Il
quartiere Compensa, dove vivo, è un luogo pieno di sorprese. Ogni giorno ce n’è
una nuova, anzi, più di una.
Oltre
ad essere un territorio dominato dai trafficanti di droga e, quindi, bisogna
muoversi con molta cautela, rispettando orari e luoghi in cui è meglio non
passare, c’è molta vita-
Ogni
giorno che passa, rimango impressionato dalla creatività delle persone che
attuano nelle comunità: ne inventano di tutti i colori.
Tra
queste novità e attività c’è anche la nascita di una nuova comunità: come può
succedere?
Visitando
tutti i giorni il territorio del quartiere Compensa, mi sono accorto che vi
sono alcune zone non sono ben servite, dal punto di viste pastorale. Una di
queste è la favela Mio bene e mio male, situata vicino alla comunità san
Pietro.
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| Lo scalone che porta alla favela |
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| una immagine di una parte della favela |
Chi
non abita nella favela, non può entrarci da solo. Occorre avere dei contatti
con coloro che vivono dentro per poter scendere una delle scalinate che portano
dentro la favela.
Una
domenica dopo la messa nella comunità san Pietro, la coordinatrice della
comunità mi ha presentato Fabiana, una signora che vive nella favela. Ho
chiesto immediatamente se mi invitava a casa sua per cominciare a pensare come
fare per cominciare un lavoro pastorale nella favela.
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| A casa di Fernanda per la messa del Patrono |
Detto
fatto. La prima cosa che mi ha colpito della favela è la sporcizia. Già la
Compensa in fatto di sporcizia non scherza, ma la favela era qualcosa di
esagerato. Con la persona che mi ha accompagnato, che poi dopo vari mesi ho
scoperto essere legata al traffico, ci siamo impegnati a far intervenire il
servizio di pulizia del comune che qui non era mai entrato.
Dopo
di ciò, nel giugno dello scorso anno, alcuni episodi che non sto a raccontarvi,
avevano provocato la proibizione del parroco di entrare nella favela.
Nel
mese di marzo di quest’anno, mentre ascoltavo gli adolescenti e giovani che mi
cercavano per chiedere di poter ricevere il sacramento della Cresima, si è
presentata Fernanda, una ragazza di 20 anni, che studia infermieristica all’università.
Quando gli ho chiesto di che comunità era, mi ha risposta che viveva nella
favela Mio bene e mio male. Gli ho spiegato la mia situazione a riguardo della
favela e gli ho chiesto se mi aiutava a tornare dentro. Lei mi rispose che non
c’erano problemi. E così dal mese di marzo abbiamo ripreso a celebrare
mensilmente una messa nella favela.
In
una di queste messe, all’ora degli avvisi ho aperto il dibattitto sul tema del
nome da dare alla comunità. È stata proprio Fernanda ad indicare il nome di san
Lazzaro con la motivazione che era un santo che si occupava dei cani randagi,
proprio come fanno loro.
Siamo
così arrivati ad oggi, domenica 28 dicembre, per realizzare la prima festa del
patrono della comunità. In realtà la festa doveva essere il giorno17 dicembre,
giorno in cui si festeggia san Lazzaro, ma le piogge torrenziali di quel giorno
hanno impedito la realizzazione dell’evento.
La
messa si è svolta nella casa-palafitta della famiglia di Fernanda, che vive con
i suoi nonni. Alla messa erano presenti alcune persone della comunità di san
Pietro, che hanno aiutato nella liturgia, altre persone della parrocchia e una
quindicina di persone della favela e, tra loro, vari bambini.
Alla fine della messa abbiamo deciso che, a partire da gennaio, la comunità si struttura come le altre, con la celebrazione domenicale e le principali attività pastorali. L’obiettivo è chiaramente di annunciare il Vangelo e l’emergenza primaria è togliere bambini e adolescenti dal giro del traffico di droga. Lo faremo non solo con la catechesi, ma anche con le varie attività che abbiamo già messo in piedi con il progetto Margens (https://margensamaz.blogspot.com/: qui trovate le attività che facciamo), vale a dire corsi di musica, danza, teatro, inglese, spagnolo, capoeira, che stanno avendo un grande successo tra i bambini e i ragazzi di altre comunità.
Fernanda all’inizio di dicembre si è cresimata. Ha vent’anni, sa quello che vuole. Era entrata nel percorso della cresima 5 anni fa, ma si era fermata perché c’erano cose che non la convincevano. Si è cresimata perché crede in quello che fa. In una testimonianza raccolta in una intervista che potete ascoltare su YouTube, ha detto che lei vuole essere un esempio per i bambini e i coetanei della favela (questo è il video realizzato dagli 8 giovani di Reggio Emilia del CMD che hanno trascorso tre settimane nelle famiglie delle comunità: https://www.youtube.com/watch?v=xcv-cVuqTk0&t=11s ).
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“Sono
l’unica della favela che studia all’università. Tutti i giorni salo e scendo
quello scalone per andare a studiare, Voglio essere un esempio per dire ai
bambini e ai giovani della favela che è possibile essere differenti: basta
volerlo”.
Annunciare
il Vangelo in questi contesti significa pensare a percorsi che possano salvare
vite. C’è da farlo con attenzione, con intelligenza, ma c’è da farlo. È a
contatto con questi territori, con persone come Fernanda che scopro nuovi
cammini del mio ministero, che da anni non si riduce più alla sfera del culto,
ma a servizio dell’umanità, soprattutto dei più poveri ,degli esclusi, di tutti
coloro che sono messi ai margini.





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