mercoledì 22 marzo 2017

TUTTO IL POPOLO DI DIO ANNUNCIA IL VANGELO






Per un Pasqua della pastorale
Paolo Cugini

Non è una mia frase, ma è di Papa Francesco, che si trova al numero 111 dell’Evangeli Gaudium. Ogni tanto riprendo in mano questo testo per cercare spunti, nuovi cammini. È una frase che prendo come augurio di Pasqua per le comunità dell’Unità Pastorale Santa Maria degli Angeli. Papa Francesco in varie occasioni ci ha ricordato che siamo tutti corresponsabili nell’annuncio del Vangelo. In virtù del nostro battesimo, della nostra risposta al Signore, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo della salvezza nelle situazioni in cui ci troviamo. Certamente c’è un primo livello fondamentale di evangelizzazione che deriva dalla nostra testimonianza, dalla nostra coerenza di vita con quella proposta che abbiamo assunto. Nessuno può permettersi il lusso di parlare in nome di Gesù senza perlomeno provare a vivere ciò che proclama.

C’è, però, un altro livello che spesso ci dimentichiamo, o che pensiamo che debba farlo altri. È il livello di evangelizzazione verso il mondo che esige attenzione, progettazione, disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Ormai, in questi ultimi tempi, abbiamo sentito varie volte affermare che l’evangelizzazione è compito di tutti i cristiani. Poche volte, però si vedono persone prendere l’iniziativa per portare il Vangelo a chi non lo conosce. È vero che ci sono già belle iniziative, come la catechesi battesimale in case delle famiglie che chiedono di battezzare i loro figli; o il percorso fatto con i fidanzati che si preparano al matrimonio. Sono momenti importanti che vanno sostenuti e incentivati. Se allarghiamo il discorso sulla missionarietà delle nostre comunità, vediamo che l’annuncio del Vangelo al di fuori della cerchia di chi frequenta, è relegato alle famose benedizioni pasquali che ormai non avvengono più per i motivi che sappiamo. Il Vangelo che ascolteremo la domenica di Pasqua narra di alcune donne che, dopo aver scoperto la tomba vuota, corrono a dare l’annuncio ai discepoli e anche loro corrono per andare al sepolcro (Gv 20,1-9). Chi è animato dall’amore di Dio, che si è manifestato in Gesù, fa fatica a trattenerlo: sente il desiderio impellente di condividerlo. La missionarietà è prima di tutto un atto di fede nel Signore venuto al nostro incontro e che desideriamo condividere con gli altri. La verità della pienezza che Gesù ci ha donato sta nel desiderio di comunicarla a tutti coloro che ci stanno intorno. Ciò significa che l’annuncio del Vangelo non è questione di un corpo specializzato, ma di ogni cristiano. Riuscire a capire questo e a trovare strategie per attuarlo, per portare il Vangelo nelle strade e nelle case delle nostre comunità, è la grande sfida che abbiamo dinanzi.

Sempre Papa Francesco nella Evangeli Gaudium sollecita tutti i cristiani a prendere l’iniziativa, ad essere creativi, a pensare forme nuove di evangelizzazione. Non possiamo più pretendere di rimanere ad attendere la gente nelle nostre strutture parrocchiali, così come si è sempre fatto. È stata la creatività e la presa di posizione dei discepoli a portare il Vangelo in tutto il mondo. Non è una questione di numeri, di paura di rimanere in pochi: è una questione di salvezza. Se crediamo davvero che il Signore ha salvato la nostra vita, gli ha dato un senso e una prospettiva futura, allora non possiamo trattenere questo annuncio. Prendere l’iniziativa significa non aspettare che qualcuno – il prete – ci solleciti a farlo. Come annunciare il Vangelo alle famiglie di un palazzo o di un quartiere è compito ed esigenza dei cristiani che vi abitano. Sono già molte le esperienze in questa direzione anche in Unità Pastorali vicine a noi e anche lontane da noi. In una città francese, ad esempio, in alcuni palazzi organizzano una lettura biblica settimanale per le famiglie del palazzo, in modo tale che quel palazzo è diventato una piccola comunità. È sempre Francesco che ci sollecita a decentrare la pastorale. Dovremmo allora, pensare l’annuncio del Vangelo come una chiamata che il Signore rivolge a tutti in ogni momento e in ogni luogo.

È chiaro che per prendere l’iniziativa nel discorso dell’evangelizzazione occorre che il Signore sia al primo posto. Chi lavora e ha famiglia è difficile che riesca a trovare tempo per prendere l’iniziativa e creare momenti di evangelizzazione nel proprio quartiere durante la settimana. Forse di domenica potrebbe essere possibile. Una cosa è chiara a tutti: quando vogliamo una cosa, quando riteniamo una cosa fondamentale, la facciamo. Tanta inerzia sulle cose della chiesa, non è solo a causa dei tanti impegni che abbiamo, ma delle priorità che ci siamo dati. C’è difficoltà a prendere l’iniziativa anche perché ai laici non è mai stato chiesto, anzi è stato proibito. Nelle parrocchie era solo il parroco che si occupava della sfera del sacro: solo lui poteva autorizzare a fare qualcosa. Secoli di questa impostazione hanno lasciato un segno profondo che è difficile scalfire. Ancora oggi negli ambienti ecclesiali, il discorso sui laici rimane ambiguo. Da una parte si comprende che senza il loro prezioso contributo sarà difficile mantenere il servizio religioso che si è sempre offerto e si vuole continuare ad offrire. Dall’altro, chi proviene da una impostazione ecclesiale clericale, il coinvolgimento dei laici può voler dire perdere terreno, spazio, autorità.

Accompagnare il cambiamento è la grande sfida che abbiamo dinanzi a noi. Lo facciamo senza chiudere gli occhi e affrontando a viso aperto la realtà, ma con il cuore carico di speranza che ci viene dalla Pasqua del Signore.


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