Mi
dispiace non potere essere presente. Non mi è possibile solo a causa di un
impegno per la pace. Sono sicuro che Mons. Bettazzi, assetato di pace e
giustizia e di convinta non violenza, mi avrebbe raccomandato di fare tutto
“l’impossibile”. Ci aveva abituato alla sua presenza, solare, determinata,
libera, evangelica, sempre in cammino, entusiasmante, piena di vita. Pur
conoscendo bene il galateo ecclesiastico - educato com’era alla scuola di
Nasalli Rocca e Lercaro - non ha mai smesso di portare con libertà il Vangelo
ovunque, perché per tutti Gesù è venuto. E si è raccomandato piuttosto di
andare a cercare, non di starcene fermi ad aspettare. È stato un Vescovo del
Concilio Vaticano II.
Non è mai entrato, né prima né dopo, nella
folta schiera dei profeti di sventura, coloro che “non senza offesa” al
successore di Pietro preferivano e preferiscono continuare ad usare le armi del
rigore credendole indispensabili per difendere la verità e evocando improbabili
periodi passati senza imparare dalla storia. Era libero perché amava Dio e la
Chiesa. Cercava il dialogo non perché ambiguo, facile, ma proprio perché
convinto della propria identità, senza ossessioni difensive che vedono il
nemico dove non c’è e non lo riconoscono dove, invece, si annida. Ascoltava per
rispondere e non parlare sopra. Comunicava la gioia di essere cristiano e
annunciava la chiamata a tutti ad esserlo. Amabile, instancabile, gentile ma
per niente affettato, scomodo, ironico, colto senza mai essere supponente,
parlava della Chiesa e dei poveri perché la Chiesa è di tutti, ma specialmente
dei poveri e perché “le ansie e gioie e le speranze, le tristezze e le angosce
degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di
Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
«La rivoluzione copernicana contenuta nella
Gaudium et spes (non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità) e
quella della Lumen gentium (non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per
i fedeli) stentano ad affermarsi», ripeteva. Lui non ha smesso di sognare. «Il
mio “sogno” è che ogni cristiano si renda conto della sua vocazione
“missionaria”. «La gioia più grande? Essere prete», aggiungeva. Ebbe il premio
Unesco per l’educazione alla pace, perché non si devono subire i violenti e
perché la tendenza alla violenza è comune e porta a imbracciare l’arma mentre
la non violenza interpone la diplomazia. Fin dagli anni Sessanta ha scommesso
sui laici, «non secondo i propri interessi, ma secondo l’interesse dell’intero
cosmo per contribuire non solo a mantenerlo in essere…ma anche a svilupparlo
nell’interesse comune».
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Mons Bettazzi ai tempi del Concilio |
Sì,
ha chiesto a tutti noi, tutti, opportune et inopportune, di «essere discepolo
che dà gioia», convinto che «il regno di Dio è l’umanità come Dio la vuole».
Grazie don Luigi, benedizione con la tua lunga vita, perché non hai smesso di
sognare e non ti sei stancato di farci vivere la primavera del Concilio. Grazie
e continua a pregare per noi e con noi. In pace e con il sorriso.
Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna
Presidente della Cei, Roma, 18 luglio 2023
Voglio molto bene a Mons. BETTAZZI.
RispondiEliminaEra amico di don Ivo.
Tanti anni fa cenai con lui, don Ivo e Merope in canonica.
Bei ricordi di un costruttore di pace.
"Il Regno di Dio è l'umanità come Dio la vuole". Amen!
RispondiEliminaUn Santo in più in Cielo,già da ora,un esempio da seguire in terra
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