Per un Pasqua della pastorale
Paolo Cugini
Non è una mia frase, ma è di Papa
Francesco, che si trova al numero 111 dell’Evangeli
Gaudium. Ogni tanto riprendo in mano questo testo per cercare spunti, nuovi
cammini. È una frase che prendo come augurio di Pasqua per le comunità
dell’Unità Pastorale Santa Maria degli Angeli. Papa Francesco in varie
occasioni ci ha ricordato che siamo tutti corresponsabili nell’annuncio del
Vangelo. In virtù del nostro battesimo, della nostra risposta al Signore, siamo
chiamati ad annunciare il Vangelo della salvezza nelle situazioni in cui ci
troviamo. Certamente c’è un primo livello fondamentale di evangelizzazione che
deriva dalla nostra testimonianza, dalla nostra coerenza di vita con quella
proposta che abbiamo assunto. Nessuno può permettersi il lusso di parlare in
nome di Gesù senza perlomeno provare a vivere ciò che proclama.
C’è, però, un altro livello che
spesso ci dimentichiamo, o che pensiamo che debba farlo altri. È il livello di
evangelizzazione verso il mondo che esige attenzione, progettazione,
disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Ormai, in questi ultimi tempi, abbiamo
sentito varie volte affermare che l’evangelizzazione è compito di tutti i
cristiani. Poche volte, però si vedono persone prendere l’iniziativa per portare il Vangelo a chi non lo
conosce. È vero che ci sono già belle iniziative, come la catechesi battesimale
in case delle famiglie che chiedono di battezzare i loro figli; o il percorso
fatto con i fidanzati che si preparano al matrimonio. Sono momenti importanti
che vanno sostenuti e incentivati. Se allarghiamo il discorso sulla
missionarietà delle nostre comunità, vediamo che l’annuncio del Vangelo al di
fuori della cerchia di chi frequenta, è relegato alle famose benedizioni
pasquali che ormai non avvengono più per i motivi che sappiamo. Il Vangelo che
ascolteremo la domenica di Pasqua narra di alcune donne che, dopo aver scoperto
la tomba vuota, corrono a dare l’annuncio ai discepoli e anche loro corrono per
andare al sepolcro (Gv 20,1-9). Chi è animato dall’amore di Dio, che si è
manifestato in Gesù, fa fatica a trattenerlo: sente il desiderio impellente di
condividerlo. La missionarietà è prima di tutto un atto di fede nel Signore
venuto al nostro incontro e che desideriamo condividere con gli altri. La verità
della pienezza che Gesù ci ha donato sta nel desiderio di comunicarla a tutti
coloro che ci stanno intorno. Ciò significa che l’annuncio del Vangelo non è
questione di un corpo specializzato, ma di ogni cristiano. Riuscire a capire
questo e a trovare strategie per attuarlo, per portare il Vangelo nelle strade
e nelle case delle nostre comunità, è la grande sfida che abbiamo dinanzi.
Sempre Papa Francesco nella Evangeli Gaudium sollecita tutti i
cristiani a prendere l’iniziativa, ad essere creativi, a pensare forme nuove di
evangelizzazione. Non possiamo più pretendere di rimanere ad attendere la gente
nelle nostre strutture parrocchiali, così come si è sempre fatto. È stata la
creatività e la presa di posizione dei discepoli a portare il Vangelo in tutto
il mondo. Non è una questione di numeri, di paura di rimanere in pochi: è una
questione di salvezza. Se crediamo davvero che il Signore ha salvato la nostra
vita, gli ha dato un senso e una prospettiva futura, allora non possiamo
trattenere questo annuncio. Prendere l’iniziativa significa non aspettare che
qualcuno – il prete – ci solleciti a farlo. Come annunciare il Vangelo alle
famiglie di un palazzo o di un quartiere è compito ed esigenza dei cristiani
che vi abitano. Sono già molte le esperienze in questa direzione anche in Unità
Pastorali vicine a noi e anche lontane da noi. In una città francese, ad
esempio, in alcuni palazzi organizzano una lettura biblica settimanale per le
famiglie del palazzo, in modo tale che quel palazzo è diventato una piccola
comunità. È sempre Francesco che ci sollecita a decentrare la pastorale.
Dovremmo allora, pensare l’annuncio del Vangelo come una chiamata che il
Signore rivolge a tutti in ogni momento e in ogni luogo.
È chiaro che per prendere l’iniziativa
nel discorso dell’evangelizzazione occorre che il Signore sia al primo posto.
Chi lavora e ha famiglia è difficile che riesca a trovare tempo per prendere l’iniziativa
e creare momenti di evangelizzazione nel proprio quartiere durante la
settimana. Forse di domenica potrebbe essere possibile. Una cosa è chiara a
tutti: quando vogliamo una cosa, quando riteniamo una cosa fondamentale, la
facciamo. Tanta inerzia sulle cose della chiesa, non è solo a causa dei tanti
impegni che abbiamo, ma delle priorità che ci siamo dati. C’è difficoltà a prendere
l’iniziativa anche perché ai laici non è mai stato chiesto, anzi è stato
proibito. Nelle parrocchie era solo il parroco che si occupava della sfera del
sacro: solo lui poteva autorizzare a fare qualcosa. Secoli di questa
impostazione hanno lasciato un segno profondo che è difficile scalfire. Ancora
oggi negli ambienti ecclesiali, il discorso sui laici rimane ambiguo. Da una
parte si comprende che senza il loro prezioso contributo sarà difficile
mantenere il servizio religioso che si è sempre offerto e si vuole continuare
ad offrire. Dall’altro, chi proviene da una impostazione ecclesiale clericale,
il coinvolgimento dei laici può voler dire perdere terreno, spazio, autorità.
Accompagnare il cambiamento è la grande
sfida che abbiamo dinanzi a noi. Lo facciamo senza chiudere gli occhi e affrontando
a viso aperto la realtà, ma con il cuore carico di speranza che ci viene dalla
Pasqua del Signore.
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