domenica 15 maggio 2016

TENTAZIONI POSTMODERNE DEL CRISTIANESIMO





Paolo Cugini

Uscito dall'ubriacatura idealista del mondo moderno, il cristianesimo può guardare con occhi nuovi non tanto al proprio futuro, ma al proprio presente. In questo caso, però, dovrà guardarsi allo stesso tempo da alcune tentazioni che possono trasformarsi in altrettante crisi.
 La prima tentazione è quella di non accettare il presente, il cambiamento in atto e di conseguenza, rifugiarsi nel passato. Questa tentazione la si coglie a differenti livelli. Nella vita pastorale quotidiana, che non cambia nulla nei suoi programmi, che sembra non voler ascoltare le sfide che la postmodernitá sta proponendo creando, così, involontariamente spesso e volentieri una separazione tra fede e vita, tra il mistero che celebra e la storia nella quale è inserita. Smarrimento e svuotamento di senso, in questa prospettiva, non sono solamente frutto di una filosofia anti metafisica che nega nella sua essenza i fondamenti del discorso sull'essere, ma soprattutto il risultato di una vita che non trova più spazio nella liturgia, di un mondo che non é più espresso nel culto. L’esodo dei giovani fuori dal tempio può essere forse il risultato di questa tendenza. La crisi delle ideologie che la cultura postmoderna sta vivendo, sta provocando una concentrazione sul tempo presente, la vita nel frammento. Mi sembra che a questo punto del problema non si possa più continuare solamente demonizzando quello che é ormai considerato uno stile di vita. Si tratta forse di considerare il problema a partire dal dato di fatto e non solo nonostante questo. La vita nel frammento, schiacciata per così dire nel presente, non presenta solamente aspetti negativi. In fin dei conti viviamo la nostra vita nel tempo presente. L’epoca postmoderna forse ci può aiutare a guardare al tempo presente con più attenzione, a guardare al quotidiano non solo come momento di passaggio, o come meta di un fine, ma come il momento scelto dal Signore del tempo e della storia per manifestarsi. Il mistero dell’Incarnazione, centro di tutto il mistero cristiano, ha forse più di ogni altra epoca, la possibilità di essere compreso nella sua profondità. La carne, il tempo, il vissuto quotidiano sono elementi imprescindibili per coglier e accogliere il senso del mistero dell’Incarnazione. Sempre in questa prospettiva, e cioè di una maggiore attenzione al vissuto quotidiano come chiave ermeneutica per cogliere il mistero del Verbo Incarnato, si possono offrire alcune osservazioni sul mistero celebrato, vale a dire il legame imprescindibile tra liturgia e vita.

Questo nuovo quadro culturale che stiamo vivendo ormai da alcuni decenni potrebbe offrire l’opportunità di riflettere in una nuova prospettiva questo legame così importante tra la liturgia e la vita. E', infatti, una sensibilità nuova che si sta sviluppando, ben visibile nelle nuove generazioni, una sensibilità che dovrebbe trovare riscontro anche nella liturgia. Di che sensibilità si tratta? L’ho già accennato poco sopra, vale a dire un’attenzione preponderante sul tempo presente, su ciò che l’oggi può offrire, sull'utile che si può ricavare nell'immediato. Non basta a questo punto demonizzare, gridare contro il relativismo. Se si vuole condurre lo schiacciamento nel presente, la vita nel frammento, ad un’apertura verso il futuro, é necessario inculturarsi, mettersi in ascolto, capire che cosa sta avvenendo. Solo così potrà avvenire quell'incontro significativo nel quale il Vangelo potrà produrre i suoi frutti più maturi. Questo incontro, questa inculturazione, questo ascolto attento della cultura postmoderna dovrebbe essere visibile nel centro della vita cristiana, vale a dire nella celebrazione liturgica. E' al suo interno, infatti, che la storia viene assunto per essere trasformata, per partecipare del mistero della ricapitolazione in Cristo di tutto il creato e di tutta la storia. Liturgie, allora, meno asfittiche, meno preoccupate con i fronzoli, e più attente agli interlocutori e alle loro vite. Chi entra in una celebrazione eucaristica dovrebbe immediatamente capire che quello che si sta celebrando ha qualcosa in comune con ciò che si sta vivendo, con il vissuto, con i problemi che si affrontano nella vita quotidiana. Quando entriamo in Chiesa per partecipare ad una celebrazione Eucaristica dovremmo poter capire che il centro di tutto è Gesù Cristo, che non è appena il Signore della storia, ma della nostra storia una, della nostra esistenza chiamata ad essere trasformata in amore. Se non avviene questo incontro delle due umanità, quella di Cristo e la nostra,  in pericolo è tutto il progetto di Dio di ricapitolare in Cristo le cose.  Non si tratta di schiacciare al ribasso la liturgia, ma permettere al vissuto quotidiano di questo mondo sempre più postmoderno, di essere trasformato dal Vangelo. Compito della pastorale è portare Cristo al mondo e, allo stesso tempo, condurre il mondo a Cristo. ciò dovrebbe essere chiaramente visibile nella liturgia eucaristica. Mi sembra questo il significato di un’attenzione alla cultura postmoderna, anche nei suoi risvolti più negativi come il relativismo e la vita frammentata, che la pastorale ordinaria deve prendere sempre più a cuore.
É chiaro che queste affermazioni ci conducono verso un nuovo tipo di riflessione che é, allo stesso tempo, una nuova sfida che la cultura postmoderna sta dirigendo implicitamente al cristianesimo. Mi riferisco al modo d’intendere e di realizzare la pastorale ordinaria. Il nuovo quadro culturale che si sta sempre più delineando ci costringe ad uscire non solo dai nostri centri pastorali, dal tempio, ma anche e soprattutto dai nostri schemi pastorali. Non possiamo più permetterci di pensare la pastorale solamente a partire dai problemi interni: catechesi, liturgia. La parrocchia dovrebbe divenire sempre di più aperta al dialogo con le culture, le religioni, le forze sociali presenti sul territorio.

