Paolo
Cugini
Presentare
il tema del peccato e della penitenza volendo considerare le fonti, vale a dire
quello che ha detto Gesù sull’argomento, non è facile. Tra le parole di Gesù e
i giorni nostri ci sono in mezzo secoli di riletture, interpretazioni, di
prassi che si sono allontanate e non poco dal messaggio originario.
Il
nostro rapporto con il sacramento della penitenza dice da che percorso
spirituale veniamo.
·
Da una parte, c’è l’attenzione a Gesù, al
suo stile di vita e il desiderio di seguirlo per farsi immergere nel suo amore,
che conduce a creare relazioni nuove, disinteressate e gratuite.
·
Dall’altra, l’ossessione del peccato, del
diavolo, dell’inferno, i sensi di colpa, le ossessioni, le manie, tutto un
materiale che conduce a chiudersi in sé, a pesare il cammino di fede come uno
sforzo personale, che richiede sacrifici, per guadagnarsi il paradiso. È la logica meritocratica, che di evangelico
non ha assolutamente nulla, perché la fede e la vita sono doni di Dio.
Non
è facile cogliere il messaggio di Gesù sul tema del peccato, perché all’interno
dello stesso nuovo testamento ci sono state delle riletture che hanno
complicato la cosa.
1.
Gesù sacerdote.
È l’interpretazione della lettera agli ebrei, che diventa problematica in quanto
riporta dentro lo stile di Gesù quel sacerdozio che lui stesso ha combattuto. Non
solo, ma leggere la vita di Gesù sotto la lente del sacerdozio significa
portare argomenti ad un altro tipo di lettura che si trova nel N.T. Leggendo i
vangeli si comprende bene che Gesù ha criticato aspramente il sacerdozio e la
logica sacrificale da loro attuata, per abbracciare lo stile profetico, di
denuncia del falso culto.
2.
La croce come sacrificio.
È la rilettura sacrificale della croce di Cristo che conducono a interpretare
la morte di Cristo sulla croce nello schema dei sacrifici del tempio. In questa
prospettiva, per placare l’ira di Dio a causa dei peccati degli uomini che lo
offendono (come si fa a pensare ad un Dio che si offende?) il Padre avrebbe
(sacrificato) immolato il suo unico Figlio. È una visione IMBARAZZANTE.
3.
La teologia del peccato
originale. Tentando di rispondere al problema del
male e cercando di togliere la responsabilità a Dio, viene elaborata una
dottrina che carica tutta la colpa sull’uomo. L’uomo nasce nel peccato, cioè
già peccatore a causa del primo peccato (originale) commesso da Adamo ed Eva, peccato
che viene trasmesso al momento della nascita (come, in che modo?). Questa
teologia sposta tutta l’attenzione sul peccato dell’uomo, condannandolo ad una continua
lotta interiore di auto-perfezionamento, fatta di sacrifici, di sforzi
personali, di scrupoli per un’anima non pura in modo perfetto, che richiede una
continua ricerca del sacramento della penitenza.
Il primo passo
importante mi sembra quello di riportare il messaggio di Gesù. Che cos’ha
detto, che cos’ha fatto? Soprattutto, qual è il senso della sua presenza nella
terra?
Punto
di partenza possono essere il programma espresso nel Vangelo di Luca e nel
Vangelo di Matteo.
Lc
4, 16-20.
“Venne
a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella
sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia;
aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è
sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Dal
testo di Isaia 61 Gesù non legge un passo: “giorno di vendetta del nostro Dio”,
per sottolineare che il senso della sua presenza è quello di manifestare il
volto del Padre, che è solo amore, che è misericordia.
Forse, però,
occorre fare un passo indietro e andare a quell’unico episodio dell’infanzia in
cui Gesù parla. È a Gerusalemme con i suoi genitori e poi, all’improvviso,
Maria e Giuseppe non lo trovano più. Lo trovano a parlare con i dottori della
legge. Gesù bambino nel tempio ad interrogare i dottori della legge. Forse si
chiedeva che cosa ce ne facciamo di un Dio così, che punisce severamente chi
trasgredisce la legge (e poi chi davvero aveva fatto quelle leggi?); si
chiedeva anche del senso di tutta quella violenza esacerbata nei sacrifici di
animali per espiare i peccati. Che cosa c’entra Dio con tutto questo? E poi,
che cosa c’entra D con il principio dello sterminio, vale a dire l’ordine si
sterminare tutti, uomini, donne, bambini, animali per prendere la terra destinata
al popolo d’Israele (Gs 1s). Probabilmente
si ricordava di quei passi dei profeti in cui lo stesso JHWH ripeteva che non
voleva sacrifici, ma misericordia. E poi ancora. Che Dio è quello che crea una
società di persone disuguali, in cui da una parte ci sono i sacerdoti che
possono accedere al divino, e dall’altra il popolo; da una parte gli uomini a
cui tutto è concesso e dall’altra le donne, considerate meno degli animali. Probabilmente
Gesù, già nell’adolescenza aveva capito che in tutto questo c’era qualcosa che
non funzionava, nel senso che non poteva venire da dio, o meglio che veniva
attribuito a Dio ciò che erano dei meri interessi umani.
