HANNO SENSO GLI ESERCIZI SPIRITUALI DEGLI ADULTI?
Paolo Cugini
Ho visto volti perplessi, sorrisini,
ammiccamenti alla mia proposta di partecipare agli esercizi spirituali degli
adulti. Qualcuno mi ha detto chiaramente che quello che vale è il fare, più che
il pregare. Sono d’accordo, anche perché a che serve pregare se poi non
facciamo nulla. L’imbarazzo nel proporre un momento di preghiera è la cartina
di tornasole del cammino delle nostre comunità parrocchiali. Siamo contenti di riuscire
a coinvolgere i giovani nelle cose pratiche, nel servizio durante le sagre, nei
tornei. Ma se quando ai giovani proponiamo momenti di preghiera non si presenta
nessuno o quasi, il dato non ci disturba più di tanto, perché perlomeno ci sono
quando conta, cioè quando c’è qualcosa da fare. In fin dei conti i figli sono
il riflesso dei genitori, perlomeno fino ad un certo punto, a quel punto, cioè,
in cui un figlio decide di prendersi in mano e fare il proprio cammino.
Se la vita cristiana è imitazione a
Gesù allora è proprio a Lui che dobbiamo guardare, per verificare se il nostro
pensiero e il nostro modo di fare è in sintonia con colui che desideriamo e
diciamo di seguire. Ebbene risalta come un dato preponderante il primato della
vita spirituale sull’azione in Gesù. Lo testimonia la sua adolescenza e
giovinezza immersa nel silenzio. Lo testimoniano i quaranta giorni trascorsi
nel deserto prima d’iniziare l’attività pubblica. Lo testimonia infine, l’abitudine
segnalata dai quattro evangelisti che Gesù aveva di trascorrere molte ore in
preghiera alla notte, o alla mattina presto: “Uscì e se ne andò, come al
solito, al monte degli ulivi” (Lc 22,39). Era così intensa la sua vita
di preghiera che gli stessi discepoli un giorno gli hanno chiesto di insegnare
loro a pregare. Ecco perché, nella famosa scena descritta dall’evangelista
Luca, che descrive una visita di Gesù alle sorelle Marta e Maria, mentre Marta
era intenta alle faccende di casa, Maria invece se ne stava seduta ad ascoltare
il Signore, Gesù dice che Maria si era scelta la parte migliore. “Una sola è la cosa di cui c’è bisogno”
(Lc 10,42).
Se la testimonianza di Gesù era così
cristallina era grazie al rapporto prioritario che aveva con il Padre. Era
grazie alle ore di preghiera quotidiane che facevano di Gesù un uomo fermo,
coerente, che resisteva alle pressioni dei farisei e di tutti coloro che lo
odiavano. Grazie all’amore del Padre di cui si riempiva quotidianamente
immergendosi nella preghiera, Gesù riusciva a trasmettere forza e coraggio ai
sui discepoli e alle sue discepole anche nei momenti più duri, come la
passione. Del resto Gesù, durante la sua vita pubblica, lo aveva ripetuto in
più di un’occasione che prima di tutto occorre amare Dio. È il primo
comandamento quello di amare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e il
secondo consiste nell’amare il prossimo come se stessi. C’è un primo e un
secondo: il cammino della vita spirituale ha come obiettivo di mettere in ordine
questa progressione. L’azione che realizziamo potrà essere segno della presenza
di Dio nella storia, quando procede da quella Parola che ci siamo abituati a
mediare al mattino prima di compiere qualsiasi altra cosa. Il rischio grande è
che le cose che facciamo anche in parrocchia, più che avere il sapore di Dio,
della sua misericordia, della sua gratuità e giustizia, portino il segno del
nostro egoismo, della nostra arroganza, del nostro desiderio di metterci in
mostra. Spesso le azioni sono identiche ma, provenendo da fonti differenti,
portano con sé segni differenti. Da quello che facciamo e da come ci muoviamo
si vede da dove proveniamo e dove vogliamo andare.
Sarebbe bello che i vostri figli v’interrogassero
sul fatto che per alcuni giorni mettete in secondo piano le attività quotidiane
per partecipare agli esercizi spirituali. Forse non capiranno subito, ma dagli
effetti che il rapporto con il Signore produrrà sulle nostre vite e sulle
nostre scelte, potranno sentire il desiderio di partecipare anche loro e capire
così che, quando ci dedichiamo alla preghiera, non stiamo buttando via del
tempo, ma lo stiamo recuperando. Alla grande.
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