Paolo
Cugini
Il
perno dell’impostazione ecclesiologica di papa Francesco è la ripresa di uno
dei temi centrali del Concilio Vaticano II, vale a dire la Chiesa come Popolo di
Dio. In un recente saggio Roberto Repole afferma che: “La categoria più
importante con cui il Concilio Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata
quella del Popolo di Dio”[1]. Quando la Lumen Gentium
descrive la Chiesa nel suo svolgimento storico, lo fa parlando della Chiesa
come Popolo di Dio. Francesco riprende, dunque un’immagine di Chiesa, cara al
Concilio, ma che per tante ragioni nei decenni successivi era andata
perdendosi, lasciando spazio ad altre immagini, prima fra tutte la Chiesa come
comunione. Con Francesco, dunque, c’è una ritrovata centralità della categoria
ecclesiale di Popolo di Dio, che il Papa esprime in diverse occasioni sin dagli
inizi del suo pontificato.
L’immagine
della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. E’ la
definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen Gentium al numero 12.
L’appartenenza ad un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia
della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza
ad un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci
attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si
realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il
popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con
gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque
per me è essere in questo popolo”[2].
La Chiesa è un mistero che sorge dalla Trinità
e s’incarna storicamente in un “Popolo pellegrino ed evangelizzatore”. E’
questa idea di popolo, così centrale nella riflessione conciliare[3], che permette a Papa
Francesco di sviluppare un’idea a lui cara e che riprenderà anche in altri
documenti, vale a dire il dato biblico, che il pensiero profetico ha, ad un
certo punto del suo percorso, sviluppato e approfondito, che tutti sono
chiamati alla salvezza. E’ questo “tutti”, che acquisisce una dimensione
universalista nella riflessione bergogliana, e che provoca e stimola la Chiesa
ad allargare i propri orizzonti. La sensibilità ecclesiale di Francesco che
esprimerà non solo nei pronunciamenti magistrali successivi, primo fra tutti il
capitolo ottavo dell’Amorsi Laetitia, che
affronteremo in seguito, è già ben evidente nei primi passi del suo
pontificato. La Chiesa come Popolo di Dio esprime la volontà di un destino
universale della salvezza. Anche questo tema è mutuato dall’impostazione
conciliare che esprimeva il desiderio di una Chiesa aperta a tutti, sentita e
percepita come casa di tutti, senza nessun escluso[4]. “Mi piacerebbe dire a
quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi
e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo
e lo fa con rispetto e amore” (EG 114). Senza dubbio è possibile percepire in
simili espressioni il nesso tra universalismo della salvezza e Chiesa della
misericordia, anche questo tema assi caro a Papa Francesco, che segna in
profondità il suo pontificato.
La percezione che nessuno si salva da solo,
implica l’importanza di una convocazione ecclesiale rivolta a tutti. “Questo
popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli
di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: Andate e fate
discepoli tutti i popoli (Mt 28,19)” (EG 113). Francesco fa notare che,
quest’appello di Gesù, fu recepito sin dall’inizio dalla comunità cristiana.
Infatti, San Paolo afferma nella lettera ai Galati che “non c’è più giudeo né
greco… Perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Se, allora, i
cristiani sono invitati ad annunziare a tutte le genti il Vangelo della
salvezza, ciò significa che essere Chiesa vuole dire essere Popolo di Dio,
aperta a tutti, senza esclusione di nessuno. La dimensione missionaria della
Chiesa è intrinsecamente legata alla comprensione che ha di se stessa come
Popolo di Dio.
La
più significativa conseguenza dell’immagine della Chiesa come popolo di Dio è
la corresponsabilità di tutti al processo di evangelizzazione. Nessuno deve
sentirsi escluso, soprattutto in virtù del battesimo, che ci rende tutti figli
e figlie di Dio, con uguale dignità.
“Tutti
facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento,
quello che suggella per sempre la nostra identità e di cui dovremmo sempre
essere orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello
Spirito Santo, i fedeli vengono consacrati per formare un tempio spirituale e
un sacerdozio santo” (LG 10).
E’ da questa importante presa di posizione del
Concilio Vaticano II che Papa Francesco rilancerà con forza la necessità di una
Chiesa in cui tuti e tutte si sentano corresponsabili. A partire dalle
importanti intuizioni espresse nell’Evangeli Gaudium sulla corresponsabilità
dei laici alla vita della Chiesa, Francesco ha espresso più volte e in diverse
circostanze la portata ecclesiale della visione della Chiesa come Popolo di
Dio. Da una parte, conduce alla valorizzazione del laicato e, dall’altra, ad
una nuova comprensione del ministero presbiterale. Famose, a questo proposito,
sono le reiterate prese di posizione nei confronti di quella malattia endemica
che Francesco chiama clericalismo[5], tipica di chi vive il
ministero più come un prestigio personale, che come un servizio da realizzare
all’interno del popolo di Dio, in relazione al gregge affidato.
