Paolo Cugini
Che
cosa può significare il ritorno della religione nella cultura occidentale, nel
modo in cui emerge dalle ricerche sociologiche? Domanda importante se si pensa
che, sin dal XIX secolo esce il grido della morte di Dio, della fine del pensiero
metafisico su cui la teologia cristiana occidentale aveva costruito la
riflessione su Dio.
Il
ritorno alla religione come dato sociologico significa, innanzi tutto, il
fallimento del paradigma della secolarizzazione che, alla distanza, si è
dimostrato incapace di leggere in uno sguardo ermeneutico unificante, la grande
varietà di fenomeni che vanno sotto il nome di religione. In secondo luogo,
significa anche che, la risposta scientifica e tecnologica seppur importante
per lo sviluppo dell’umanità, non è sufficiente perché non è in grado di offrire
quelle risposte di senso, che rimangono disponibili a percorsi che coinvolgono
non appena la sfera razionale, ma anche quella emozionale e quella spirituale.
Il ritorno preponderante della religione nelle sue varie forme, significa anche
il fallimento della proposta antropologica illuminista, che pensava la persona nella
sua forma considerata superiore, vale a dire la ragione. Il bisogno di senso,
di orientare la propria esistenza con obiettivi che vanno al di là dei meri
dati materiali, non ha trovato nei paradigmi elaborati dalla modernità una
valida soluzione al problema. La possibilità dell’auto-trascendenza e di
compiere esperienze che vanno al di là dei puri dati scientifici, dicono dell’insoddisfazione
nei confronti di una proposta che non sa offrire altro che dati certi,
razionali, che non lasciano spazio al dubbio. In realtà, le persone
sperimentano nella vita il dubbio, che non trova risposte nella pura logica
formale, o ne trova in parte in essa, perché ha bisogno di altro, che va al di
là dei dati empirici, che trascende, appunto, la nuda realtà. A distanza di
decenni, la visione scientifica del mondo, elaborata negli anni Venti dai
filosofi legati al Circolo di Vienna e riprodotta in forme diverse dai
sostenitori del neopositivismo logico, si è dimostrata incapace di offrire
proposte per l’umanità che andassero al di là di meri calcoli speculativi.
Considerando
la religione come fornitrice di illusioni irreali, sganciate dal vissuto umano
e, soprattutto, fornendo un materiale non misurabile dal punto di vista logico-matematico,
la visione scientifica del mondo non ha tenuto conto che la religione fornisce
delle visioni di mondo più complesse e complete, che tiene conto non solo degli
elementi misurabili dell’orizzonte umano, ma anche di tutti quegli aspetti,
come le emozioni, le sensazioni, l’elaborazione di valori morali, che sfuggono
alla verifica scientifica. Ed ora che la visione scientifica del mondo ha svuotato
la cultura dei simboli religiosi e sacrali non riuscendo a sostituirli con niente,
rischiamo di assistere ad un ritorno del sacro nelle sue forme pagane,
svincolate dalle normative religiose che, nel frattempo, sono state delegittimate
e deposte. Per questo la domanda è angosciante: quale Dio ci aspetta nel
ritorno del sacro?
Da scienziata, anzi da fisica delle particelle, posso dire che studiare scienza e proprio il metodo scientifico imparato all'università mi hanno aperto la mente al dubbio ed alla vastità dell'Universo. Non credo che questo valga anche per chi ha studiato materie più tecniche come ingegneria o più pratiche,come medicina etc. Ma un fisico, soprattutto un fisico delle particelle (come me), un astrofisico o un fisico teorico sono pressoché dal terzo anno di Università messi davanti al fatto che le nostre conoscenze sono estremamente limitate, temporanee e che la scienza non potrà mai rispondere al perché delle cose. Il positivismo non esiste da un secolo ed i più grandi fisici teorici, sono i più grandi amanti del dubbio, del so di non sapere... Un vero scienziato non ha certezze ma ama partecipare alla ricerca di come funziona la natura ed aggiungere, nel suo piccolo, un tassello di conoscenza. Per questo tra i fisici teorici ci sono anche grandi pensatori. La differenza con l'uomo non di scienza è che uno scienziato può convivere col dubbio col non sapere per tutta la vita. E trovarlo estremamente stimolante. Ma non siamo tutti uguali e c'è chi ha bisogno di risposte che la scienza non può dare, perché non è quello il suo scopo.
RispondiElimina