venerdì 19 agosto 2022

MISSIONARIO

 



Paolo Cugini

Non si diventa missionari perché si va in missione. È qualcosa che una persona deve avere dentro come battezzato, come discepolo di Gesù, che lo vuole imitare, vuole seguire il suo esempio. E allora con entusiasmo si prende su e si va per le strade, le case ad incontrare le persone dove vive la gente e lì senza mediazione, senza sotterfugi si annuncia il Vangelo di Gesù. Perché la realtà è questa e cioè che il Vangelo per essere annunciato non ha bisogno di strutture, di cose molto sofisticate. Ha semplicemente bisogno di un cuore che lo accolga e che accogliendolo si faccia testimone, portatore, annunciatore.

Gesù non ha bisogno di sofisticazioni: è l’inganno del mondo che complica tutto e soprattutto che tenta di rendere tutto alla mercé dei ricchi, di coloro che le cose non le accolgono, ma le comprano. Gesù, invece non lo compriamo. Forse qualcuno crede di comprarlo, ma la realtà è un’altra. Anche perché Gesù fugge e si nasconde: si nasconde là dove l’umanità non lo cerca e cioè nei poveri, nei sofferenti, negli esclusi, negli emarginati, senza casa e senza terra. In questa prospettiva missionaria, missionario non è solamente colui che annuncia il Vangelo all’umanità, ma che allo stesso tempo è alla ricerca continua del Signore. Perché la verità è che nessuno possiede il Signore, anche perché il Signore non si lascia possedere da nessuno, e c’è continuamente bisogno di cercarlo. E allora, il missionario mentre annuncia il Signore lo trova nei poveri che ricevono l’annuncio, lo trova tutte le volte che si sforza di andare fuori: fuori dalle Chiese, dagli oratori, dagli schemi prefissati; fuori per un incontro più vero e autentico, perché povero e spogliato di tutto. Missionario è colui che, come Cisto, è alla ricerca dell’uomo, della donna e lo va a trovare per entrare nella sua casa, per cercare un’approssimazione, una relazione. Di fatto, il missionario è anzitutto un uomo di relazione, che cerca la relazione che ama conoscere gli altri e lasciarsi conoscere.

È chiaro che la missionarietà comporta una stanchezza, un ritorno. Ciò significa che come c’è il tempo dell’uscire fuori, c’è anche il tempo dell’entrare dentro. Ed è il tempo della preghiera, della riflessione, del voltarsi dinanzi al Padre. È il momento, anche dell’accoglienza dell’altro. La missione, per chi la vive, comporta anche un cambiamento. Ogni approssimazione, se è autentica, comporta un mutamento. C’è qualcosa che deve morire per lasciare spazio all’altro, alla novità dell’altro. E l’altro è il fratello, la sorella alla quale mi sono avvicinato per portargli un annuncio di salvezza che è la conoscenza del Signore. E in questo incontro scopriamo che c’è qualcosa che non conoscevamo, che non sapevamo; scopriamo che mentre portiamo il Signore, Lui stesso ci sta aspettando nel fratello, nella sorella. Per questo c’è sempre una morte in un incontro di annuncio, perché il nuovo uccide ciò che è passato, il vecchio, per fare spazio alla novità. Non c’è risurrezione senza morte (Diario 2000).

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