 La tentazione di rifugiarsi nel passato per difendersi dalla novità del presente la si coglie anche nelle forme spiritualiste che stanno accompagnando l’esperienza religiosa in questi ultimi tempi.  La fuga dalla storia, da tempo presente si traduce, sul piano spirituale, nella presa di distanza dall'impegno per la trasformazione della società nella quale si vive. É questa la caratteristica delle tante chiese  neo-pentecostali che s’incontrano in Africa e in America Latina, caratterizzate da una predicazione diretta soprattutto al singolo e non alla comunità. É la salvezza individuale la grande preoccupazione delle chiese neo-pentecostali, preoccupazione per una salvezza imminente, che produce il disinteresse per tutto ciò che riguarda la terra, il mondo. Questa fuga dalla storia la incontriamo anche in alcune forme spirituali della chiesa cattolica in Occidente, forme che si manifestano nell'identificazione dell’esperienza religiosa con l’ambito strettamente liturgico e devozionale. La ricaduta di questo atteggiamento di fuga la si trova anche qui nel disinteresse  per un impegno più attivo nella vita politica e civile.

Una’altra tentazione che accompagna il cristianesimo postmoderno è quella di non accettare il cambiamento in atto. Come già dicevo poco sopra, nei documenti ufficiali della Chiesa si coglie la percezione del cambiamento epocale in atto, ma poi non si compie il passo successivo di un dialogo impostato con criteri nuovi. Il mondo postmoderno sta ponendo da diversi anni nuove sfide al cristianesimo a differenti livelli: etico, politico, culturale, sociale. Le risposte che, però, incontra non sono ancora all’altezza della situazione. L’Istituzione non è più la voce unica alla quale tutti si sottomettono, come accadeva nella cristianità. Ci si attende dalla Chiesa una parola di carità, di comprensione, di amore. Ciò non significa lasciare andare, dire di si a tutto e a tutti. Quello che dalla Chiesa il mondo sta aspettando e sperando é una parola di misericordia, che purtroppo non sempre arriva. Come questo possa esprimersi nei documenti ufficiali é quello che deve essere scoperto nella pratica quotidiana dell’amore, nello sforzo di pensare in modo nuovo problemi antichi. É chiaro che con queste osservazioni non sto affermando la necessità di modificare i contenuti del dogma: ci mancherebbe altro. Solamente mi sembra opportuno un cambiamento di modalità, si potrebbe dire di stile. La cultura postmoderna ha bisogno di parole nuove non nel contenuto, ma nella forma. Abbandonare i discorsi e i documenti ufficiali per tentare di dire qualcosa di più personale, di più vero alle persone che vivono in un determinato contesto sociale e che necessitano di una parola misericordiosa, meno carica di fermezza e più attenta alla circostanza. Per questo tipo d’incontro forse sarebbe necessario decentrare sempre di più il potere ecclesiale, affinché appaia sempre meglio il significato di servizio del potere della Chiesa.

 Anche la teologia fa fatica ad uscire da un’impostazione classica, di tipo deduttivo e sistematico, per una più induttiva e, per certi aspetti, narrativa. Non è un caso allora, che dinnanzi a queste sfide irrisolte, gli interlocutori non procurino più i teologi ma bensì i filosofi. Se grande spazio hanno trovato nel dibattito scientifico contemporaneo le tesi di  Appel, Habermas, Rorty, solo per fare alcuni nomi, é forse anche perché in campo teologico, al di là di eccellentissime sintesi, non si trovano più degli spunti in grado di aprire il dibattito in forme nuove.  Si sente la necessità di una elaborazione del pensiero antropologico alla ricerca di un’idea di persona che possa offrire spunti nuovi al dibattito scientifico contemporaneo, spesso e volentieri impaludato in vecchi schemi ormai obsoleti. La cultura postmoderna ha bisogno di dialogare con idee teologiche che nascono dal contatto con la realtà, idee intuitive, dunque, e non mere elaborazioni concettuali che non riescono ad esprime più nulla di significativo, se non una semplice riproduzione del passato. Per dialogare con una cultura nichilista e relativista come è quella attuale, non servono più delle reiterate condanne, che si presentano come chiusure: occorre un cammino teologico nuovo. 

Oggi più che mai c’è bisogno di una riflessione teologica che riesca a discutere sui valori fondamentali dell’esistenza con un apparato concettuale legato al contesto storico, alle nuove categorie ermeneutiche, ai nuovi schemi di riferimento facilmente individuabili per coloro con i quali s’intenda dialogare. In parole semplici, oggi più che mai la cultura contemporanea ha bisogno di una riflessione teologica che venga dal basso, dalla terra. Affinché questo avvenga è necessario quello sforzo d’inculturazione simile a quello avvenuto nei primi secoli della storia della Chiesa, quando i grandi padri, per esprimere le verità di fede, utilizzavano i concetti della filosofia greca,modificandoli, riempendoli di nuovi significati. La crisi delle ideologie provocata dalla fine delle meta narrazioni, ha aperto lo spazio ad un vuoto culturale che se non verrà riempito con contenuti significativi nuovi, potrà produrre azioni in campo sociale e politico devastanti.