Da: Il Fatto quotidiano, 10.6.2022
“A
volte portare qualche merletto della nonna va bene, ma a volte. È per fare un
omaggio alla nonna, no?”. Papa Francesco non ha usato giri di parole
per bollare come anacronistici e contrari alla riforma liturgica del
Concilio Ecumenico Vaticano II i camici con i merletti e le “bonete”,
ovvero le berrette. Bergoglio ne ha parlato con i vescovi e i preti
siciliani arrivati a Roma in pellegrinaggio: “Non vorrei finire senza parlare
di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma
che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una
grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda.
Anche educarla. Su questo leggete il numero 48 della Evangelii
nuntiandi che ha piena attualità, quello che san Paolo VI ci diceva
sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la
sostanza che ha dentro”.
“Ma
la liturgia, – ha domandato il Papa – come va? E lì io non so, perché non vado
a messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se
predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium (il documento
programmatico del pontificato di Francesco in cui spiega ampiamente come
fare l’omelia, ndr) o se predicano in modo tale che la gente esce a fare
una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e
di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente
vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta
per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a messa lì, ma ho visto
delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma
dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche
nell’arte liturgica, nella ‘moda’ liturgica! Sì, a volte portare qualche
merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no?
Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è
meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa
vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma
liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti”.
Parole
in linea con quanto deciso recentemente dall’arcivescovo di Catania, monsignor
Luigi Renna, che ha bandito pianete, camici con merletti e imposto al suo
clero di non indossare la talare fuori dalle chiese. Precedentemente,
nell’omelia di una messa celebrata nella cappella della sua residenza, Casa
Santa Marta, Francesco aveva raccontato un aneddoto molto eloquente: “Su
rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano
monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato
di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero (negozio di abiti
ecclesiastici, ndr) a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo
specchio un ragazzo, lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o che
stava per diventare prete, davanti allo specchio, con un mantello, grande,
largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso
il ‘saturno’ (cappello per ecclesiastici, ndr), l’ha messo e si
guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote, è saggio quel monsignore,
molto saggio, è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo
e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle
donne!’. Così – aveva concluso Bergoglio – che il mestiere che fa il sacerdote
quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.
Al
clero siciliano, il Papa ha ricordato “che il prete è uomo del dono, del dono
di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari
sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può
servire pure per fare carriera, ma una missione. E per favore, state
attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine
delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto”. E ha aggiunto: “Un’altra
cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle
cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la
parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme
all’ambizione. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio. Anche dopo
una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: ‘Hai visto cosa ha detto
quello, quell’altro, quell’altro…’. Il chiacchiericcio è una peste che
distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge
la personalità”. Concludendo: “Scusatemi se predico queste cose che sembrano
da prima comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticatele”.
Twitter: @FrancescoGrana
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