martedì 15 ottobre 2019

I VOLTI DELL’AD GENTES




ROMA 14 OTTOBRE 2019

Sintesi: Paolo Cugini

Il modello estrattivo non cambia, perché è parte del modello economico neoliberale.
La situazione attuale dei popoli indigeni è difficile, perché i territori sono contestati e minacciati. In 9 mesi i territori sono invasi come da tempo non succedeva.
Stiamo vivendo un contesto ecclesiale speciale, non solo per il Sinodo. È contesto che dalla Laudato Sii è entrato in dialogo con i popoli indigeni.

Che cosa fa la CNBB in questa situazione? Mantiene una posizione ferma sul tema dei diritti umani.

Padre Livio Girardi. I Volti della Missione

Metodologia dei missionari nella terra Indigena Raposa Terra do Sol
I popoli indigeni sono 8: yianomami sono i più noti. In Roraima ci sono 33 terre indigene già marcate dai governi precedenti.
Che tipo di presenza ha esercitato la Chiesa in questi luoghi? Prima del Vaticano II il progetto è la sacramentalizzazione. In certi aspetti la Chiesa è stata complice ed assente.
Dopo il Vaticano II la novità è una lettura nuova della realtà. “Noi che il Dio dei bianchi fosse buono”: così disse un capo indigena vedendo quello che stava succedendo.
Nel 1974 i missionari della Consolata decidono di dedicarsi totalmente ai popoli indigeni e spinsero la Chiesa di Roraima a fare lo stesso. Nel 1979 il vescovo scrive una lettera in cui si chiede se i missionari possono evangelizzare gli indios. La Chiesa deve fare l’opzione per i poveri. Quattro conseguenze di questa lettera:
1.      L’organizzazione del movimento indigena
2.      Preparazione degli agenti pastorali
3.      Progetti di promozione umana
4.      Progetto “una vaca para o indio”

Conseguenze di questa scelta è la forza dell’unità dei popoli indigeni. Per i missionari ha portato una nuova metodologia. Non dialoga più con il padrone di terre, ma con gli indios. Inoltre, la comunità diventa un luogo teologico.

Suor Amelia Gomes: i popoli della Guinea Guissau

È uno Stato Africano. Gli abitanti parlano il portoghese, oltre il criolo. Circa il 42% della popolazione è analfabeta. La prima missione è avvenuta nel 1992 a Emapada. Abbiamo iniziato conoscendo e visitando le famiglie, per conoscere la realtà del popolo. La proposta è stata la possibilità di viere in un modo nuovo. Per mezzo della vicinanza e del dialogo abbiamo iniziato un percorso di evangelizzazione. Abbiamo osservato, ascoltato senza fretta, progettando la missione con pazienza senza fretta. Rischi di dimenticare che la missione è opera di Dio.

Il nostro stile di missione è basato sulla semplicità, privilegiando la cura delle relazioni. Questi gesti ci hanno permesso di conoscere la tradizione e la cultura del popolo. Partecipando della loro vita, ci ha permesso di essere accolti.
Noi abbiamo capito che i popoli non devono lasciare le loro tradizioni per essere cristiani. Abbiamo riflettuto, così, sull’idea d’inculturazione.

Nei percorsi formativi che proponiamo – pittura, cucito, e altro – annunciamo la Buona Novella. Risvegliamo, infatti, il valore della vita, della donna, del valore della famiglia.
La missione come presenza rispetta tutte le tradizioni e le culture.
Ci siamo domandati: come annunciare il Vangelo ai non cristiani? Ci dev’essere un processo di attenzione alle culture.

In Guinea Bissau siamo sempre andati dove ci hanno chiamato, rimanendo attenti alle loro esigenze. È stato interessante scoprire che Dio li aveva visitati prima di noi. Nei luoghi in cui siamo andate senza essere chiamate, la missione non è continuata.
Abbiamo imparato a prendere in considerazione le persone e le culture in tutti i suoi aspetti.


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