“Ci
fa bene ricordare che la Chiesa non è un élite dei sacerdoti, dei consacrati,
dei vescovi ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio […] Siamo, come
sottolinea bene il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità “è
la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito
Santo come in un tempio” (LG, 9)[6]
In
questa prospettiva per Francesco diventa di fondamentale importanza il lavoro
che viene svolto nei seminari, durante gli anni che preparano i futuri pastori
del gregge. Nel discorso che il Papa ha tenuto all’incontro con i vescovi
responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) nel 2013,
sosteneva che la formazione dei seminaristi non può essere orientata solamente alla
crescita personale, ma alla sua prospettiva finale: il popolo di Dio[7].
C’è
dunque, una comune dignità che ci rende tutti figli e figlie di Dio,
appartenenti allo stesso Popolo di Dio, chiamati per vocazione ad annunciare a
tutti la gioia del Vangelo. E’ su questo dato specifico che si fonda la
corresponsabilità di tutti i fedeli, nessun escluso. Certamente, la sensibilità
su questo specifico tema così caro a Papa Francesco deriva dal cammino della
Chiesa Latinoamericana dalla quale proviene. In ogni modo, è significativo
sottolineare che la scelta di Francesco di utilizzare e valorizzare l’immagine
della Chiesa come Popolo di Dio non è casuale e arbitraria, ma fonda un modo
specifico d’intendere il ruolo dei fedeli laici, la loro corresponsabilità e ministerialità.
Proprio
perché è Popolo di Dio, la Chiesa è invitata ad incarnarsi in tutte le culture
che incontra sul proprio cammino. La cultura dice del modo di essere di un
popolo. E’ nella cultura di un popolo che incontriamo la sua identità, perché raccoglie
il suo stile di vita, le proprie modalità espressive maturate durante i secoli
e che lentamente si sono strutturate in una forma specifica. Siccome la persona
umana è per sua natura relazionale, tende a costituire una società. “L’essere
umano è sempre culturalmente situato: natura e cultura sono quanto mai
strettamente connesse. La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio s’incarna
nella cultura di chi lo riceve” (EG 115). La Chiesa, dunque, non può esistere
se non inculturata. E’ questa la lezione che deriva da testi conciliari come LG
13 e GS 53-62.
“Il
popolo di Dio nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al
contrario favorisce e accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini
dei popoli, nella misura in cui sono buone e, accogliendole, le purifica, le
consolida ed eleva” (LG 13).
Questa
sensibilità tipicamente conciliare, deve comunque molto al particolare tipo di
recezione avvenuta in America Latina e, soprattutto, in Argentina. E’ ormai
parere comune[8]che
l’idea della Chiesa come popolo di Dio presente in modo così significativo nel
magistero di Papa Francesco, oltre ad essere espressione del contributo
conciliare al dibattito sulla Chiesa, viene mutuato dal Papa a partire dalle
riflessioni della teologia del popolo di matrice argentina. Vale la pena,
allora, soffermare la nostra attenzione un istante su questo passaggio. Secondo
il teologo argentino Scannone, La teologia del popolo formulata in Argentina a
partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, costituisce una versione
contestualizzata della teologia della liberazione che, in quegli anni del
dopo-concilio, si andava formulando in America latina[9]. La teologia del Popolo
identifica con quest’ultimo termine i poveri che, oltre a costituire la
maggioranza della popolazione, mantengono e trasmettono la cultura propria del
popolo a cui appartengono[10]. Due elementi
fondamentali derivano da questa basilare constatazione.
La prima, è
l’attenzione costante che la teologia del popolo ha mantenuto sulle culture
locali, come forma di sopravvivenza dell’identità dei poveri. Non a casa Papa
Francesco dedica pagine significative nel suo magistero al tema delle culture
non solo nell’Evangli Gaudium, ma anche tutte le volte che nei suoi viaggi
entra in contatto con popoli le cui culture locali sono minacciate. Toccare la
cultura di un popolo significa mettere a rischio la sua sopravvivenza.