Gesù
una volta adulto viene a dire che non tutto quello che troviamo nella Bibbia è
parola di Dio, perché, in realtà ci sono molte parole di uomini, molte parole e
leggi che Dio non ha mai dette e che gli hanno messo in bocca (Mc 7, 1-13).
Gesù denuncia i farisei perché durante molti secoli hanno fatto passare come
parola di Dio, volontà di Dio delle tradizioni umane, fatte da chi deteneva il
potere, vale a dire la classe sacerdotale. Se questo è vero, bisogna imparare a
discernere ciò che davvero viene da Dio e ciò che invece non è altro che
volontà umana, volontà degli uomini al potere che lo vogliono mantenere e
lasciare sottomessi gli altri.
Che
tipo di azione ha compiuto Gesù nella storia del suo tempo e continua ad
esercitare anche nel nostro? Gesù è venuto a liberare gli uomini e le donne dal
pesante giogo delle leggi religiose imposte dagli uomini del tempio. Famose
sono, a questo proposito, le polemiche di Gesù con i farisei che non accettano
che lui faccia miracoli e curi le persone nel giorno di sabato. In queste
polemiche Gesù mostra molto bene il pericolo mortale delle tradizioni umani che
ingabbiano la parola di Dio e le impediscono di agire nella storia,
sostituendosi ad essa. E così in vece di amore, passa l’odio, invece della
tolleranza, l’intolleranza, invece della dolcezza, passa la durezza
implacabile. Gesù è venuto a portare amore in un mondo imbruttito dalla religione
degli uomini.
Per
questo, prima di dire che Gesù è morto per i nostri peccati, che esprime il
pensiero della teologia del tempio, che interpreta l’azione e il pensiero di
Gesù alla luce di quelle categorie sacrificali dell’antico testamento che Gesù aveva
aspramente criticato, ha più senso dire che Gesù è morto per amore. “Avendo
amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1s). Gesù
muore come conseguenza dell’amore per i suoi discepoli e per le sue discepole,
perché in una società che considerava la donna al pari degli animali, non c’era
spazio per chi voleva l’uguaglianza. In un mondo religioso dominato dalla
classe sacerdotale che si riteneva privilegiato nell’accesso al sacro, non
c’era spazio per colui che aveva portato Dio in mezzo agli uomini e alle donne,
in una società che separava rigidamente il puro dall’impuro, non c’era spazio
per colui che considerava tutto puro.
La
croce è la conseguenza del tentativo di Gesù di amare l’umanità per
risollevarla alla piena dignità. Croce
come conseguenza naturale dell’amore di Gesù per gli uomini e le donne. La teologia della croce non c’è nel Vangelo,
ma è un’interpretazione successiva. Gesù
non ci ha salvati con la sua croce, ma con il suo amore. Quindi la croce non ha
nulla di redentivo. Gesù non è morto per i nostri peccati, ma è morto perché ci
ha amato sino alla fine, come dice Gv 13,1s.
Come
ha vissuto la prima comunità il messaggio di Gesù sul tema del peccato? Ci sono
tre elementi da tenere in considerazione:
1. La
forte tensione escatologica dei primi decenni. C’era un’attesa significativa
del ritorno di Gesù al punto che, lo stesso san paolo, era convinto che il
ritorno di Gesù era così imminente da essere convinto che sarebbe stato ancora
in vita cfr. 1 Ts 4.
2. Il
battesimo avveniva solamente in età adulta e, di conseguenza, l’attenzione del
cammino dei neofiti era rivolta sul cambiamento di vita, sul divenire creature
nuove e non tanto sul peccato o sui peccati singoli. Ciò spiega la prassi dei
primi secoli di una confessione sola nella vita.
3. La
teologia del peccato originale è una produzione del V secolo d.C.
Il
modello del nostro rapporto con il Signore e con la nostra umanità emerge nel
testo di Lc 5:
“Mentre
la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando
presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I
pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di
Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle
folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le
vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato
tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le
reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti
quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che
venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a
farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle
ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un
peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano
con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni,
figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora
in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono
tutto e lo seguirono” (Lc 5,1-11).
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