modi di essere
cittadino-soggetto, che sono ritenuti incompatibili con esso, poiché non
condividono valori tradizionali fondamentali”. Secondo l’antropologo saudita
Talal Asad sulla base di un’interpretazione essenzialistica del secolare viene
negato a priori ai subalterni il diritto di esplorare varietà di secolarità che
non prevedano la privatizzazione della religione e della moralità e,
soprattutto, non facciano leva “sul dispositivo governamentale assicurato dallo
Stato moderno e dal suo impulso ordinatore”.
La
lezione storica generale che i pensatori postcoloniali ricavano dalla crisi del
teorema della secolarizzazione è che non solo è erroneo, ma semplicistico, nei
termini di un conflitto tra società moderne e società tradizionali.
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