Significative sono le reiterate prese di posizione nei confronti della salvezza
delle culture dei popoli indigeni, minacciate dalla distruzione causata dalle
multinazionali stranieri sul territorio latinoamericano. L’altro aspetto
importante è la presa di posizione nei confronti dei poveri. Non a caso, i
teologi argentini sosterranno l’opzione preferenziale per i poveri, realizzata
per la prima volta nel 1968 a Medellin. Ecco perché Scannone sostiene che:
“L’opzione
preferenziale per i poveri, realizzata a Medellin e formalizzata a Puebla
(1979), non si oppone all’opzione compiuta da quest’ultima Conferenza per
l’evangelizzazione della cultura e delle culture dei popoli, giacché, de facto,
coincidono. E probabilmente anche de jure, perché sono loro – i Juan Pueblo, le
persone comuni prive dei privilegi del potere, dell’avere o del sapere – che
fanno trasparire nel modo migliore e più autentico la cultura comune del
Popolo”[11]
Prima
di essere una categoria sociologica, il popolo indica uno stile di vita comune,
che identifica un popolo rispetto ad un altro. In questa prospettiva, afferma Repole,
“Il popolo di Dio non può che esistere strutturalmente nei diversi popoli,
ovvero nelle differenti culture: è l’unico popolo di Dio, che esiste però
concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle culture in cui
vive”[12]
Del
rapporto Vangelo e cultura così come Papa Francesco lo intende ne tratteremo in
modo approfondito più avanti. In questo paragrafo, strettamente legato al tema
della Chiesa come Popolo di Dio, è importante sottolineare una tematica che
nella Evangeli Gaudium è centrale, vale a dire il sensus fidei dei credenti[13]. L’evangelizzazione dei
popoli non può essere delegata ad un corpo speciale della Chiesa, perché tutti,
in virtù del Battesimo, sono discepoli e missionari:
“In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo,
opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il
Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile in credendo. Questo significa che quando
crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo
Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. (EG 119)[14].
Secondo
Papa Francesco, Dio ha dotato i fedeli di un sensu fidei, un istinto della fede, che gli permette di discernere
ciò che viene direttamente da Dio. Del resto, questa intuizione è in linea con
la teologia del cuore che il pensiero profetico aveva elaborato all’epoca
dell’esilio in Babilonia, che sosteneva che Dio avrebbe impresso nel cuore di
ogni uomo la sua legge, per permettere a tutti di conoscerla. In virtù del
Battesimo ogni fedele riceve lo Spirito Santo che concede loro una relazione
intima, intuitiva con la realtà divina, che dona loro una saggezza speciale,
anche se non posseggono gli strumenti adeguati per esprimerla con precisione.
Probabilmente Francesco deduce queste riflessioni dal suo lavoro pastorale
precedente, svolto all’interno della Chiesa argentina. Sono le situazioni
critiche della vita che conducono i fedeli a sperimentare la forza dello
Spirito Santo ea discernere la scelta giusta da realizzare. In questa
prospettiva il sensus fidei, prima di
essere un tema teologico, è un’esigenza che il Popolo di Dio sperimenta nel
vissuto quotidiano. In ogni modo, tutti i membri del Popolo di Dio sono
discepoli e missionari, chiamati ad annunciare il Vangelo a tutti. Non si può
parlare di nuova evangelizzazione e di nuovo impulso missionario, senza il
coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio.
Chi ha fatto l’esperienza
dell’amore di Dio non può esimersi dall’impegno di evangelizzare. Per questo
compito, sottolinea Francesco, non c’è bisogno di corsi specifici, perché
l’esperienza dell’amore di Dio vissuta dal cristiano è sufficiente per il primo
annuncio. E’ esplicito il richiamo in questi passaggi, alla riflessione
realizzata nella Chiesa latinoamericana e contenuta nel documento di Aparecida,
in cui s’invitano tutti i discepoli e missionari a realizzare una grande
missione su tutto il territorio del Continente[15]. Il teologo Repole ha
fatto notare come Francesco porti sul campo della pastorale ordinaria un tema
centrale nel Vaticano II, ma che non fu sufficientemente approfondito nel dopo
concilio[16].
Il sensus fidei del Popolo di Dio
permette di comprendere meglio il senso di una Chiesa tutta coinvolta nel
processo di evangelizzazione e chiamata a discernere i segni dei tempi nel
vissuto quotidiano. Ecco perché la teologia argentina ha sempre avuta
un’attenzione particolare per la pietà popolare, come espressione del sensus fidei fidelium. L’ha considerata
come un elemento costitutivo del cammino del popolo di Dio. Anche Papa
Francesco collega il sensus fidei
alla pietà popolare, presentandola come espressione del Vangelo inculturato e
invita a leggere le sue azioni quali espressioni di una vita teologale, “dal
momento che vi è all’opera quello Spirito Santo di cui i cristiani sono unti”[17]. Agli occhi di Papa
Francesco le azioni della pietà popolare, che non ha nulla da spartire con la
devozione popolare, sono la manifestazione di una vita teologale animata
dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato, come ci ricorda san
paolo nella lettera ai Romani, nei nostri cuori (cfr. Rom 5,5). La pietà
popolare è, in questa prospettiva, “spiritualità incarnata nella vita dei
semplici” (EG 124)[18].
[1] REPOLE,
R., Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia
di papa Francesco, cit. p. 50; cfr.: ALMEIDA, L. et al. El futuro de la
reflexión teológica en América Latina. Bogotá: Editorial CELAM, 1996. p.
195-241;
[2] SPADARO,
A., Intervista a papa Francesco, p.
459
[3] Cfr.
VITALI, D., Popolo di Dio, Cittadella,
Assisi 2013
[4]
Per la posizione conciliare su questo tema specifico della prospettiva
universalista della salvezza cfr.: CANOBBIO, G., Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale, San
Paolo, Cinisello Balsamo 1994. Cfr. anche: YÁNEZ, H. M. (a cura di). Evangelii
gaudium: il testo ci interroga. Roma: Gregorian University Press, 2014. p.
159-170
[5]
Cfr. “Il clericalismo si dimentica che la visibilità e la sacramentalità della
Chiesa appartiene a tutto il Popolo di Dio (cfr. LG 9-14) e non solo a pochi
eletti e illuminati” in Lettera del Papa Francsco al Cardinale presidente della
Pontificia Commissione per l’America Latine, sta in: FRANCISCO, Palabra profetica y mision, Santiago de
Chile, Ed. Copygraph, 2016 p. 15
[6]
FRANCESCO, Il santo popolo fedele di Dio,
in Il Regno/Doc 61 (2016/7), 201-2014, p. 202
[7]
“La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il
cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano
il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca […] Bisogna sempre
pensare ai fedeli, al popolo fedele di Dio. Bisogna formare fedeli che siano
testimoni della resurrezione di Gesù. Il formatore deve pensare che la persona
in formazione sarà chiamata a curare il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare nel
popolo di Dio” (discorso citato in: SPADARO, A. Svegliate il mondo! Colloquio di Papa Francesco con i superiori generali,
in La Civiltà Cattolica
[8] Cfr. REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica –
L’ecclesiologia di papa Francesco, Cit., p.65s; SCANNONE, JC., Quando il popolo diventa teologo, EMI,
Bologna 2016; ID, Vientos nuevos del Sud: La teología argentina del pueblo y el
Papa Francisco, in Rev. Pistis Prax., Teol. Pastor., Curitiba, v. 8, n. 3,
585-611, set./dez. 2016; SCANNONE, J. C. Papa Francesco e la Teologia del
popolo. La Civiltà Cattolica, n. 3930, p. 571-590, mar. 2014; POLITI, S.
Teología del pueblo: una propuesta argentina a la teología latinoamericana
1967-1975. Buenos Aires: Ediciones Castañeda, 1992.
[9]
Su questo tema specifico cfr. GUTIERREZ, La
teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1968; SCANNONE, J.C., La
teologia della Liberazione. Caratteristiche, correnti, tappe in Stromata 38
(1982) p. 3-40
[10] Cfr.
SCANNONE, J.C., Quando il popolo cit. p.
13s
[11]
Ivi, p. 14
[12]
REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa
evangelica, cit. p. 67; cfr. anche su questo tema: GALLI, C. M. El pueblo
de Dios en los pueblos del mundo. Catolicidad, encarnación e intercambio en la
eclesiología actual. 1993. 455 f. Tesi (Dottorato in Teologia) — Facultad de
Teología, Universidad Católica Argentina, 1993.
[13]
Su questo tema cfr. VITALI, D., Sensus
fidelium: una funzione ecclesiale di Intelligenza della fede, Morcelliana,
Brescia 2013; Commissione Teologica Internazionale, Il Sensus fidei nella vita
della Chiesa (disponibile in francese sul sito della Santa Sede), giugno 2014.
[14]
Significativo notare che in nota il testo rimanda al numero 12 di LG.
[16] Cfr.
REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa
evangelica, cit. p. 71
[17] Ivi,
p.75
[18] C’è ui, in questo passaggio significativo,
un’espicita citazione del documento di Aparecida, di cui Bergoglio fu uno dei
principali redattori.
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